Disabilità




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Nota disambigua.svgDisambiguazione – "Handicap" rimanda qui. Se stai cercando altri significati per il termine, vedi Handicap (disambigua).




Simbolo internazionale di accessibilità


La disabilità (o handicap) è la condizione di chi, in seguito a una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d'interazione con l'ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma, pertanto è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale.[1]




Indice






  • 1 Significato


    • 1.1 La classificazione ICIDH


    • 1.2 Il nuovo standard ICF


    • 1.3 Differenze tra le due prospettive


    • 1.4 Pro


    • 1.5 Contro


    • 1.6 Possibile sintesi




  • 2 La tutela giuridica internazionale


    • 2.1 La dichiarazione di Madrid


    • 2.2 La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità




  • 3 Le legislazioni nazionali


    • 3.1 Italia




  • 4 Note


  • 5 Voci correlate


  • 6 Altri progetti


  • 7 Collegamenti esterni





Significato |


Il mondo della disabilità ha vissuto profonde trasformazioni in epoca contemporanea e, a partire dagli anni settanta del XX secolo, ha preso corpo un'azione di rinnovamento dei servizi e degli interventi a favore del disabile[2]. Il cosiddetto processo d'inserimento dei portatori di handicap, oggetto delle politiche sociali di quegli anni è andato via via affinandosi, sino a diventare un processo d'integrazione. Inoltre, tra i termini inclusione sociale e integrazione sociale vi è una distinzione:



  • L'inclusione sociale è la situazione in cui, in riferimento a una serie di aspetti che permettono agli individui di vivere secondo i propri valori, le proprie scelte, è possibile migliorare le proprie condizioni e rendere le differenze tra le persone e i gruppi socialmente accettabili.

  • L'integrazione sociale è, invece, qualcosa di più profondo, come l'inserimento delle diverse identità in un unico contesto all'interno del quale non sia presente alcuna discriminazione. L'integrazione è intesa come il processo attraverso il quale il sistema acquista e soprattutto conserva un'unità strutturale e funzionale, mantenendo un equilibrio attraverso processi di cooperazione sociale e di coordinamento tra i ruoli e le istituzioni.


Quello di disabilità non è un concetto universale, ma molto spesso la sua definizione è legata al ricercatore e/o al tipo di ricerca che si sta effettuando.


Non esiste a livello internazionale un'univoca definizione del termine, anche se il concetto di disabilità è stato dibattuto in occasione della Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, redigendo un documento finale approvato dall'Assemblea generale il 25 agosto 2006.



La classificazione ICIDH |


La classificazione ICIDH (International Classification of Impairments Disabilities and Handicaps) del 1980 dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) distingueva tra:




  • Menomazione[3] intesa come perdita o anormalità a carico di una struttura o una funzione psicologica, fisiologica o anatomica e rappresenta l'estensione di uno stato patologico. Se tale disfunzione è congenita si parla di minorazione;


  • Disabilità, ovvero qualsiasi limitazione della capacità di agire, naturale conseguenza ad uno stato di minorazione/menomazione;


  • Handicap, svantaggio vissuto da una persona a seguito di disabilità o minorazione/menomazione.


Questo significa che mentre la disabilità viene intesa come lo svantaggio che la persona presenta a livello personale, l'handicap rappresenta lo svantaggio sociale della persona con disabilità. L'ICIDH prevede la sequenza: Menomazione--->Disabilità--->Handicap, che, tuttavia, non è automatica, in quanto l'handicap può essere diretta conseguenza di una menomazione, senza la mediazione dello stato di disabilità.
Le origini della parola handicap risalgono alla descrizione di svantaggio nelle corse dei cavalli, in cui animali diversi erano caricati con pesi diversi per svantaggiarli.


Si parla di handicap per descrivere uno svantaggio fisico, senza tenere in considerazione la condizione che si crea, quando viene detta questa parola, che può manifestare nel disabile un senso di disagio e rabbia per la sua situazione.


