Pelasgi
Con il nome Pelasgi (in greco antico: Πελασγοί, Pelasgói, singolare Πελασγός, Pelasgós) i Greci dell'età classica indicavano il complesso delle popolazioni preelleniche della Grecia, generalmente considerate autoctone ma, all'epoca, ormai estinte e delle quali, peraltro, riportavano vicende confuse e contrastanti[1]. Archeologicamente, i Pelasgi potrebbero essere identificati con il popolo dei Peleset, citato nelle iscrizioni egiziane tra i Popoli del Mare che attaccarono l'Egitto durante il regno del faraone Ramses III, ed aver poi formato il popolo dei Filistei[2].
Indice
1 Descrizione
2 La tradizione classica
2.1 Omero
2.2 Post-omerici
2.3 Erodoto e Tucidide
2.4 Dionigi di Alicarnasso
2.5 Scrittori antichi più tardi
3 Teorie moderne
3.1 I Pelasgi-Filistei
3.2 Teorie linguistiche
3.3 Teorie genetiche
3.4 Robert Graves
4 Note
5 Altri progetti
Descrizione |
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Seguendo la terminologia degli antichi storici greci, con il termine "pelasgico", in senso lato, ci si potrebbe riferire a tutti gli abitanti autoctoni delle terre intorno all'Egeo e alla loro cultura prima dell'avvento del linguaggio greco. Tale indicazione, tuttavia, presupporrebbe la formazione, tuttora indimostrata, della lingua greca al di fuori della penisola elladica e l'avvento di popolazioni "parlanti greco" nell'area egea, in età pre-micenea[3].
Nel periodo classico, una provincia della Tessaglia, nella Grecia settentrionale, era ancora chiamata Pelasgiotide, cioè, "terra dei Pelasgi", pur essendo ormai abitata da Greci. Il territorio principale dei Pelasgi era tradizionalmente ritenuto l'Arcadia[4], mentre la loro patria d'origine l'Argolide, da dove sarebbero emigrati sia in Tessaglia che a Lesbo, nell'Ellesponto, nella Licia e anche in alcune zone dell'isola di Creta[1]. Dalla Pelasgiotide tessala, i Pelasgi avrebbero esportato in Epiro il culto di Zeus, in particolare a Dodona, ove esisteva il santuario di un oracolo, tradizionalmente considerato il più antico della Grecia[1]. A sud della Troade, i Pelasgi avrebbero occupato, oltre alla Licia, anche la Caria e l'isola di Lemno, che avrebbero abitato sino alla fine del VI secolo a.C.[5]. Nel V secolo, sembra che abitassero ancora popolazioni pelasgiche in alcune città dell'Ellesponto[6] di cui oggi si è persa memoria.
In zone considerate tradizionalmente abitate dai Pelasgi, come la Tessaglia, gli scavi archeologici del XX secolo hanno portato alla luce manufatti neolitici, in particolare a Sesklo e Dimini. Le presunte correlazioni tra la cultura pelasgica e tali materiali, nonché a quelli successivi riferiti all'"Elladico medio" o all'"Elladico tardo" della Grecia micenea, sono ancora a livello di congetture. Parimenti aleatori sono i collegamenti di evidenze del materiale archeologico con la cultura linguistica chiamati in causa da parte di Walter Pohl e altri studiosi di etnogenesi.
Varie tradizioni conferivano ai Pelasgi una parte di primo piano nel processo preistorico del popolamento dell'Italia[7]. Ad essi era attribuita la realizzazione delle mura poligonali dell'Italia centro-meridionale[8], da loro definite "pelasgiche", probabilmente per la loro somiglianza ad una muraglia di Atene, detta "muro pelasgico", perché attribuita a tale popolazione[9].
La “diaspora” del popolo dei Pelasgi, infatti, avrebbe toccato la foce del Po, dove avrebbero fondato la città di Spina[10].
