Slavia friulana




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Slavia friulana

Topolò.jpg

Topolò (Topolovo), tipico villaggio delle Valli del Natisone nella Slavia friulana

Stati

Italia Italia

Regioni

Friuli-Venezia Giulia Friuli-Venezia Giulia

Superficie
285,6 km²

Abitanti
6 889 (2015)

Densità
26,5 ab./km²

Fusi orari

UTC+1

La Slavia friulana, detta anche Slavia italiana, Benecia o Slavia veneta (Beneška Slovenija o Benečija in sloveno, Sclavanìe in friulano) è la regione collinare e montuosa (Prealpi Giulie) del Friuli orientale che si estende tra Cividale del Friuli e i monti che sovrastano Caporetto (in Slovenia), comprendendo le Valli del Torre e del Natisone. La denominazione è dovuta alla popolazione slava insediatavisi dall'VIII secolo.




Indice






  • 1 Denominazioni e ambito territoriale


  • 2 Storia


    • 2.1 Le vicende precedenti all'insediamento slavo


    • 2.2 Nascita della Slavia friulana


    • 2.3 Il Patriarcato d'Aquileia e la Repubblica di Venezia


    • 2.4 I privilegi in epoca veneziana


    • 2.5 Napoleone, l'Austria e l'Italia




  • 3 La questione linguistica


  • 4 Elenco dei comuni


  • 5 Note


  • 6 Bibliografia


  • 7 Voci correlate


  • 8 Altri progetti


  • 9 Collegamenti esterni





Denominazioni e ambito territoriale |


Originariamente, alla metà del XIX secolo, il toponimo Slavia friulana indicava l'intera area slavofona del Friuli, cioè le valli del Natisone, di Resia, del Torre e dello Judrio.


Alla fine di quel secolo, si iniziò a usare il nome di Slavia italiana, utilizzato tuttavia per pochi decenni perché già negli anni Venti del Novecento si riesumò quello di Slavia friulana (utilizzato in alternativa a Slavia veneta)[1], : ciò fu dovuto all'esigenza di un toponimo più specifico perché, dopo l'allargamento a est dei confini italiani nel 1919, le terre slavofone soggette al regno d'Italia aumentarono considerevolmente e la definizione di Slavia italiana si rivelò pertanto inadeguata e fuorviante. Si noti però che da allora il nome di Slavia friulana fu generalmente adottato per indicare le sole Valli del Natisone.


È bene sottolineare che i primi etno-toponimi relativi a questa zona geografica avevano un'origine più antica. Infatti, già in epoca veneziana le Valli del Natisone componevano l'area detta ufficialmente Schiavonia, ricalcando quell'indicazione "in Sclavòns" usata precedentemente in età patriarchina per definire le località inserite nella gastaldia d'Antro, il cui territorio corrispondeva alle predette Valli (e questo è il motivo per cui, nei secoli XIII-XV l'area era comunemente detta Antro). Dai predetti etnotoponimi derivò il friulano Sclavanìe.


In realtà, col termine "schiavoni" i veneziani si riferivano indistintamente a tutte le genti slavofone del proprio dominio, così come il medesimo etnotoponimo "Schiavonia" era usato per alcune località venete quali Casale sul Sile o la frazione di Schiavonia nel comune di Este, oltre alle vie Schiavonesca che si trovano in diverse località della provincia di Treviso.[2]


Tornando alla realtà friulana, la denominazione Slavia italiana, coniata nel 1884 da Carlo Podrecca, è stata usata fino all'inizio degli anni '20 del secolo successivo. Nel 1875, invece, lo storico sloveno Simon Rutar adottò il toponimo Benečija, probabilmente già usato oltreconfine per indicare l'intero dominio veneziano ma caricandolo di un valore nazionalistico e preferito dalle componenti che si considerano appartenenti alla nazionalità slovena. I due toponimi ottocenteschi hanno un'implicazione politico-ideologica.[3].



