Battaglia di Cassino
Coordinate: 41°29′24″N 13°48′50″E / 41.49°N 13.813889°E41.49; 13.813889
Battaglia di Cassino parte della campagna d'Italia della seconda guerra mondiale | |||
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Soldati polacchi all'interno delle rovine dell'abbazia di Montecassino | |||
Data | 17 gennaio - 18 maggio 1944 | ||
Luogo | Cassino, valle del Liri | ||
Esito | Vittoria alleata | ||
Schieramenti | |||
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Comandanti | |||
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Voci di battaglie presenti su Wikipedia |
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La battaglia di Cassino (in inglese Battle of Cassino, in tedesco Schlacht um Monte Cassino, comunemente conosciuta anche come "battaglia di Montecassino") fu la serie di duri combattimenti svoltisi tra il gennaio e il maggio 1944 tra le forze alleate e quelle tedesche durante la campagna d'Italia nella seconda guerra mondiale.
Il teatro delle operazioni vide le truppe alleate raggruppate nella 5ª Armata americana del generale Mark Clark assaltare, dopo il vittorioso sbarco a Salerno, la linea Gustav a sud di Roma, difesa dalle esperte truppe tedesche della 10ª Armata comandata dal generale Heinrich von Vietinghoff. Il perno difensivo tedesco sulla Gustav era rappresentato dall'abitato di Cassino che controllava l'accesso alla valle del Liri, e dall'abbazia di Montecassino che sovrastava la valle e permetteva ai difensori di controllare i movimenti delle truppe nemiche. La valle era dunque l'unica via d'accesso agevole per le colonne di uomini e mezzi alleati diretti verso la capitale, e divenne quindi un caposaldo difeso tenacemente dai tedeschi, che impegnarono per oltre cento giorni le forze avversarie in un'accanita guerra di posizione che per ampi tratti fu molto simile alla cruenta guerra di trincea che caratterizzò la prima guerra mondiale[2][3][4].
La battaglia fu caratterizzata, oltre che dai violenti scontri, anche dal discusso bombardamento aereo alleato che distrusse la secolare abbazia di Montecassino, il quale procurò non poche critiche ai comandi anglo-americani, a cui erano già rimproverati i fallimentari attacchi che continuavano a susseguirsi invano contro le tenaci linee difensive tedesche nel settore. Dopo un difficile inverno, in cui gli anglo-americani riuscirono a rinforzare e riorganizzare le proprie truppe, lo sfondamento della linea Gustav avvenne solo a metà maggio con l'imponente operazione Diadem, che permise alle forze Alleate di irrompere oltre le difese tedesche che difendevano il settore della Gustav dalla costa tirrenica a Cassino e contemporaneamente sfondare il perimetro difensivo tedesco contro la testa di sbarco ad Anzio. Dopo questa azione le forze Alleate poterono aprirsi la strada per la conquista di Roma, mentre le truppe tedesche in Italia su ordine di Albert Kesselring si ritirarono schierandosi sulla successiva linea difensiva, la famosa linea Gotica, lungo la quale continuarono a opporre una efficace resistenza fino alle ultime settimane della guerra.