Poi, i Pelasgi avrebbero scavalcato l'Appennino e disceso la penisola sino al lago di Cotilia, nell'antica Sabina. Qui avrebbero stretto un'alleanza con gli Aborigeni, cioè le popolazioni autoctone (dal latino: Ab origines), per scacciare – vittoriosamente - i Siculi dal Lazio[11]. A seguito di tali accordi e campagne vittoriose, avvenute, orientativamente, alla fine dell'età del bronzo, gli Italici avrebbero concesso ai Pelasgi il popolamento dell'Etruria, dove si sarebbero insediati[12].
Complessivamente, si attribuiva ai Pelasgi una vocazione migratoria e, in particolare, marinara: Eusebio, nel Chronicon, considerava quella dei Pelasgi una "talassocrazia" e gli riconosceva il dominio del Mar Mediterraneo, in un periodo che sarebbe iniziato novantanove anni dopo la caduta di Troia e sarebbe durato altri ottantacinque (secondo la cronologia di Eratostene di Cirene, tra il 1082 e il 997 a.C.)[13].
Con estremo interesse, tuttavia, vanno lette le iscrizioni in geroglifico del tempio funerario del faraone Ramses III (1193-1155) di Medinet Habu, che potrebbero contenere un chiaro riferimento - forse l'unico, archeologicamente documentato - all'esistenza reale del popolo dei Pelasgi. L'iscrizione descrive un attacco effettuato nell'8º anno di regno del faraone (1186 a.C.) da un'alleanza di cinque popoli stretta dopo aver distrutto la città di Ugarit (Siria): tra costoro compaiono i Peleset, oltre agli Šekeleš, i Tjeker, gli Wešeš e i Denyen, con al seguito donne, bambini e masserizie. I popoli vengono complessivamente denominati "Popoli del Mare, del nord e delle isole"[14]. Secondo l'iscrizione, gli Egizi respinsero gli invasori a Djahy, una località nella terra di Canaan.
L'origine egea dei Peleset (e quella dei Tjeker e dei Denyen) è attestata dall'iconografia dei guerrieri riprodotti, che indossano un elmo piumato, trattenuto alla gola da una fascetta di cuoio e hanno in dotazione spade di tipo acheo. Il tipo di elmo piumato, infatti, trova riscontri anche nell'ambito egeo dell'età del bronzo e sul cretese disco di Festo[15]. I Peleset si sarebbero poi stabiliti in Palestina, dove avrebbero formato il popolo dei Filistei[2].
La presunta migrazione, nell'età del bronzo finale o nella prima età del ferro, di alcuni gruppi di Pelasgi dell'area egea o anche di Pelasgi-Filistei della Palestina, nella penisola italiana o nelle isole, non trova l'unanimità dei consensi tra gli storici e gli archeologi.
La tradizione classica |
Omero |
Il nome dei Pelasgi appare per la prima volta nei poemi di Omero, dove, nell'Iliade, sono indicati tra gli alleati di Troia; nel Catalogo delle navi, organizzato secondo un rigido schema geografico, sono citati tra le città dell'Ellesponto ed i Traci del sud-est dell'Europa[16], ossia sul confine tra Tracia ed Ellesponto. Omero chiama la loro città, o distretto, Larissa, e la dice fertile ed i suoi abitanti famosi per la perizia nel combattimento sulle navi. Omero riporta anche i nomi dei loro capi: Ippotoo e Pileo, figli di Leto Teutamide.
Due altri passaggi dell'Iliade[17] attribuiscono l'epiteto di pelasgo ad un distretto chiamato Argo nei pressi del Monte Otri, nella parte meridionale della Tessaglia ed al tempio di Zeus a Dodona; nessuno dei due passaggi cita però realmente i Pelasgi; Elleni e Achei popolano la tessala Argo e Dodona ospita Perebi ed Enieni[18] che non sono descritti come Pelasgi. Si nota, quindi, come "pelasgo" venga usato sia nel significato di "abitato precedentemente dai Pelasgi", sia in quello di "epoca dimenticata".
L'Odissea[19] posiziona i Pelasgi a Creta, insieme a due popoli indigeni ed a due popoli immigrati (Achei e Dori), ma non dice a quale di queste due categorie appartengano i Pelasgi.
