Putsch di agosto




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Putsch di agosto
parte della Guerra fredda e della dissoluzione dell'Unione Sovietica

1991 coup attempt1.jpg
Carri armati russi a Mosca
Data
19-21 agosto 1991
Luogo Mosca
Esito
Dissoluzione dell'URSS
Nascita della Federazione Russa
Schieramenti




URSS Comitato statale per lo stato di emergenza
Red Army flag.svg Armata Rossa

  • Div. Tamanskaja

  • Div. Kantemirovskaja


Emblema KGB.svg KGB



  • Gruppo Alpha

  • Vympel




Repubbliche e altre entità favorevoli al colpo:[1]
Azerbaigian Repubblica d'Azerbaigian
Georgia Repubblica di Georgia
Transnistria RSS Transnistriana[2]




Forze civili:
Flag of the Russian Empire (black-yellow-white).svg PLDUS[3]




Appoggio internazionale:


Palestina Palestina[4][5]
Iraq Iraq[5]
Jugoslavia Jugoslavia[4]
Libia Libia[4][5]
Sudan Sudan[5]

RSFS Russa RSFS Russa

  • Presidente

  • Soviet supremo

  • Consiglio dei ministri

  • Amministrazione presidenziale




Repubbliche ostili al colpo:[1]
Estonia Repubblica d'Estonia
Lettonia Repubblica di Lettonia
Lituania Repubblica di Lituania
Moldavia Repubblica di Moldavia




Forze civili:

Manifestanti anticomunisti
UNSO-emblem.svg UNA-UNSO




Appoggio internazionale:
Stati Uniti Stati Uniti[4]


Europa CEE[4]
Comandanti




URSS Gennadij Janaev
URSS Dmitrij Jazov
URSS Vladimir Krjučkov
URSS Boris Pugo
URSS Valentin Pavlov
URSS Oleg Baklanov
URSS Vasilij Starodubcev
URSS Aleksandr Tizjakov

Flag of the Russian Soviet Federative Socialist Republic.svg Boris El'cin
Flag of the Russian Soviet Federative Socialist Republic.svg Aleksandr Ruckoj
Flag of the Russian Soviet Federative Socialist Republic.svg Konstantin Kobec

Voci di colpi di Stato presenti su Wikipedia

Il putsch di agosto (in russo: А́вгустовский путч?, traslitterato: Ávgustovskij putč) fu un tentato colpo di Stato in Unione Sovietica nel 1991, organizzato da parte di alcuni membri del governo sovietico per deporre il presidente Michail Gorbačëv e prendere il controllo della nazione. Il suo fallimento e i risvolti politici-istituzionali che ne seguirono provocarono la dissoluzione dell'Unione Sovietica.




Indice






  • 1 Gli eventi


    • 1.1 A Capo Foros


    • 1.2 A Mosca




  • 2 Fine del PCUS


  • 3 Note


  • 4 Bibliografia


  • 5 Voci correlate


  • 6 Altri progetti


  • 7 Collegamenti esterni





Gli eventi |


Nell'agosto 1991, dopo una trattativa di notevole complessità, il presidente sovietico Michail Sergeevič Gorbačëv si apprestava a siglare il nuovo patto federativo dell'URSS che, di lì a poco, avrebbe mutato la propria denominazione ufficiale da Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche in quella, presumibilmente, di Unione degli Stati Sovrani. Il 28 giugno era stato dichiarato sciolto il Comecon ed il 1º luglio il Patto di Varsavia.


Dodici dei paesi già facenti parte dell'URSS erano prossimi alla firma, la Federazione Russa, l'Ucraina, la Bielorussia, la Moldavia, la Georgia, l'Armenia, l'Azerbaigian, il Kazakistan, il Turkmenistan, il Kirghizistan, l'Uzbekistan ed il Tagikistan. Solo si esclusero le tre repubbliche baltiche, ovvero, Lituania, Lettonia ed Estonia, che, dopo più di cinquant'anni, ebbero l'attesa possibilità di liberarsi dall'occupazione sovietica e di riconquistare l'indipendenza.


D'altronde, pochi mesi prima, oltre il 70% dei cittadini sovietici chiamati alle urne, aveva espresso il proprio sostegno ad una rinnovata Unione. Il Segretario del PCUS, nonché Presidente dell'Unione Sovietica, aveva deciso di prepararsi al gravoso impegno riposandosi a Capo Foros, nella dacia presidenziale in Crimea.



A Capo Foros |


Era il 19 agosto quando, su ordine di alti gradi del Partito, timorosi delle incombenti novità, Gorbačëv veniva trattenuto contro la sua volontà[6] in Crimea, non potendo quindi recarsi alla sigla del nuovo accordo federativo: era l'inizio del tentativo di colpo di Stato che, a dispetto delle intenzioni tanto degli autori, quanto delle vittime, avrebbe condotto ad un risultato impensabile fino a poco tempo prima: la dissoluzione dell'Unione Sovietica.


I golpisti erano personaggi di spicco della politica sovietica: il capo del KGB Vladimir Krjučkov, il ministro degli Interni Boris Pugo, il ministro della Difesa Dmitrij Jazov, il vicepresidente dell'URSS Gennadij Janaev, il primo ministro Valentin Pavlov, il capo della segreteria di Gorbačëv, Valerij Boldin. Il loro intento era chiaro: preservare l'Unione dall'insorgere delle nazionalità, impedire un alleggerimento del potere centrale, preservare il primato del PCUS[7].