Indice
1 Contesto strategico
2 Avvicinamento e preparazione
2.1 Gli Alleati raggiungono la Gustav
3 Le forze in campo
3.1 Gli Alleati
3.2 I tedeschi
4 L'assalto alla Gustav
4.1 La prima battaglia
4.1.1 L'attacco sul Garigliano
4.1.2 Il massacro del fiume Rapido
4.1.3 Il massiccio di Cassino
4.2 La seconda battaglia
4.2.1 Il bombardamento dell'abbazia
4.2.2 L'attacco del Corpo neozelandese
4.3 La terza battaglia
4.3.1 Il bombardamento di Cassino
4.3.2 L'offensiva attraverso la città
4.3.3 La collina del Castello
4.4 I civili e le retrovie
4.5 Riorganizzazione e preparazione
4.6 La quarta battaglia
4.6.1 L'attacco generale
4.6.2 La conquista di Montecassino
4.6.3 Lo sfondamento della Gustav
4.7 L'avanzata finale e la conquista di Roma
5 Analisi e critiche
6 Note
6.1 Esplicative
6.2 Bibliografiche
7 Bibliografia
8 Voci correlate
9 Altri progetti
10 Collegamenti esterni
Contesto strategico |
Dopo la conquista della Sicilia, l'invasione della penisola nel settembre 1943 mise le truppe alleate, per la prima volta in tre anni, faccia a faccia con l'esercito tedesco in una campagna di lunga durata sul suolo continentale europeo. All'inizio del 1944 l'Italia era l'unico fronte attivo degli Alleati nell'Europa controllata dai nazisti, ma l'avanzata era dolorosamente lenta e la campagna stava diventando motivo di imbarazzo, suscitando tensioni crescenti fra gli anglo-statunitensi[5]. Fin dalla conferenza di Casablanca del gennaio 1943 nacquero tra gli Alleati dure divergenze sulla condotta della guerra in Europa: gli statunitensi, fedeli alla regola militare per cui chi attacca deve raggiungere il proprio obiettivo per la via più breve e con la massima forza, guardavano con estrema diffidenza la volontà britannica di procrastinare l'invasione della Francia. Agli occhi del capo di stato maggiore dell'esercito statunitense, George Marshall, il teatro del Mediteranneo era secondario e rappresentava solo un salasso di uomini e risorse che sarebbero state più utili in Francia, ma Winston Churchill, tormentato come tutti gli inglesi dai fantasmi del fronte occidentale della generazione precedente e dalle debacle subite in Norvegia, Francia e Grecia, era deciso a rinviare l'operazione Overlord finché la sua riuscita non fosse stata molto più sicura[6].
Alla fine Churchill e i britannici ebbero la meglio, e si raggiunse un compromesso che prevedeva l'invasione della Sicilia e a seguire lo sbarco nell'Italia meridionale, seppur con forze molto esigue e ancora da concordare[7]. Dopo la vittoriosa campagna di Sicilia e la caduta del fascismo nell'estate del 1943, i capi delle forze aeree alleate si espresso fortemente a favore dell'invasione dell'Italia, che avrebbe permesso all'aviazione di utilizzare gli aeroporti attorno a Foggia come basi per bombardare obiettivi importanti nella Germania meridionale e nei Balcani, dando una spinta significativa alle intenzioni strategiche alleate. L'8 settembre l'Italia si arrese agli Alleati e i tedeschi iniziarono le operazioni di occupazione della penisola, mentre il giorno seguente gli anglo-statunitensi sbarcarono a Salerno[8]. Nonostante i tedeschi arrivassero a un passo dal successo a Salerno, le truppe della 5ª Armata del generale Mark Clark resistettero tenacemente, e dopo dieci giorni di furiosi combattimenti gli Alleati poterono organizzarsi per iniziare la loro avanzata verso nord. Dopo i combattimenti di Salerno, il comandante tedesco del Gruppo d'armate C nel sud Italia, feldmaresciallo Albert Kesselring, con il comandante della 10ª Armata Heinrich von Vietinghoff iniziò i preparativi per la difesa della penisola a sud di Roma, con il benestare dello stesso Adolf Hitler[9].
Dopo la resa dell'Italia Pietro Badoglio si recò a Malta dove il 29 settembre firmò il cosiddetto armistizio lungo a bordo della corazzata Nelson, nonostante le proteste della delegazione italiana perché esso comportava la resa incondizionata e perché i termini della resa stessa dovevano essere applicati da un governo italiano sotto la direzione di una commissione d'armistizio, pregiudicando quindi la possibilità a casa Savoia di tornare al potere[10]. Le condizioni per gli italiani sarebbero potute migliorare con il loro contributo nello sforzo bellico, per gli Alleati quindi, la cobelligeranza aveva un'importanza politica, ma Badoglio inizialmente si oppose a questa condizione cercando di arrivare a un compromesso offrendo truppe italiane per combattere a fianco degli Alleati. Era facile immaginare la ferocia con cui i tedeschi si sarebbero sfogati contro la popolazione civile nel caso in cui l'Italia gli avesse dichiarato guerra, ma per gli Alleati era fondamentale avere un'alternativa politica che potesse contare sulla lealtà degli italiani dopo l'insediamento a Salò della Repubblica Sociale Italiana nata per volere di Hitler. Dopo accese trattative l'11 ottobre il governo Badoglio dichiarò guerra ai tedeschi[11].