Post-omerici |
Strabone cita Eforo, che a sua volta citava Esiodo in relazione al riferimento omerico, chiamando Dodona "sede dei Pelasgi". Ricorda che "quasi tutti" sono d'accordo nell'ammettere che fossero un'antica tribù, diffusasi in tutta la Grecia, ma soprattutto tra gli Eoli di Tessaglia[20]. Riferisce che Eforo dice fossero Arcadi in origine, scegliendo di darsi alla vita militare[20]. Divennero coloni di Creta, come racconta Omero[21]. Egli cita anche un eponimo Pelasgo, il padre dell'eroe dell'Arcadia, Licaone[20].
Pausania cita "Asio" per definire Pelasgo come il primo uomo, generato dalla terra allo scopo di creare la razza umana[22].
Lo storico Eforo di Cuma riferisce di un brano di Esiodo che attesta la tradizione di un popolo dei Pelasgi in Arcadia e sviluppa la teoria che fosse un popolo di guerrieri diffusosi da una "patria" che aveva annesso e colonizzato tutte le regioni della Grecia in cui gli autori antichi fanno cenno a loro, da Dodona a Creta alla Troade fino in Italia, dove i loro insediamenti sono ben riconoscibili ancora nel tempo degli Elleni e sono in stretta relazione con i "Tirreni".
Il logografo greco Ecateo di Mileto (560 circa - 490 circa a.C.) ritiene Pelasgo re della Tessaglia[23]. Acusilao attribuisce il passaggio omerico ad Argo ed inserisce il Pelasgo di Esiodo, padre di Licaone, nella genealogia del Peloponneso. Ellanico conferma questa attribuzione una generazione dopo ed identifica questi "Argivi" o "Pelasgi arcadi" con i "Pelasgi tessali" di Ecateo[24].
Eschilo, come Asio, considera Pelasgo nato dalla terra[25] e signore di un regno che si estende da Argo a Dodona e Strymon. Contemporaneamente[26] la terra dei Pelasgi è semplicemente Argo.
Erodoto e Tucidide |
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Erodoto, come Omero, usa il termine "Pelasgi" sia in modo connotativo che in modo denotativo. Egli descrive i Pelasgi a lui contemporanei, che parlano una lingua comprensibile come stanziati a Placie e Scylace, sulla costa asiatica dell'Ellesponto, e vicino a Creston sullo Strymon; in questa area avrebbero avuto come vicini i Tirreni[6].
Erodoto allude anche ad altre zone dove i Pelasgi vivono sotto altri nomi: Samotracia e Antandro nella Troade sono probabilmente esempi di ciò. Trattando di Lemnos ed Imbro, descrive una popolazione pelasgica che gli ateniesi avrebbero da poco soggiogato (intorno al 500 a.C.), ed in connessione con ciò narra la storia di antiche incursioni di questi Pelasgi in Attica e del loro temporaneo stanziamento nell'Ellesponto pelasgico. Tutti questi fatti sarebbero avvenuti nel tempo in cui "gli ateniesi incominciarono, per primi, a definirsi greci". In altri casi con "Pelasgi", Erodoto, indica tutti coloro che fossero vissuti in Grecia prima dei greci (in questo senso tutta la Grecia è definibile come pelasgica).
I più chiari esempi di testimonianze dei Pelasgi in riti, usi e strutture antiche si trovano in Arcadia, la regione "ionica" nel nord-est del Peloponneso, ed in Attica, che è stata toccata per ultima dalla ellenizzazione.
Tutti gli esempi di Erodoto su Pelasgi a lui contemporanei si riferiscono ai Pelasgi della Tracia omerica. La testimonianza di Tucidide conferma la grande differenza tra i Pelasgi e le popolazioni tirreniche e anche che Tucidide adotta la stessa teoria generale sulla Grecia antica, con il perfezionamento che riguarda il nome Pelasgi, prima specifico e poi via via diventato di uso generico.