Storia |





Santuario della Beata Vergine di Castelmonte





Santuario della Santissima Trinità/Sveta Trojica di Monteaperta/Viškorša



Le vicende precedenti all'insediamento slavo |


La presenza umana nelle Valli del Natisone risale al tardo paleolitico (circa 11.000 anni fa) ed era rappresentata da un'esile popolazione di cacciatori e raccoglitori seminomadi; nel neolitico nacquero i primi insediamenti stabili e i culti agrari di cui sopravvivono le antiche lastre sacre. Inserito nel sistema viario noto come via dell'ambra, i contatti di questo territorio con l'area friulano-istriana sono testimoniati dalla costruzione di un castelliere tra i fiumi Natisone e Alberone. Durante l'età del bronzo si diffusero in loco popolazioni indoeuropee.Innanzitutto i veneti, ai quali seguirono nell'età del ferro i celti carni.


Nel II secolo a.C., i romani conquistarono quest'area e l'antica via diretta verso il Norico costeggiante il fiume Natisone mantenne la sua importanza, collegando Aquileia all'Europa centrale attraverso una strada lastricata e munita di solchi carrai. Lungo la direttrice venne fondato Forum Iulii (poi diventato Cividale del Friuli). Nelle Valli del Natisone la presenza romana è testimoniata da alcuni toponimi e da testimonianze archeologiche: i resti del ponte romano di Broxas (a sud di San Pietro al Natisone), dove sono stati rinvenuti manufatti dell'epoca e un sarcofago; in diverse località sono venute alla luce monete ed altre testimonianze. All'epoca di Diocleziano, nacque quel sistema fortificato noto come Vallum Alpium Iuliarum in cui vennero inserite anche queste vallate. Dopo la caduta dell'Impero e i periodi visigoto e ostrogoto, nonché una probabile e breve dominazione dell'Impero romano d'Oriente, nel 568 qui giunsero i longobardi, che elessero Forum Iulii a capitale del loro primo ducato in Italia.



Nascita della Slavia friulana |


L'arrivo degli slavi sulle sponde del fiume Natisone avvenne nel VII secolo in epoca longobarda ed è documentato dallo storico Paolo Diacono (battaglia di Broxas, cioè Ponte San Quirino, del 663 circa), mentre i primi insediamenti sono inquadrabili all'inizio dell'VIII secolo (battaglia e pace di Lauriana -località individuata da Trinko in Lavariano e da Bonessa più verosimilmente nella zona di Mersino- avvenute nel 720 circa). Gli slavi dovettero presumibilmente assimilare la precedente popolazione romanza. Si convertirono al Cristianesimo probabilmente all'opera missionaria dei patriarchi di Aquileia che dal 730 stabilirono la loro sede a Cividale.


Allargando l'orizzonte a tutte le popolazioni slave presenti in Friuli, non ci sono elementi che documentino un inquadramento cronologico degli altri insediamenti nelle valli del Torre e dello Judrio (piuttosto affini agli slavi del Natisone) e nella val di Resia. Non è da escludere che in alcune zone si verificarono insediamenti anche posteriori di popolazioni provenienti da altre aree.


Qualcuno ha ipotizzato che nella pianura friulana alcuni loro insediamenti si sarebbero originati in seguito alle incursioni ungare del X secolo, anche se è più probabile che ciò fosse avvenuto in piena età patriarchina (dal secolo XI in poi), ma in ogni modo i gruppi slavi della pianura vennero assimilati culturalmente dalla popolazione friulana rimanendone solo la memoria toponomastica. Se questa ipotesi, per nulla suffragata da alcun documento, pare piuttosto azzardata, essa si rivela del tutto improbabile per le aree montuose, ciò non solo per un'inesistente documentazione riguardante incursioni ungare ivi avvenute, ma anche perché le direttrici seguite dai magiari (provenienti dalla Pannonia) riguardavano il Carso e il Collio, mentre le zone montane, ubicate più a nord, erano percorse da migrazioni o incursioni provenienti dalla Carinzia.



Il Patriarcato d'Aquileia e la Repubblica di Venezia |


Probabilmente già in epoca longobarda ebbe origine la gastaldia d'Antro che comprendeva le popolazioni delle varie vallate del Natisone e parte della valle dello Judrio; nell'XI secolo, la gastaldia di Antro, ovvero l'organismo territoriale in cui erano comprese le valli del Natisone, dell'Alberone, del Cosizza e dell'Erbezzo, divenne un bene personale dei Patriarchi di Aquileia e ciò fino al 1420 quando il Patriarcato fu conquistato dalla Serenissima Repubblica di Venezia.