La città di Napoli cadde il 1º ottobre, ma per poter proseguire l'avanzata gli Alleati dovettero affrontare la prima linea difensiva allestita dai tedeschi in Italia, la linea del Volturno, che consentì ai difensori di immobilizzare gli anglo-statunitensi il tempo necessario per consentire alle truppe della Wehrmacht di sistemare il grosso delle difese lungo la linea Bernhardt, dietro la quale il generale Hans Bessel, capo del genio di Kesselring, stava ultimando i preparativi per l'allestimento della temibile linea Gustav[12].
Il 2 ottobre Harold Alexander, il comandante del 15º Gruppo d'armate in Italia, stabilì le operazioni future per l'8ª Armata britannica e la 5ª Armata, che dovevano svolgersi in due fasi. La prima doveva essere un'avanzata per occupare sulla costa adriatica una linea che da Termoli attraversava Isernia e Venafro fino a Sessa Aurunca sul versante tirrenico; mentre la seconda fase doveva essere un'avanzata su una linea molto più a nord di Roma. L'ordine per Clark era d'impadronirsi di una testa di ponte al di là del Volturno, procedere verso la valle del Liri e quindi verso Roma, mentre Bernard Law Montgomery avrebbe avuto il compito di avanzare passando per Termoli e Pescara, da dove partiva la strada meno montuosa per la capitale d'Italia. Sia Alexander che Montgomery sapevano che quella in cui sarebbe stata impegnata l'armata britannica era la strada più breve e diretta per Roma, così come lo sapeva Clark[13]. Infatti questi ordini fecero nascere nel generale statunitense il presentimento che i britannici intendessero prendersi, se non completamente, almeno in parte i meriti per la futura conquista della capitale. Ciò irritò Clark e i comandi statunitensi che avrebbero di gran lunga preferito assumersi gli onori di entrare nella capitale dopo gli enormi sforzi che la 5ª Armata aveva profuso durante lo sbarco di Salerno e nei successivi combattimenti. Clark insistette con Alexander circa i problemi logistici creati da un'armata bi-nazionale, cercando così di far spostare dalle dipendenze della 5ª Armata il X Corpo britannico, ma Alexander non fece nulla a riguardo. La presenza del X Corpo d'armata britannico tra le forze della 5ª Armata divenne quindi la prova per Clark che i britannici volevano "giocare sicuro", assicurandosi in qualunque caso la presenza di forze britanniche durante il trionfale ingresso a Roma[14].
I piani iniziali stabiliti per il 15º Gruppo d'armate, ossia la conquista degli aeroporti di Foggia e del porto di Napoli, erano già stati raggiunti, ma l'euforia della vittoria di Salerno spinse i comandanti alleati a valutazioni strategiche troppo ottimistiche. Alexander credeva che dopo Salerno i tedeschi si sarebbero ritirati inesorabilmente al di là della pianura Padana, e la sua direttiva strategica prevedeva la conquista di Rimini e Firenze prima di Natale, ma l'8 ottobre le intercettazioni di Ultra costrinsero il generale a rivedere i piani. Quel giorno fu decodificato un messaggio del LXXVI Corpo corazzato che forniva dettagli circa l'allestimento di tre successive linee difensive a sud di Roma, l'ultima delle quali era indicata come "Linea d'Inverno" o "Gustav". Vi erano notizie e particolari topografici per far capire che questa era chiamata anche linea Bernhard, e qualche giorno dopo gli Alleati furono informati di una linea ancor più formidabile che doveva essere creata da costa a costa negli appennini a nord di Firenze. Relazioni precise riferirono inoltre che a sud di Roma sarebbero state impiegate le migliori divisioni tedesche della riserva strategica, cioè il Gruppo d'armate B[15], rendendo così chiaro ad Alexander che la conquista di Roma sarebbe avvenuta solamente dopo un violento combattimento intorno ai monti di Cassino. «Quello fu il momento della vera nascita della campagna d'Italia» scrisse il generale britannico nelle sue memorie[15].