Dionigi di Alicarnasso |
Lo storico Dionigi di Alicarnasso dice dei Pelasgi che erano una popolazione greca originaria del Peloponneso, da dove si spostarono in Tessaglia, cacciandone i barbari che l'abitavano. A loro volta cacciati dalla Tessaglia dagli etoli e dai Lelegi, si dispersero tra Creta, le Cicladi, Beozia, altri arrivarono a Spina alle bocche del Po[27], mentre altri vennero in contatto nell'Italia centrale, con gli Umbri, contro cui ebbero alcuni scontri, e gli Aborigeni, con cui invece si allearono.[11] Uniti i due popoli diedero guerra ai Siculi, e fondarono o conquistarono alcune città, come Caere, Pisa, Saturnia e Alsium[12]. Ma soprattutto a Falerii e Fescennium, strappate entrambe ai Siculi, che anche in epoca romana, rimanevano vestigia e tradizioni comprovanti la loro origine greca[28]. Tra questi le armi, come lo scudo argolico, la tradizione di far richiedere la pace da speciali sacerdoti prima di dare guerra, e il tempio di Giunone di Falerii, della stessa forma di quello dedicato alla dea ad Argo[29].
Scrittori antichi più tardi |
Il grammatico Servio nei Commentarii in Vergilii Aeneidos libros,[30] citando Conone, circa l'origine dei Sarrastri, o Sarrasti (popoli della Campania), dice che alcuni Pelasgi insieme ad altre popolazioni emigrate dal Peloponneso giunsero in un luogo d'Italia ("che non aveva alcun nome prima") e diedero il nome di "Sarro" al fiume presso il quale abitarono (odierno Sarno), dalla denominazione del fiume della loro patria e chiamarono se stessi Sarrastri. Qui i Pelasgi avrebbero fondato molte città tra cui Nuceria.
Copiose informazioni aggiuntive vengono da scrittori posteriori che interpretano leggende locali alla luce della teoria di Eforo o spiegano il nome Pelasgoi. Filocoro che sviluppa una etimologia "popolare" in una teoria sulle loro migrazioni stagionali, mentre Apollodoro afferma che Omero chiama Zeus Pelasgo "perché egli non è lontano da alcuno di noi".
Teorie moderne |
I Pelasgi-Filistei |
Un'opera egiziana redatta intorno al 1100 a.C., l'onomastico o "insegnamento di Anememope", documenta la presenza dei "Peleset" sulla costa dell'attuale Israele, nei luoghi che la Bibbia descrive come abitati dai Filistei[31]. Dopo la sconfitta subita dal faraone Ramses III, infatti, questi ultimi, insieme ad altri Popoli del Mare, sarebbero stati autorizzati a stanziarsi in tale territorio, comunque sottoposto al dominio egiziano[32].
Tuttavia, al fine di identificare i Pelasgi con i "Peleset" e, quindi, con i Filistei, va prioritariamente notato che la forma originaria, indicata in Omero per definire i Pelasgi era "Pelasti"[33] e cioè un nominativo identico a quello indicante i "Peleset" nei geroglifici egiziani che, come è noto, non prevedono vocali. Tale forma sarebbe tuttora rimasta ad indicare la Palestina.
L'identificazione dei Filistei con il popolo dei Pelasgi è comunque condizionata alla dimostrazione archeologica della loro possibile origine egea, di cui è un consistente indizio l'elmo piumato e le armi di tipo acheo, indossate dai Peleset nelle raffigurazioni di Medinet Habu.
La stessa Bibbia sottolinea la diversità etnica dei Filistei, rispetto al popolo d'Israele: nel libro del profeta Amos, i Filistei sarebbero originari di "Kaftor"[34], un territorio che la maggior parte degli studiosi moderni assimilerebbe alla "Keftiu" dei geroglifici egiziani di Amarna e cioè all'isola di Creta[35]. Nel 1966, infatti, l'archeologo tedesco E. Edel ha pubblicato alcuni testi del tempio del faraone Amenofi III che localizzerebbero in Keftiu le città cretesi di Cnosso, Festo e Amnisos e, in altre aree vicine, la città di Micene e l'isola di Citera. Anche nel testo ebraico del libro di Geremia, i Filistei sarebbero indicati come "popolo di Cretesi" e i "superstiti di Kaftor"[36]. Tuttavia, il fattore decisivo che dimostra archeologicamente l'origine egea, o - molto più probabilmente - micenea, dei Filistei è il rinvenimento nelle aree oggetto di scavo, di ceramica importata del tipo definito del tardo Miceneo IIIb negli strati precedenti al 1200 a.C e la produzione in loco della ceramica micenea del tipo IIIc negli strati successivi[37].