Per descrivere la situazione di una persona disabile molto spesso la tv usa il termine "handicap", senza contare a chi è disabile, la situazione di imbarazzo che si crea in lui.mw-parser-output .chiarimento{background:#ffeaea;color:#444444}.mw-parser-output .chiarimento-apice{color:red}[senza fonte].


Tale classificazione negli anni ha mostrato una serie di limitazioni.



  • Non considera che la disabilità è un concetto dinamico, in quanto può anche essere solo temporanea.

  • È difficile stabilire un livello oltre il quale una persona può considerarsi disabile.

  • La sequenza può essere interrotta, nel senso che una persona può essere menomata senza essere disabile.

  • Nell'ICIDH si considerano solo i fattori patologici, mentre un ruolo determinante nella limitazione o facilitazione dell'autonomia del soggetto è giocato da quelli ambientali.


Negli anni 90, l'OMS ha commissionato a un gruppo di esperti di riformulare la classificazione tenendo conto di questi concetti. La nuova classificazione, detta ICF (International Classification of Functioning) o Classificazione dello stato di salute, definisce lo stato di salute delle persone piuttosto che le limitazioni, dichiarando che l'individuo "sano" si identifica come "individuo in stato di benessere psicofisico" ribaltando, di fatto la concezione di stato di salute. Introduce inoltre una classificazione dei fattori ambientali.



Il nuovo standard ICF |


Il concetto di disabilità cambia e secondo la nuova classificazione (approvata da quasi tutte le nazioni afferenti all'ONU) e diventa un termine ombrello che identifica le difficoltà di funzionamento della persona sia a livello personale che nella partecipazione sociale.


In questa classificazione i fattori biomedici e patologici non sono gli unici presi in considerazione, ma si considera anche l'interazione sociale: l'approccio, così, diventa multiprospettico: biologico, personale, sociale. La stessa terminologia usata è indice di questo cambiamento di prospettiva, in quanto ai termini di menomazione, disabilità ed handicap (che attestavano un approccio essenzialmente medicalista) si sostituiscono i termini di Strutture Corporee, Attività e Partecipazione.


Di fatto lo standard diventa più complesso, in quanto si considerano anche i fattori sociali, e non più solo quelli organici.












Funzioni corporee

  1. Funzioni mentali

  2. Funzioni sensoriali e dolore

  3. Funzioni della voce e dell'eloquio

  4. Funzioni dei sistemi cardiovascolare, ematologico, immunologico, respiratorio

  5. Funzioni dell'apparato digerente e dei sistemi metabolico ed endocrino

  6. Funzioni riproduttive e genitourinarie

  7. Funzioni neuro - muscolo - scheletriche correlate al movimento

  8. Funzioni cutanee e delle strutture correlate



Strutture corporee

  1. Sistema nervoso

  2. Visione e udito

  3. Comunicazione verbale

  4. Sistemi cardiovascolare e immunologico, apparato respiratorio

  5. Apparato digerente e sistemi metabolico ed endocrino

  6. Sistemi genitourinario e riproduttivo

  7. Movimento

  8. Cute e strutture correlate



Fattori ambientali

  1. Prodotti e tecnologia

  2. Ambiente naturale e cambiamenti effettuati dall'uomo

  3. Relazione e sostegno sociale

  4. Atteggiamenti

  5. Sistemi, servizi e politici



Attività e partecipazione

  1. Apprendimento ed applicazione delle conoscenze

  2. Compiti e richieste generali

  3. Comunicazione

  4. Mobilità

  5. Cura della propria persona

  6. Vita domestica

  7. Interazione e relazioni personali

  8. Aree di vita principali

  9. Vita sociale, civile e di comunità



La nuova classificazione è subentrata all'ICIDH il 21 maggio 2001 quale nuovo standard di classificazione dello stato di malattia e di salute.