Avvicinamento e preparazione |
I tedeschi erano fortemente impegnati in Italia: Alexander calcolò che tredici divisioni alleate tenevano impegnate ben diciotto divisioni nemiche, e per ogni divisione tedesca in Italia ce n'era una di meno che combatteva contro i sovietici o che poteva minacciare gli Alleati sul fronte occidentale l'anno successivo. Se questa visione fosse stata ampliata a tutta la regione del Mar Mediterraneo, e cioè se il nemico, grazie alla presenza alleata in Italia, fosse stato costretto a difendere anche la costa meridionale francese, i Balcani e la Grecia, l'equilibro sarebbe stato ancora più favorevole. Ma ciò non tranquillizzò i comandanti statunitensi, i quali capirono ben presto che questa regola valeva anche nel senso opposto: per ogni divisione alleata in Italia ce n'era una di meno disponibile in Francia, e in preparazione di Overlord furono ritirate dall'Italia alcune delle migliori unità anglo-statunitensi. Tutto ciò che Marshall e i comandi statunitensi volevano in Italia era una posizione sicura per le basi di Foggia e tenere impegnati i tedeschi; Marshall però non immaginava che le truppe di Kesselring si sarebbero battute così tenacemente[16]. Le divisioni statunitensi si erano ben comportate in Nordafrica e in Sicilia, ma molti comandanti erano stati sostituiti, perciò nelle discussioni con i britannici gli americani avevano pochi risultati concreti da usare come argomentazioni valide per decidere sulla conduzione della guerra nel Mediterraneo. Il massiccio impiego di forze da parte tedesca fornì inoltre una ragione in più per proseguire la campagna: adesso i generali alleati potevano far valere il principio di economia di forze, dove poche divisioni alleate tenevano impegnate grosse forze nemiche[16]. Ma questa visione della situazione non convinse Dwight D. Eisenhower, il quale sapeva bene che una divisione tedesca era molto più piccola di una divisione alleata, e sapeva che ogni divisione impegnata in Italia non era disponibile in altri fronti; per cui, allarmato da questa disparità di forze, Eisenhower stesso insistette con i capi di stato maggiore congiunti per ottenere rinforzi. Bisognava ora trovare nuove divisioni, e vennero prese in considerazione il II Corpo polacco, i neozelandesi tornati dalla licenza dopo la vittoria in Africa, le forze coloniali della Francia Libera e le divisioni britanniche che avevano quasi completato il ri-addestramento. Inoltre, negli Stati Uniti erano quasi pronte alcune nuove divisioni e Alexander fu costretto a prendere in considerazione anche gli italiani[17].
Nonostante le enormi difficoltà del terreno, le piogge e la metodica opera di demolizione delle infrastrutture compiuta dai tedeschi in ritirata, il 13 ottobre le truppe alleate attraversarono il Volturno, pronte a percorrere i sessantacinque chilometri che li separavano dalla linea Gustav. «Avevo piena fiducia in questa fortissima posizione difensiva naturale» scrisse Kesselring a proposito della linea d'Inverno «e speravo, tenendola per un certo periodo di tempo, magari fino a Capodanno, di poter rafforzare nella sua retrovia la linea Gustav tanto che gli inglesi e gli americani ci si sarebbero spezzati i denti». E la Gustav aveva il suo fulcro proprio nella zona di Cassino[18].