Giovanni Garbini, il biblista che sostiene maggiormente l'importanza del popolo filisteo, nel bacino del Mediterraneo dell'età del bronzo finale, è del parere che i rinvenimenti di tale tipo di ceramica sul suolo italiano (principalmente siti della Sardegna e della Sicilia, ecc.) dimostrerebbero la diffusione, in età protostorica, della cultura filistea e, quindi, pelasgica, nella penisola italiana e nelle isole[2]. In analogia con Eusebio, che riconosceva alla "talassocrazia" dei Pelasgi il dominio del Mar Mediterraneo, nel secolo X a.C.[13], Garbini giunge ad affermare che, a suo parere, "per circa due secoli (il X e l'XI, n.d.r.) il Mediterraneo fu probabilmente un mare in gran parte filisteo"[38].
Teorie linguistiche |
Considerando i Pelasgi un unico popolo pre-greco autoctono della penisola elladico, qualora fosse dimostrata l'ipotesi dell'introduzione della lingua greca nell'area, in età pre-micenea, da parte di popolazioni "parlanti greco" provenienti da altrove, alcune caratteristiche linguistiche e culturali non-indoeuropee (e, quindi, pre-greche) potrebbero essere attribuite ai Pelasgi. In particolare:
- prestiti linguistici non-indoeuropei nel greco, introdotti nel suo sviluppo preistorico;
- toponimi non greci nella regione contenenti la sequenza "-nth-" (esempio Corinth), oppure "-tt-", in Attica, o "-ss-"(esempio Larissa). Alcune osservazioni, tuttavia, suggerirebbero che i toponimi con "-ss-" possano avere relazioni con gli Ittiti come ad esempio Parnassus (Parnaso) che può essere correlato con la parola ittita o parna, che significa casa;
- miti e divinità (spesso dee) che non hanno corrispondenza in altri popoli indoeuropei come Germani, Celti o Indiani;
- un piccolo numero di iscrizioni in una lingua non greca. Quelle meglio conosciute provengono da Lemnos.
Grazie alle analogie fra la lingua della stele di Lemnos e l'alfabeto etrusco, le teorie più recenti associano la nascita della civiltà etrusca proprio all'arrivo di queste popolazioni egee le quali, una volta stanziatesi nella penisola italica, si sarebbero poi evolute assumendo caratteri tipici della cultura e della lingua indigena[39]. Lo stesso Erodoto, nelle sue Storie, attribuisce ai Pelasgi l'origine dei Tyrrhenoi[40].
Teorie genetiche |
Secondo moderne teorie genetiche le popolazioni pelasgiche (precedenti delle culture minoiche e elleniche) appartenevano agli aplogruppi del tipo I (arrivati dal Medio Oriente come aplogruppo IJ circa 35.000 anni fa e sviluppati in aplogruppo I circa 25.000 anni fa), E-V13 e T (arrivati dall'area siriana, dopo aver colonizzato l'Anatolia meridionale, in epoca neolitica, 8.500/7.000 anni fa) e G2a (giunti dal Caucaso, attraverso l'Anatolia meridionale circa 6.000 anni fa, legati alla pastorizia ed alla lavorazione dei metalli).
Tali teorie genetiche e storiche sembrano spiegare anche il mito della titanomachia che spiegherebbe le verità storiche delle successive invasioni elleniche (ionica, eolica ed achea) a discapito delle popolazioni locali (pelasgiche).