Differenze tra le due prospettive |


L'ICIDH era coerente con una prospettiva organicistica, e il punto di partenza è sempre lo stato morboso (malattia congenita o sopravvenuta, incidente) in seguito al quale si origina una menomazione, intesa come perdita (o anomalia) funzionale, fisica o psichica, a carico dell'organismo. Tale menomazione può sfociare in disabilità, intesa come limitazione della persona nello svolgimento delle "normali" attività, mentre questa può portare all'handicap, ovvero allo svantaggio sociale che si manifesta nell'interazione con l'ambiente.


Quella dell'ICF è una prospettiva multidimensionale, che non si limita solo ai fattori organici, definiti come "funzioni" e "strutture corporee". In effetti l'intero schema dell'ICF è fondamentalmente una ripartizione in due macrocategorie, a loro volte ulteriormente suddivise:



  • Parte 1: Funzionamento e disabilità, comprendente i fattori organici;

    1. Strutture corporee (organi e strutture anatomiche in genere)

    2. Funzioni corporee (le funzioni fisiologiche espletate da tali strutture)



  • Parte 2: Fattori contestuali;

    1. Fattori ambientali (ovvero dell'ambiente fisico - sociale)

    2. Fattori personali, consistenti nella capacità d'interazione con l'ambiente fisico - sociale.




Ogni fattore interagisce con gli altri, ed i fattori ambientali e personali non sono meno importanti dei fattori organici. Lo schema generale è: funzioni e strutture corporee <--> Attività <--> Partecipazione.


In sostanza l'ICIDH valutava i fattori di disabilità iniziando dalla menomazione, mentre l'ICF valuta le abilità residue dell'individuo (tale ottica è evidente sin dal nome dello standard, ovvero "classificazione internazionale delle funzionalità"), sostituendo al concetto di "grado di disabilità" quello di "soglia funzionale".


Ciò che è fondamentalmente diverso è l'ambito di applicazione: mentre l'ICIDH è limitato al semplice ambito della disabilità, l'ICF descrive i vari gradi di funzionalità partendo dall'interazione dei suoi fattori e prevedendo anche diverse sottoclassi dello stesso parametro.[4]


  • Strutture corporee
    • Funzioni mentali
      • Funzioni mentali globali
        • Funzioni dell'orientamento
          • Orientamento alla persona
            • Orientamento a sé stessi






La disabilità stessa, quindi, viene vista in senso dinamico, in quanto non solo dipendente da stati patologici cronici, ma anche da fattori psichici e sociali, fattori necessariamente in costante evoluzione.



Pro |


«Nel 1999 l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato la nuova "Classificazione Internazionale delle Menomazioni, delle Attività personali (ex-Disabilità) e della Partecipazione sociale (ex handicap o svantaggio esistenziale)" (ICIDH-2). [...In particolare,] con attività personali si considerano le limitazioni di natura, durata e qualità che una persona subisce nelle proprie attività, a qualsiasi livello di complessità, a causa di una menomazione strutturale o funzionale. Sulla base di questa definizione ogni persona è diversamente abile. Una persona - scrive Canevaro - è relativamente handicappata, cioè l'handicap è un fatto relativo e non un assoluto, al contrario di ciò che si può dire per il deficit. In altri termini, un'amputazione non può essere negata ed è quindi assoluta; lo svantaggio (handicap) è invece relativo alle condizioni di vita e di lavoro, quindi alla realtà in cui l'individuo amputato è collocato. L'handicap è dunque un incontro fra individuo e situazione.»


«Il 22 maggio 2001 l'OMS perviene alla stesura di uno strumento di classificazione innovativo, multidisciplinare e dall'approccio universale: "La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute", denominato ICF. All'elaborazione di tale classificazione hanno partecipato 192 governi che compongono l'Assemblea Mondiale della Sanità. […] Il primo aspetto innovativo della classificazione emerge chiaramente nel titolo della stessa. […] L'applicazione universale dell'ICF emerge nella misura in cui la disabilità non viene considerata un problema di un gruppo minoritario all'interno di una comunità, ma un'esperienza che tutti, nell'arco della vita, possono sperimentare. L'OMS, attraverso l'ICF, propone un modello di disabilità universale, applicabile a qualsiasi persona, normodotata o diversamente abile.»[5]