Questa linea rappresentava uno straordinario esempio di ingegneria militare, un sistema difensivo che collegava la parte più stretta della penisola, tra Gaeta e Ortona, strutturato in modo tale da sfruttare ogni rilievo naturale per dominare dall'alto i numerosi fiumi che attraversano l'Italia centrale, in particolare le valli fluviali del Garigliano e del Rapido, che passavano dinanzi a Cassino[19].
La città rappresentava la porta alla valle del Liri, il cui ingresso era dominato dall'abbazia benedettina di Montecassino, lungo la quale si estendeva la statale n°6 "Casilina", l'unica via possibile per raggiungere Roma. I vantaggi difensivi naturali del terreno montagnoso attorno a Cassino erano stati migliorati dai tedeschi, che avevano rimosso edifici e alberi per creare campi di tiro, fortificato e ampliato grotte, creato ricoveri sotterranei collegati da gallerie. Non era in realtà un'unica linea, ma vi erano difese a più strati, con posizioni predisposte per contrattacchi immediati contro le posizioni perdute. I tedeschi crearono un sistema di campi minati antiuomo congiunti ai reticolati, in modo da coprire i tratti pianeggianti alle pendici dei colli per un'area di circa 400 metri dagli argini dei fiumi. Venne deviato il corso del Rapido facendo saltare una diga e inondando la pianura davanti a Cassino, trasformandola in un pantano[20].
Alla fine di novembre, dopo un mese di lotta, la linea Bernhard aveva ceduto al centro e a nord di Venafro, ma i tedeschi controllavano ancora in parte Mignano e monte Camino, mentre la penetrazione avversaria era stata arrestata a tergo della principale linea di resistenza nonostante la perdita di alcune posizioni dominanti. Parallelamente i possenti capisaldi di monte Sambucaro e monte Camino a nord e a sud della Casilina erano ancora in possesso delle forze di Kesselring, e l'arrivo della 26ª Divisione corazzata e della 29ª Divisione panzergrenadier a puntellare il corpo corazzato rialzarono il morale delle truppe di tutto il corpo[21].
Lentamente però tra fine novembre e inizio dicembre gli Alleati attaccarono e conquistarono monte Camino e monte Sambucaro, mentre a cavallo della Casilina continuavano aspri combattimenti nei pressi di monte Lungo e San Pietro Infine. A metà mese arrivò l'autorizzazione da Berlino di iniziare il ripiegamento generale sulla linea Gustav, con la 29ª panzergrenadier che continuò a contendere all'avversario ogni metro di terreno, scandendo così i ritmi di ripiegamento dei tedeschi[22].
Altro vantaggio per Kesselring era la catena degli Appennini che divideva in due le armate alleate che combattevano in Italia: poiché era impossibile avanzare sulle montagne, gli Alleati era fondamentalmente divisi in due settori, gli americani a ovest e gli inglesi a est. Le loro azioni non potevano integrarsi a vicenda e pertanto i tedeschi potevano affrontare gli attacchi su un lato e poi trasferire le truppe sull'altro. Kesselring aveva inoltre tenuto molte forze di riserva a nord, e mentre gli Alleati dovevano accontentarsi delle strette strade di montagna che attraversavano i rilievi montuosi, i tedeschi poteva usufruire della ben superiore rete stradale che passava per Roma. Le riserve e le migliori linee di comunicazioni permettevano a Kesselring e Von Vietinghoff di trasferire le loro truppe rapidamente dove richiesto, e mentre Alexander aveva ingaggiato entrambe le sue armate a disposizione, Kesselring disponeva della 14ª Armata di Eberhard von Mackensen che ancora non era entrata in azione, e che fungeva da temibile riserva mobile[23].