Nei secoli XIII e XIV, l'area fu coinvolta nelle vicende belliche del patriarcato, caratterizzato da guerre intestine in cui erano protagonisti potenti feudatari quali i conti di Gorizia e i Villalta - Urusbergo, e comunità quale Cividale. Principale edificio era il castello patriarcale di Antro. Nel XV secolo la Serenissima concedette a tutti gli schiavoni una serie di privilegi fiscali e una forte autonomia amministrativa e giudiziaria, in virtù del fatto ch'essi abitavano in zone particolarmente impervie ed avevano il compito di sorvegliare i cinque passi che portavano nella valle dell'Isonzo e dello Judrio: Pulfero, Luico, Clabuzzaro, Clinaz e San Nicolò.



I privilegi in epoca veneziana |


Il territorio della gastaldia di Antro era suddiviso nelle due convalli di Antro e di Merso. I loro organismi giudiziari erano le banche (ossia tribunali) istituite nel XV secolo con 12 giudici popolari ciascuna, che si riunivano attorno alle lastre o tavoli di pietra di età protostorica. La prima si riuniva ad Antro, ma anche a Biacis e Tarcetta, la seconda a Merso superiore. Il gastaldo assisteva come garante. Per brevità, possiamo dire che avevano reciprocamente la funzione di tribunale di primo grado mentre gli appelli si facevano da banca a banca e in ultima istanza al provveditore di Cividale. Potevano giudicare "in civile, criminale e criminalissima" ovvero potevano giudicare anche in caso di omicidio e comminare anche la pena di morte. L'autonomia giudiziaria valeva comunque per circa la metà del territorio, essendo il restante concesso in feudo a nobili friulani per lo più cividalesi che comunque spesso avevano competenze in casi di "bassa giustizia" così come le vicinie paesane, composte dai capifamiglia di uno o più villaggi che erano chiamate a comporre le controversie tra i "vicini" venendo talvolta definite impropriamente loro stesse come "banche" (si veda il caso della cosiddetta "banca" di Drenchia, con sede a Costne di Grimacco).


Per quanto riguarda l'amministrazione della cosa pubblica vi era un sistema elettivo che partiva dal basso e la sua istituzionalizzazione è di inizio Cinquecento. Alla base c'erano i "comuni", che avevano proprie vicinìe (cioè le assemblee dei capifamiglia di più villaggi, esistenti già in tutto il mondo antico); a capo di esse c'erano i "decani" che, a loro volta, eleggevano due "sindici": uno per la contrada di Antro e uno per quella di Merso. I decani si riunivano per trattare problemi comuni nell'arengo di ciascuna convalle e tutti insieme nella "vicinìa grande" o "arengo" nei pressi della chiesa di San Quirino (San Pietro al Natisone).


Gli obblighi militari, invece, riguardavano la guardia dei confini con la fornitura di 200 uomini, nonché la sorveglianza di alcune porte di Cividale e la costruzione della fortezza di Palma.


Molte tasse gravanti su tutta la repubblica vennero qui abolite, così come l'area non fu soggetta al taglio di alberi destinati alla flotta veneziana. Con la successione della contea di Gorizia a favore degli Asburgo (1500) e la guerra di Venezia contro la Lega di Cambrai e quindi l'Impero (1508-1515), dopo il trattato di Noyons la Schiavonìa si trovò a ridosso del confine con l'Impero e ne ebbe a soffrire pesanti conseguenze commerciali ed economiche. Per compensare Cividale della perdita del Tolminotto e delle miniere di mercurio d'Idria la gastaldia d'Antro venne unita a quella di Cividale. Durante la guerra di Gradisca (1615-1617) gli schiavoni furono coinvolti nella difesa del territorio e in alcuni combattimenti.



Napoleone, l'Austria e l'Italia |


I privilegi della Slavia cessarono assieme alla Serenissima nel 1797 e il passaggio del territorio veneziano all'Impero Asburgico; la situazione peggiorò ulteriormente durante il periodo napoleonico (1805-1813) quando furono abolite le vicinie, gli arenghi e le banche e furono istituiti otto comuni; questo sistema fu confermato dagli austriaci. Nel 1866 dopo la Terza guerra d'Indipendenza italiana, l'Austria cedette il Veneto e la Slavia passò sotto il Regno d'Italia. Sin dal 1848 i discendenti degli antichi slavi sostennero unanimemente il processo di unificazione, in virtù del legame con la Serenissima che aveva garantito loro una forte autonomia.