Contro |


«Qualche anno fa, alcune persone disabili hanno avuto l'acuta e orgogliosa intuizione di sottolineare come, anche in presenza di una menomazione importante, riescano a produrre, realizzare, essere competitivi con il resto del mondo. Il che talvolta è vero. Per definire questa condizione hanno coniato il neologismo "diversamente abili". Nella loro bocca, in quel contesto, in quel momento poteva forse avere un senso. Forse. Ciò perché alla fin fine si enfatizza il concetto di abilità a tutti i costi, la concorrenza, la rincorsa ad una omologata normalità con tutti i paradossi che questa porta con sé.


Ma ci sono persone, più di quante si creda, la cui principale e vitale esigenza non è quella dì trovare un lavoro e un collocamento mirato, ma quella di assicurarsi un servizio di assistenza che renda meno gravosa l'insostenibile pesantezza del quotidiano per i loro familiari a cui è delegata in toto - da distretti, comuni e servizi sociali - la loro stessa sopravvivenza. Sono le persone con handicap gravissimo e se il termine urtasse le sensibilità più raffinate potremmo definirle "diversamente ospedalizzate". Persone che al turismo accessibile non possono interessarsi, come pure alla possibilità di guidare un veicolo o alle opportunità dei servizi telematici o alla partecipazione a battaglie civili di avanguardia. La loro preoccupazione è - banalmente - sopravvivere, qualche volta malgrado i servizi socio-assistenziali pubblici. E se quei servizi verranno ulteriormente tagliati non diranno nulla perché non hanno voce. Altro che diversamente qualcosa". Niente di male, lo ripetiamo, se una persona disabile si autodefinisce "diversamente abile". Qualcuno potrà sorridere a qualcun altro si inumidirà il ciglio di fronte a cotanta fierezza, in qualcuno scatterà l'emulazione e la volontà di superare la provocazione definendosi financo "diversamente dotato" (evocando pruriginose rimembranze). Ma quando il termine deborda dalla boutade per assurgere a termine di uso comune, si comincia a percepire un sentore di ipocrisia.


E mai come negli ultime mesi ci è capitato di annotare quel termine - "diversamente abili" - magistralmente inchiavardato nei pubblici sermoni di politici opinionisti, operatori, funzionari, responsabili di associazioni. Sembra si voglia far intendere che l'epoca dell'invalido povero ed emarginato sia stata sepolta da una nuova cultura fatta di promozione e di integrazione, di sperimentazione e di innovazione. Di questa "rivoluzione culturale" i "diversamente abili" sarebbero addirittura apportatori di ricchezza proprio grazie alla loro diversità. Siamo certi che le persone disabili farebbero volentieri a meno di quella ricchezza. Sono portatori semmai di esigenze particolari che tanto sono più gravi quanto meno trovano risposta.


L'affermazione poi ce ne ricorda una di un po' più datata e svagata che interpretava la malattia mentale come una condizione comunque felice perché fuori dai rigidi e stereotipati paradigmi di una società bruta e poco creativa. Pregiudizio mascherato. Voglia di negare il profondo disagio che è proprio della malattia. La stessa superficiale ipocrisia di chi - e non sono in pochi - sostiene che le persone con Sindrome di Down sono comunque felici "perché sorridono e sono socievoli". Quindi "diversamente abili"!


È quindi una definizione non stigmatizzante e che raschia di meno la crosta nelle paure di ognuno di noi, che siamo o meno disabili. Ma è una terminologia oltre che falsa, inefficace. Falsa perché distorce la realtà spalmandola su un quadro rassicurante, una rappresentazione buona per tutti i salotti e per tutte le stagioni. Inefficace perché non evidenzia il disagio e non rimarca l'obbligo civile della presa in carico da parte di tutti.»[6]