A Mosca |


Il vice presidente Gennadij Janaev prese possesso della televisione e della radio immediatamente dopo l'annuncio con gli altri leader del colpo di Stato e rilasciò una debole denuncia del regime precedente, portando immediatamente a credere che egli non fosse l'uomo adatto a portare l'ordine pubblico ricercato disperatamente dagli insorti. Grandi dimostrazioni pubbliche contro i leader del colpo di Stato ebbero luogo a Mosca e a Leningrado e le lealtà divise degli organismi di difesa e sicurezza fecero sì che le forze armate non attaccassero i dimostranti.


Il presidente della RSSF Russa Boris El'cin guidò la resistenza dalla Casa Bianca, l'edificio del parlamento russo. Dopo l'annuncio di Janaev, El'cin denunciò vigorosamente il colpo di Stato. Ad un certo punto, durante la dimostrazione, salì su un carro armato e, con un megafono, condannò la "junta". La forte presa di posizione di El'cin contrastava nettamente con il debole comunicato di Janaev. Questa immagine, trasmessa dai telegiornali di tutte le televisioni mondiali, divenne una delle più durevoli di tutto il colpo e rafforzò enormemente la posizione di El'cin. Un assalto all'edificio del parlamento programmato dal Gruppo Alfa, le forze speciali del KGB, fu annullato quando le truppe si rifiutarono unanimemente di eseguire l'ordine. Un'unità di carri armati disertò dalle forze del governo e si pose in difesa del parlamento con le armi puntate verso l'esterno.


Ci furono confronti armati nelle strade vicine, incluso uno in cui tre dimostranti furono accidentalmente feriti a morte dai carri armati, ma comunque la violenza fu sorprendentemente limitata. Il 21 agosto la grande maggioranza delle truppe spedite a Mosca si schierò apertamente con la resistenza e tolse l'assedio al Parlamento.


Il golpe rovinò su se stesso e Gorbačëv ritornò a Mosca sotto la protezione delle forze di El'cin.


Una volta tornato a Mosca, Gorbačëv, ignaro dei cambiamenti occorsi nei tre giorni precedenti, si limitò a promettere di espellere dal Partito Comunista dell'Unione Sovietica i rivoltosi: ma Boris El'cin pretese pubblicamente una svolta di gran lunga più drastica[8].



Fine del PCUS |


Il 24 agosto Michail Gorbačëv si dimise da Segretario Generale del PCUS. Volodymyr Ivaško divenne Segretario Generale del PCUS fino al 29 agosto, giorno in cui si dimise. Lo stesso giorno il Presidente Boris El'cin, con il decreto n. 83 trasferiva gli archivi del PCUS alle autorità dell'archivio di Stato. Il 25 agosto, con il decreto n. 90, nazionalizzava le proprietà del PCUS in Russia (che includevano non solo le sedi di comitati di partito ma anche istituzioni educative, hotel, ecc.).


Il 6 novembre El'cin, con il decreto n. 169, metteva fine, proibendola, all'attività del PCUS in Russia[9].



Note |




  1. ^ ab (RU) Ol'ga Vasil'eva, Республики во время путча, su old.russ.ru. URL consultato il 7 novembre 2015 (archiviato il 17 giugno 2009).


  2. ^ (EN) Cristian Urse, Solving Transnistria: Any Optimists Left? (PDF), su mercury.ethz.ch, p. 58. URL consultato il 7 novembre 2015.


  3. ^ (RU) Жириновский, Владимир, su lenta.ru. URL consultato l'8 novembre 2015 (archiviato il 16 settembre 2009).


  4. ^ abcde Хроника путча. Часть II su BBC Russian


  5. ^ abcd Р. Г. Апресян. Народное сопротивление августовскому путчу (recuperato il 27 novembre 2010 tramite Internet Archive)


  6. ^ "I golpisti mi isolarono ermeticamente dal mondo esterno - sia dal mare che da terra - sottoponendomi in sostanza a una pressione psicologica. Isolamento completo. Quando già ero rientrato a Mosca, sono venuto a sapere che a tal fine un reparto di truppe di frontiera e un gruppo di guardacoste furono posti direttamente sotto i comandi di Plekhanov e Gheneralov (il suo vice). Con me erano rimasti i 32 uomini della scorta. Ben presto venni a conoscere da che parte avevano scelto di stare. Avevano deciso di resistere sino alla fine, per cui divisero la residenza in tanti settori di difesa e assegnarono un posto a ciascuno": Mikhail Gorbaciov, IL GOLPE DI AGOSTO. Che cosa è successo, che cosa ho imparato, ARNOLDO MONDATORI EDITORE, 1991, ISBN 88-04-35690-1.


  7. ^ Melor Sturua, The Real Coup, Foreign Policy, No. 85 (Winter, 1991-1992), pp. 63-72.


  8. ^ Arup Banerji, Notes on the Histories of History in the Soviet Union, Economic and Political Weekly, Vol. 41, No. 9 (Mar. 4-10, 2006), pp. 826-833.


  9. ^ David R. Marples, Revisiting the Collapse of the USSR, Canadian Slavonic Papers / Revue Canadienne des Slavistes, Vol. 53, No. 2/4 (June-Sept.-Dec. 2011), pp. 461-473.



Bibliografia |




  • Giulietto Chiesa, Cronaca del Golpe Rosso, Baldini & Castoldi editore, 1991


  • Final Days: The Inside Story of the Collapse of the Soviet Union, by Andrei S. Grachev, Margo Milne, Boulder, Colo. : Westview Press, 1995.



Voci correlate |



  • Storia della Russia

  • Storia dell'Unione Sovietica (1985-1991)



Altri progetti |



Altri progetti


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Collegamenti esterni |



  • URSS 1991: i sette giorni che sconvolsero il mondo La Storia siamo Noi - Rai Educational











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