Robert Graves |
Nel 1955 il poeta e mitografo Robert Graves, nel saggio The Greek Myths, afferma che alcuni elementi di questa mitologia sono originari del popolo del Pelasgi, principalmente le parti relative all'idea di Dea Bianca, un archetipo della divinità della terra. In supporto di questa sua tesi porta la sua interpretazione di alcuni testi antichi: irlandesi, gallesi, greci, biblici, gnostici e medievali[41].
La maggior parte degli studiosi considera le tesi di Graves con molto sospetto, mentre alcuni circoli letterari e molti gruppi neopagani le hanno pienamente accettate.
Note |
^ abc Jean Bérard, La Magna Grecia. Storia delle colonie greche dell'Italia meridionale, traduzione di P.B. Marzolla, Torino, Einaudi, 1963, p. 463.
^ abc Giovanni Garbini, I Filistei. Gli antagonisti di Israele, Milano, Rusconi, 1997.
^ John Chadwick, Il mondo miceneo, Milano, Mondadori, 1980, pp. 21-22.
^ Erodoto, I, 146 e II, 171; Nicola Damasceno, apud Stefano di Bisanzio, F. G. H., III, fr. 42, p. 378; Jean Bérard, cit., pp. 348 e 463.
^ Jean Bérard, cit., p. 464.
^ ab Erodoto, I, 57.
^ Jean Bérard, cit., p. 456.
^ L.C.F. Petit-Radel, Rèsultats généraux de quelques recherches historiques sur les monuments cyclopéens de l'Italie et de la Grèce, lus à la sèance publique de la Classe d'histoire et de litterature ancienne, in Moniteur Universel, nº 194, Parigi, 1807.
^ Jean Bérard, cit., pp. 450-451.
^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, I 18.3-5.
^ ab Dionigi di Alicarnasso, cit., I, 19.
^ ab Dionigi di Alicarnasso, cit., I, 20.4-5.
^ ab Alfred Schoene, Eusebi Chronicorum Libri. 2 vols, Weidmann, Berlino, 1875, pp. 54-55, 58, 61-65, 69 e Jean Bérard, cit., p. 469.
^ Sea Peoples, su Encylopedia Britannica. URL consultato l'8 settembre 2012.
^ Syria: Early history, su Encylopedia Britannica. URL consultato l'8 settembre 2012.
^ Omero, Iliade, II, vv. 840- 843. Sempre nell'Iliade (X, vv. 428-429) è descritto il loro accampamento tra la città di Troia ed il mare.
^ Omero, Iliade, II, vv. 681-684; XVI, vv. 233-235.
^ Omero, Iliade, II, v. 750.
^ Omero, Odissea, XVII, vv. 175-177.
^ abc Strabone, Geografia, V, 2,4.
^ Omero, Odissea, XIX, 175-177.
^ Pausania, Descrizione della Grecia, VIII, 1, 4, 6.
^ Ecateo, FGrHist. F 127.
^ Dionigi di Alicarnasso, cit., 1, 46-48 = Ellanico, FGrHist. 4 F 77.
^ Eschilo, Suppl., vv. 249 e succ.
^ Eschilo, Prometeo, vv. 850 e succ.
^ Dionigi di Alicarnasso, cit., I, 17-18.
^ Dionigi di Alicarnasso, cit., I 21.1.
^ Dionigi di Alicarnasso, cit., I, 21.2.
^ Servio, Ad Aeneida VII, 738.
^ Garbini, cit., p. 52.
^ Garbini, cit., p. 35-36.
^ Omero, Iliade, XVI, 223.
^ Amos, 9-7.
^ Garbini, cit., pp. 52-53.
^ Geremia, 2, 4-5 e 47, 4.
^ Garbini, cit., pp. 52-55.
^ Garbini, cit., p. 126.
^ Massimo Pallottino, Etruscologia, Milano, Hoepli 2002.
^ Erodoto, I, 94.
^ (EN) Robert Graves, The Greek Myths, vol. 1, Londra, Penguin Books, 1990 [1955], ISBN 978-0-14-001026-8.
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