Aggiungerei che lo stesso utilizzo di un termine unico per definire in blocco persone assai deverse fra loro e con problemi diversissimi e che necessitano di cure ed assistenza differenziati, è già di per sè discriminante[7]. Nessuna persona normale accetterebbe, se ammalata, di essere ricoverata in un ospedale generico, dove a tutti i pazienti vengono fornite le stesse medesime cure e la medesima assistenza; ma questo è ciò che spesso accade alle persone con disabilità perché, nonostante le varie leggi, i PEI, ecc.., per la scuola, le amministrazioni pubbliche ed i centri servizi, una risposta standardizzata e sempre uguale è economicamente conveniente e quindi migliore[7]. Il problema quindi, per chi deve, per obbligo istituzionale, offrire servizi ai diversamente abili, diventa il seguente: come far rientrare una risposta standardizzata dentro un PEI personalizzato?[7]. Tutto ciò ricorda la famosa frase pronunciata nel 1913 dell'industriale Henry Ford: ogni cliente può ottenere una Ford T colorata di qualunque colore desideri, purché sia nero[8]. Che questo atteggiamento sia quello in fondo auspicato, al di là di tutte le leggi e le apparenti buone intenzioni, è dimostrato, per esempio, dai criteri di selezione degli insegnanti di sostegno applicati dallo stato italiano. Non c'è una vera e propria selezione, nè una qualifica specifica (nonostante si parli sempre più spesso di bisogni educativi speciali BES): solitamente gli insegnanti di sostegno (a parte pochi ammirevoli esempi), sono insegnanti o in attesa di altro incarico o non più idonei alla gestione di classi numerose. L'insegnamento di sostegno diventa così o una qualifica di ripiego o una gavetta necessaria per aspirare ad incarichi migliori[9].



Possibile sintesi |


«L'espressione "diversamente abile" pone l'enfasi sulla differenza qualitativa nell'uso delle abilità. Esso viene utilizzato per specificare che attraverso modalità diverse si raggiungono gli stessi obiettivi. Vi sono delle situazioni di disabilità in cui questo uso può essere adeguato. Ad esempio allievi non vedenti o ipovedenti possono raggiungere lo stesso adeguati risultati scolastici e sociali utilizzando le risorse visive residue (potenziate con adeguati strumenti) o abilità compensative (ad esempio quelle verbali). Vi sono altre situazioni, come quelle riguardanti due terzi di tutti gli allievi certificati e cioè quelli con ritardo mentale, in cui l'uso della terminologia diversamente abile può risultare fuorviante. Consideriamo il caso di un tipico allievo con sindrome di Down. Dal punto di vista della qualità della vita forse si può anche dire che utilizzando le proprie capacità (o abilità) egli può comunque raggiungere obiettivi paragonabili a quelli di tutte le altre persone. In altre parole può raggiungere un benessere che non può essere considerato inferiore. Se questo è il riferimento, l'espressione "diversamente abile" potrebbe anche essere utilizzata. Se il riferimento diventa invece quello delle prestazioni scolastiche, sociali e di autonomia, l'espressione "diversamente abile" può risultare ingannevole, in quanto "nasconde" il fatto che tali prestazioni sono inferiori rispetto a quelle tipiche della normalità.»[10]



La tutela giuridica internazionale |



La dichiarazione di Madrid |


Promulgata nel 2002 in occasione dell'Anno Internazionale della Disabilità (2003), essa sposta l'asse di interesse da una visione eminentemente medico - scientifica ad una prettamente sociale. Diversi i punti trattati: dall'integrazione scolastica a quella lavorativa, dall'assistenza all'associazionismo dei disabili. Ciò sul quale si pone più volte l'accento è sul concetto di discriminazione come atteggiamento generale da combattere non solo con strumenti legislativi ma anche culturali.


Per questo uno dei concetti sviluppati è quello dell'autodeterminazione dei disabili, che si esplica anche attraverso la creazione di proprie associazioni (e qui il tema si intreccia con quello della Vita Indipendente). Chiaramente viene affrontata anche la questione delle donne disabili e della loro doppia discriminazione sociale.


Per ottenere ciò è necessaria una visione globale, dove diversi attori interagiscono per un unico scopo: quindi certamente si richiamano alle loro responsabilità organizzazioni politiche sia centrali che locali, ma anche sindacati, massmedia, imprese.