Dopo aver superato il Volturno l'avanzata degli Alleati si rivelò lenta e penosa; il 26 dicembre il generale John Lucas scrisse sul suo diario: «L'offensiva è di una lentezza spaventosa, [...] non abbiamo truppe sufficienti per andare più veloci e temo che con il passare del tempo diventeremo più deboli, non più forti: sono convinto che questo stia diventando un teatro secondario». La 5ª Armata forte di circa 200.000 uomini ad ottobre, nel solo mese di dicembre perse circa 23.000 soldati a causa di malattie e infortuni causati dal freddo e dal terreno fangoso; complessivamente dallo sbarco a Salerno i combattimenti si erano portati via più del 10 percento degli effettivi. Il 31 dicembre il comando tedesco osservò con soddisfazione che l'avanzata verso Roma degli Alleati si rivelava molto lenta, di appena «dieci chilometri al mese»[24]. Il fango, il terreno impervio, la mancanza di strade adatte agli enormi convogli di rifornimenti, il maltempo e la sistematica distruzione messa in atto dai tedeschi avevano quasi completamente bloccato le armate Alleate in Italia, e la resistenza tedesca lungo i vari capisaldi che anticipavano la Gustav crearono un teatro di combattimento molto simile alla guerra di posizione del primo conflitto mondiale; «La mente correva a Passchendaele» scrisse il capo di stato maggiore dell'8ª Armata Freddie de Guingand[24].
Gli Alleati raggiungono la Gustav |
A seguito degli aspri combattimenti per conquistare il paese di San Pietro, dopo Natale la 36ª Divisione ricevette il cambio dalla 34ª Divisione "Red Bull"[25], che il 3 gennaio iniziò i combattimenti davanti alla Gustav per liberare i paesi e le alture rimanenti. Il 6 gennaio fu presa San Vittore e il 12 Cervaro, l'ultimo villaggio davanti a Cassino, mentre l'ultima altura che si ergeva di fronte a monastero, monte Trocchio, fu raggiunta il 15 dal 3º Battaglione del 168º Reggimento dei "Red Bull", che durante la loro scalata trovarono solo postazioni tedesche vuote. Dal Trocchio la divisione avanzò ancora, attestandosi poco a nord della città di Cassino[26], facilitati dalla tattica tedesca che con l'intento di risparmiare uomini, vide i soldati di Kesselring ritirarsi nelle postazioni predisposte sulla Gustav, lasciando sguarnito il terreno davanti al Garigliano e al Rapido.
Per la 5ª Armata spezzare la Gustav era diventato ora l'obiettivo più urgente; dal novembre 1943 era in corso di definizione uno sbarco anfibio dietro le linee tedesche ad Anzio, poco a sud di Roma. La logica era impeccabile: gli Alleati avevano il controllo del cielo e del mare e le linee di comunicazione tedesche erano lunghe e vulnerabili. Con il rallentamento dell'avanzata tra novembre e dicembre il piano era stato accantonato, ma alla fine dell'anno Churchill lo rese di nuovo attuale, persuadendo gli americani a concedere una considerevole quantità di mezzi da sbarco che determinò il rinvio dell'invasione della Normandia, spostata al giugno 1944. Lo sbarco ad Anzio (operazione Shingle) era previsto per il 22 gennaio, l'ultima data disponibile prima di dover spedire i mezzi da sbarco in Gran Bretagna[27], e in concomitanza a questo attacco la 5ª Armata progettò un attacco contro la valle del Liri, che avrebbe permesso alle forze di Clark di congiungersi con le forze sbarcate a nord[28].