In particolare dopo la presa di Roma del 1870, si definirono due diverse prese di posizione in ambito politico e nazionale: così come buona parte della classe politica locale (Cucavaz, Musoni, Sirch e altri) era fortemente filo italiana, buona parte del clero divenne invece filo slovena e anti italiana perché ravvisava nel nuovo regno uno Stato sacrilego e responsible dello spodestamento del papa re.


Il periodo italiano si contraddistinse in una serie di iniziative di carattere sociale quali la fondazione di parecchie scuole elementari, l'Istituto magistrale, una Società Operaia di ispirazione mazziniano-garibaldina, un Comizio agrario nato con la finalità di diffondere cultura tecnica tra gli agricoltori e gli allevatori. A questo si aggiunsero i primi interventi viari con la sistemazione delle strade, malgrado parecchie aree montane videro il loro isolamento plurisecolare perdurare un po' più a lungo. I politici irredentisti friulani, quali Pacifico Valussi e Giovanni Marinelli, propugnarono uno sviluppo dell'artigianato, dell'economia, della cultura e delle infrastrutture e purtroppo le polemiche ideologiche del periodo ad essi successivo hanno mistificato ingiustamente l'opera di tali uomini, che rispettarono la connotazione slavofona di quelli che definivano i "nostri slavi" così come nel 1848 Daniele Manin si rivolgeva ai "fratelli slavi" del distretto di San Pietro degli Schiavoni, mentre non vedevano di buon occhio gli sloveni filo austriaci del goriziano.


Il distretto di San Pietro al Natisone (come si chiamarono ufficialmente le Valli del Natisone) fu pesantemente coinvolto dal primo conflitto mondiale, in particolare con la disfatta di Caporetto del 1917. Durante il dopoguerra si irrobustirono le infrastrutture tra cui la ferrovia Cividale-Caporetto.


Nel 1933 il fascismo proibì a livello nazionale l'uso di tutti gli idiomi che non fossero la lingua italiana. Alcuni rappresentanti del clero locale vi si opposero con decisione, ma dovettero adeguarsi (salvo eccezioni nelle aree montane) anche perché non sostenuti dall'arcivescovo Giuseppe Nogara né dal Vaticano.[4]


Durante la seconda guerra mondiale, a partire dal 1942, il territorio divenne zona di operazioni delle formazioni partigiane slovene. Dopo l'8 settembre 1943 si formò la Repubblica di Kobarid-Caporetto che comprendeva anche le Valli del Natisone e che fu attiva fino ai primi giorni di novembre, quando qui si insediarono truppe tedesche sostenute dai militari della Repubblica Sociale Italiana. La popolazione civile dovette subire violenze e angherie d'ambo le parti.


Dopo la seconda guerra mondiale nella Slavia si aprì la questione della definizione dei confini e si inasprì la dualità politico-identitaria. Chi all'epoca della guerra fredda si considerava di nazionalità slovena veniva identificato come filo-jugoslavo e comunista. Parte della popolazione locale, invece, influenzata dalle formazioni segrete, si autodefiniva italiana; non ricercò alcuna autonomia culturale né la protezione linguistica della quale godettero invece gli sloveni delle province di Gorizia e Trieste, storicamente e culturalmente molto più legati alla Slovenia[5]. Il clero sloveno da parte sua riprese l'uso della lingua slovena nelle chiese e si adoperò per il riconoscimento dei diritti culturali delle loro comunità. Anche le forze di sinistra si impegnarono per la tutela della lingua slovena, mentre la Democrazia Cristiana, partito di maggioranza assoluta nella Slavia, assunse una posizione opposta sulla questione linguistica.


Le organizzazioni segrete in funzione anticomunista e antijugoslava (Organizzazione O, Terzo corpo volontari della libertà) che poi sfociarono nell'organizzazione Gladio ebbero nella Slavia numerosi affiliati, per lo più membri del corpo degli Alpini, impiegati statali, ex fascisti e appartenenti alle forze armate della Repubblica di Salò.



La questione linguistica |


La legge di tutela della minoranza slovena in Italia (l. 38/01, promulgata durante la XIII legislatura della Repubblica Italiana) ne ha definito la presenza storica e i diritti fondamentali, includendo fra le zone di tutela anche la Slavia friulana.