La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità |


Promulgata dall'ONU nel 2007, la convenzione si richiama esplicitamente a diversi principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: non discriminazione, eguaglianza, pari opportunità, rispetto dell'identità individuale.[11] Si compone di 50 articoli, dei quali i primi 30 si incentrano sui diritti fondamentali (associazionismo, diritto di cura, diritto alla formazione personale, ecc.), mentre gli altri 20 riguardano le strategie operative atte a promuovere la cultura della disabilità.


La prima cosa che risulta evidente dalla Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità è che manca una definizione chiara del concetto di disabilità, preferendo parlare, piuttosto, di persone disabili. Questo perché manca ancora, a livello internazionale, un'univoca e coerente definizione del concetto di "disabilità" (nonostante l'adozione dell'ICF), della quale pur si sente la necessità, in quanto basilare per qualsiasi strategia di ricerca e di pianificazione politica.[12]
Concetto da ricordare
Tuttavia l'articolo 1 parla esplicitamente di persone disabili, definendole come "coloro che presentano una duratura e sostanziale alterazione fisica, psichica, intellettiva o sensoriale la cui interazione con varie barriere può costituire un impedimento alla loro piena ed effettiva partecipazione nella società, sulla base dell'uguaglianza con gli altri. Inoltre l'articolo definisce anche lo scopo stesso della Convenzione, che è quello di promuovere tutti i diritti delle persone disabili al fine di assicurare uno stato di uguaglianza.
Anche l'articolo 3 è fondamentale[13], perché indica i principi stessi entro i quali la Convenzione si muove, elencandoli esplicitamente:



  1. il rispetto della persona nelle sue scelte di autodeterminazione;

  2. la non discriminazione;

  3. l'integrazione sociale;

  4. l'accettazione delle condizioni di diversità della persona disabile;

  5. rispetto delle pari opportunità e dell'uguaglianza tra uomini e donne;

  6. l'accessibilità;

  7. il rispetto dello sviluppo



Le legislazioni nazionali |



Italia |


La Cassazione ha stabilito l'obbligo del reimpiego (repêchage) in altri compiti sempreché sussistenti in azienda per il lavoratore divenuto inabile alle mansioni (Cassazione, Sezioni Unite, n. 7755/1998).

Oltre al datore di lavoro, spetta alla commissione sanitaria istituita presso l'Asl competente (prevista dalla legge 104) accertare l'aggravamento delle condizioni psico-fisiche di salute e se queste siano impeditìve allo svolgimento delle mansioni assegnate, o al repechage, la possibile ricollocazione del lavoratore disabile in altri uffici, settori o mansioni dell'azienda. (Cass. sent. n. 8450 del 10 aprile 2014).


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Lo stesso argomento in dettaglio: Licenziamento collettivo § obbligo di repechage.

Sebbene l'Italia abbia recepito la Convenzione con legge ordinaria numero 18 nel 3 marzo 2009, già la legge legge 5 febbraio 1992, n. 104 aveva fornito una prima tutela alle persone disabili ed ai loro diritti.






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Lo stesso argomento in dettaglio: Legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Con la ratifica si è dato anche il via libera al progetto d'istituzione di un osservatorio sulla disabilità presieduto dal ministro del lavoro e composto da 40 membri e che coinvolge sia i molti osservatori diffusi a livello regionale, sia le associazioni di disabili, sia anche le rappresentanze sindacali. Dal 2019 è presieduto dal Ministro per la Famiglia e le Disabilità.
Tale osservatorio dura in carica 3 anni (eventualmente prorogabili per un ulteriore triennio), ed oltre a promuovere la Convenzione, avrà anche il compito di promuovere la raccolta di dati statistici che illustrino le condizioni delle persone con disabilità, al fine sia di predisporre una relazione sullo stato di attuazione delle politiche sulla disabilità, sia di predisporre un programma biennale di promozione dei diritti e di integrazione sociale. L'obbligo del certificato di sana e robusta costituzione, e di idoneità fisica al lavoro, per l'ammissione a concorsi pubblici e l'accesso agli impieghi nella pubblica amministrazione italiana è stato abolito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, tranne però nel caso di svolgimento di mansioni specifiche.