Nel corso del lungo iter parlamentare le forze politiche di estrema destra, tradizionalmente antislovene, si opposero all'estensione della legge in provincia di Udine, sostenendo che gli idiomi locali non appartengano all'area linguistica slovena. L'associazione Italiana degli Slavisti, in un documento del 1989, afferma che la distanza dei dialetti sloveni in uso nelle località della provincia di Udine non è dovuta a una presunta e scientificamente inesatta estraneità di questi dialetti alla lingua slovena, bensì a fattori storici e amministrativi che hanno determinato la situazione linguistica attuale.


Pur tuttavia, alcuni seguaci di teorie pseudoscientifiche hanno preso le distanze dalla legge di tutela in quanto non giudicano essere un dialetto sloveno la lingua parlata storicamente nei territori del loro comprensorio (detta natisoniano o nediško). Quanti si riconoscono in queste posizioni sostengono che la loro originaria antica lingua slava non deriva dallo sloveno essendo precedente di oltre quattro secoli anche se, ovviamente, tutti dialetti preesistono alle lingue standard.[6].


Baudouin de Courtenay ipotizzò che gli slavi del Natisone potessero addirittura avere delle componenti o un substrato originari della cosiddetta area čakava, ossia serbo-croata, e che solo con l'evoluzione storica sono andati scemando; egli non escludeva che la provenienza potesse essere carantana. Si rimane tuttavia nel campo delle ipotesi, non essendoci testi antichi nelle lingue slave, andatesi differenziando nell'alto medioevo. In scritti successivi alle prime formulazioni, Badouin de Courteney sostenne l'indubbia appartenenza di dette parlate al sistema dialettale sloveno. Comunque, uno slavista di fama nazionale e nativo proprio di Vernasso, Bruno Guyon, propose nella prima metà del XX secolo una suddivisione linguistica nelle vallate del Natisone e dell'Alberone, da una parte, e in quelle dell'Erbezzo e del Cosizza, dall'altra. Egli inoltre analizzò il sistema vocalico e consonantico delle due varianti locali che presentano forti rassomiglianza col serbo antico.


Per accennare alla rimanente zona slovenofona del Friuli, la peculiarità dei dialetti resiani indica una loro evidente autonomia linguistica, frutto di un particolare percorso storico e del successivo isolamento della vallata. Fattori che però non pregiudicano l'intercomprensibilità del resiano con altri dialetti sloveni.



Elenco dei comuni |




I comuni della Slavia friulana in rosso. In arancione, quelli in parte contraddistinti da popolazione slovena.




Segnaletica bilingue nel comune di San Pietro al Natisone.


La Slavia friulana comprende l'intero territorio dei seguenti comuni:


























































Comune Abitanti (2015)
Superficie (km²)

Drenchia (Dreka)
119 13,28

Grimacco (Garmak)
351 14,5

Pulfero (Podbuniesac)
978 48,03

San Leonardo (Svet Lienart o anche Podutana)
1 130 27,00

San Pietro al Natisone (Špietar)
2 213 23,98

Savogna (Sauodnja)
421 22,11

Stregna (Srednje)
367 19,70

Lusevera (Bardo)
661 52,00

Taipana (Tipána)
649 65,00
Totale 6 889 285,60

A questi comuni vanno aggiunte le principali frazioni montane dei comuni di Attimis, Faedis, Nimis, Prepotto e Torreano, nonché alcune località e frazioni montane dei comuni di Montenars e Tarcento dove tuttavia lo sloveno è sicuramente scomparso da tempo.


Secondo alcuni rientrerebbe nella Slavia Friulana anche il comune di Resia, anch'esso in area linguistica slovena ma con un dialetto molto arcaico; è da ricordare che le località di Bergogna (Breginj) e Luico (Livek) erano inserite nella Schiavonia veneziana, dalla quale sono state smembrate in epoca napoleonica; fanno parte del comune di Caporetto in Slovenia.


Della comunità slovena della provincia di Udine fanno parte anche gli Sloveni della Valcanale presenti nei comuni di Malborghetto-Valbruna e Tarvisio entrati a far parte del Regno d'Italia dopo la prima guerra mondiale.



Note |




  1. ^ Secondo il geografo Giorgio Valussi "il nome di Slavia Veneta gode tuttavia ancora del maggior credito nella letteratura". Giorgio Valussi, Gli Sloveni in Italia, Trieste, Lint, 1974, p. 73.


  2. ^ Un analogo discorso etnotoponomastico è valso anche in altre aree italiane, dove si possono riscontrare località quali San Giacomo degli Schiavoni in Molise e Ginestra degli Schiavoni in Campania.


  3. ^ Il termine "Benečija" viene traslitterato in italiano anche come "Benecía". In sloveno viene usata anche la denominazione Beneška Slovenija (Slovenia veneziana), mentre in italiano è presente anche la versione Slavia Veneta


  4. ^ I sacerdoti contrari alla politica linguistica vennero sottoposti a controlli e minacciati di confino. Scrissero lettere alle autorità ecclesiastiche e civili; due di essi, don Giuseppe Cramaro di Antro e don Natale Zufferli di Codromaz, si recarono in Vaticano dove, insieme all'arcivescovo, furono ricevuti presso la Segreteria di Stato. Ma i loro appelli rimasero inascoltati.


  5. ^ Faustino Nazzi, Alle origini della "Gladio": la questione della lingua slovena nella vita religiosa della Slavia Friulana nel secondo dopoguerra, in Udine: La Patrie dal Friul, 1997.


  6. ^ Copia archiviata, su legaslaviafriulana.org. URL consultato il 17 novembre 2009 (archiviato dall'url originale il 9 marzo 2009).



Bibliografia |



  • Autori vari, Slavia friulana, Cormons 2013 il cui testo è consultabile qui

  • Autori vari, Guida delle Prealpi Giulie, Udine 1912.

  • Autori vari, Pulfero - Ambiente, storia, cultura, Pulfero1994.

  • Autori vari, Valli del Natisone - Nediške doline, (a cura di P.Petricig), San Pietro al Natisone 2000.

  • Autori vari, Terre d'incontro - Kraji srečanj, Cividale 2007.

  • Giorgio Banchig, Slavia - Benečija. Una storia nella storia, Cividale 2013.

  • Enrico Bonessa, L'infinita polemica, Udine 2013.

  • M. Brecelj - G. Nazzi, Lingue d'Europa: italiano, friulano, sloveno, tedesco, inglese, Udine 1995.

  • Angelo Cracina, Gli Slavi della Val Natisone. Religiosità e folclore ladino e slavo nell'alto Friuli, Del Bianco, Udine 1978

  • Antonio Cuffolo, Moj dnevnik. La seconda guerra mondiale vista e vissuta nel "focolaio" della canonica di Lasiz, (a cura di G.Banchig), Cividale 2013.

  • Daniela Durissini e Carlo Nicotra, Valli del Torre e del Natisone, Trieste, Lint, 2002, ISBN 88-8190-177-3.

  • Carlo Podrecca, Slavia italiana, Cividale 1884.

  • Carlo Podrecca, Slavia italiana - Polemica, Cividale 1885.

  • Carlo Podrecca, Slavia italiana - Istituzioni amministrative ..., Cividale 1887.

  • Liliana Spinozzi Monai, Il Glossario del dialetto del Torre di Jan Baudouin de Courtenay, Consorzio Universitario del Friuli, (2009).

  • Liliana Spinozzi Monai, xxxx knjiga z besedili B. de Courteneya v nediškem narečju.

  • Nino Špehonja, Nediška gramatika, Cormons 2012.

  • Nino Špehonja, Besednjak Nediško-Taljansko, Cormons 2012.

  • Nino Špehonja, Vocabolario Italiano-Nediško, Cormons 2012.



Voci correlate |



  • Diffusione dello sloveno in Italia

  • Friuli

  • Pulfero

  • Matajur (giornale)

  • Novi Matajur

  • Lingue parlate in Italia

  • Jan Niecislaw Baudoin de Courtenay



Altri progetti |



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Collegamenti esterni |



  • Centro studi Nediža, su nediza.org.

  • Storia della Slavia friulana, su legaslaviafriulana.org. URL consultato il 18 agosto 2009 (archiviato dall'url originale il 9 marzo 2009).

  • I sentieri della Slavia friulana, su nediskedoline.it.

  • Il Santuario delle valli del Natisone., su castelmonte.info.


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