Resta invece obbligatorio per l'ammissione e frequenza di corsi di studio legalmente riconosciuti (allo stato attuale delle legislazione è tenuta a chiedere il certificato e, in assenza, può rifiutare l'iscrizione di un disabile senza obbligo di motivazione), al servizio civile, adozioni nazionali e internazionali, attività sportive non agonistiche per le quali non è richiesto il certificato di Stato di Buona Salute.


Tuttavia oggi non sempre i disabili vengono sostenuti dallo Stato.[non chiaro][14]. Nel 2013, l'allora ministro del lavoro Enrico Giovannini propose di introdurre, all'interno del proprio ministero, la figura del Disability Manager.



Note |




  1. ^ disabilita in “Dizionario di Economia e Finanza” – Treccani


  2. ^ Causin P., De Pierri S., Disabili e Società. L'integrazione socio-lavorativa in prospettiva europea, Milano, FrancoAngeli, 1999


  3. ^ Webaccessibile.org | La risorsa italiana di IWA dedicata all'accessibilità del Web (ISSN: 1721-4874)


  4. ^ Lo schema è tratto dal sito dell'ASPHI


  5. ^
    Una nuova definizione di Handicap[collegamento interrotto]. URL consultato il 18 luglio 2009.



  6. ^ Carlo Giacobini, Orgoglio e pregiudizio Archiviato il 10 ottobre 2007 in Internet Archive., tratto da Mobilità, anno 4, n. 20, in European Network on Independent Living (ENIL Italia Onlus). URL consultato il 18 luglio 2009.


  7. ^ abc Irene Faranda, Non tutte le persone con disabilità sono uguali, su Superando.it. URL consultato il 26 aprile 2018 (archiviato dall'url originale il 19 agosto 2016 Il valore del parametro dataarchivio non combacia con la data decodificata dall'URL: 9 agosto 2016 (aiuto)).


  8. ^ Henry Ford, My Life and Work, 1922.
    «Any customer can have a car (Ford T) painted any colour that he wants so long as it is black».



  9. ^ L’occasione mancata degli insegnanti di sostegno nella scuola italiana, su wired.it. URL consultato il 26 aprile 2018.


  10. ^ Diversamente abile?, articolo pubblicato sul sito Disabilità Intellettive, responsabile scientifico Renzo Vianello. URL consultato il 4 settembre 2009.


  11. ^ Articolo 3 - Principi
    generali



  12. ^ Leonardi M. et al., The definition of disability: what is in a name?, The Lancet 2006, 368, pp. 1219-21. Comunque lo stesso articolo, peraltro precedente alla promulgazione del testo definitivo della Convenzione, indica nell'ICF lo standard internazionale per una possibile definizione del concetto stesso di Disabilità.


  13. ^ Articolo 3 - Principi generali


  14. ^ Diversamente Disabile



Voci correlate |




  • Comunicazione aumentativa e alternativa

  • European Platform for Rehabilitation

  • Giochi paralimpici

  • Handicapped Scuba Association

  • Legge 5 febbraio 1992, n. 104

  • Universal design

  • Sport per disabili

  • Vita Indipendente

  • Bisogni educativi speciali

  • Glossario dei termini della disabilità




Altri progetti |



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Collegamenti esterni |






  • Disabilità, su thes.bncf.firenze.sbn.it, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Modifica su Wikidata


  • (EN) Disabilità (2, 3), su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata

  • Disabilità in cifre, su disabilitaincifre.it.

  • Testo della Convenzione sui diritti dei disabili, su governo.it.

  • Legge 12 marzo 1999, n. 68 "Norme per il diritto al lavoro dei disabili", su parlamento.it.

  • Legge 9 gennaio 2004, n. 4, su camera.it.

  • Diversamente Disabile, su diversamentedisabile.altervista.org.


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