Ma la fretta di Churchill nell'accelerare la campagna d'Italia avvenne proprio in un momento i cui si sarebbe dovuto analizzare più dettagliatamente la situazione militare Alleata e aspettare che il maltempo invernale si placasse[29]. Clark ebbe così solo due settimane per portare la 5ª Armata oltre il Rapido e il Garigliano, e fissò l'inizio dell'offensiva principale al 17 gennaio con un attacco del X Corpo britannico, ora rinforzato dalla 5ª Divisione proveniente dal fronte dell'8ª Armata, che avrebbe passato il basso corso del Garigliano nei pressi di Minturno e Castelforte creando una testa di ponte che avrebbe minacciato i tedeschi di un aggiramento proveniente dalle alture poste sul lato sinistro della valle del Liri, mentre dal 20 febbraio gli americani della 36ª Divisione "Texas" avrebbero superato il Garigliano nei pressi dell'abitato di Sant'Angelo con un attacco frontale alle difese tedesche, contemporaneamente a nord di Cassino gli americani della 34ª Divisione "Red Bull" e i coloniali francesi di Juin avrebbero tentato un aggiramento da destra lungo le alture a nord di Cassino, per emergere nella valle del Liri cinque o sei chilometri dietro le linee tedesche[30]. Gli strateghi della 5ª Armata pensavano così di distogliere forze tedesche dal fronte principale, e allo stesso tempo contavano di spezzare la Gustav ricongiungendosi con il VI Corpo d'armata di John Lucas che nel frattempo sarebbe sbarcato tra Anzio e Nettuno. Lo sbarco avrebbe minacciato le linee di comunicazione tedesche con la Gustav e i tedeschi, di fronte ad un attacco ad ampio raggio, non avrebbero avuto altra scelta che ritirarsi a nord di Roma[31].
Il movimento di aggiramento a destra iniziò con alcuni primi attacchi a nord di Cassino effettuati dal Corpo di spedizione francese; l'obiettivo sarebbe stato quello di dirigersi verso Sant'Elia e Atina e impadronirsi delle alture immediatamente a nord e nord-ovest di Cassino, tastando in questo modo i primi approntamenti difensivi tedeschi sulla Gustav[31]. Il 16 dicembre, dopo aver dato il cambio alla 34ª Divisione, la 2ª Divisione di fanteria marocchina sferrò il primo attacco, e insieme alla 45ª Divisione statunitense avanzarono di circa undici chilometri, incontrando nuovamente i tedeschi il 21 dicembre. A quel punto la 3ª Divisione algerina di Joseph de Monsabert diede il cambio alla divisione americana, e dopo un periodo di studio delle alture a nord di Cassino, il 12 gennaio sferrò l'assalto sul fianco destro ordinato da Clark[32].
Nonostante furono mandate all'attacco alcune formazioni che non avevano ancora sperimentato il combattimento, come il 7º Reggimento algerino incaricato del difficile attacco a monte Monna Casale, per il 15 gennaio il Corpo francese era avanzato di circa sei chilometri e aveva preso contatto con le difese della Gustav che si apprestava ad attaccare[33].
Le forze di Von Senger in quel settore erano particolarmente vulnerabili: la 5ª Divisione da montagna proveniente dal fronte russo, che aveva appena dato il cambio alla 305ª, non si era ancora ambientata all'aspro terreno montagnoso del centro Italia, e le divisioni di Juin si rivelarono più combattive del previsto. Le forze di Von Senger con grande difficoltà riuscirono a reggere il primo urto e a ripiegare ordinatamente, consentendo di portare a termine gli ultimi apprestamenti difensivi sulla Gustav nel settore a nord di Cassino, ma la situazione tedesca non era incoraggiata. Von Senger era consapevole che la battaglia decisiva non era ancora iniziata, e non disponeva più, all'infuori della 15ª Divisione granatieri peraltro bisognosa di riposo, delle vecchie divisioni che fino ad allora avevano dato ottima prova in Italia. La 94ª Divisione sulla costa era di per sé in una situazione tattica critica, al centro dello schieramento e sulla sinistra la divisione viennese e la 5ª Divisione fino ad allora «non avevano dimostrato di poter fare grandi cose», così Von Senger non poté far altro che appigliarsi alla speranza che l'organizzazione delle disposizioni difensive che i capi militari avevano derivato dai ricordi della prima guerra mondiale, fossero realmente efficaci[34]. Anche Kesselring era ben consapevole della situazione tedesca lungo la Gustav e del rischio concreto di dover affrontare anche uno sbarco dietro le linee. Nelle sue memorie il feldmaresciallo tedesco scrisse di aver acquisito la convinzione che l'impegno con cui combattevano gli Alleati palesava l'esistenza di un vasto piano strategico, e la lentezza dell'avanzata avrebbe presto convinto Alexander di porre fine a questa lotta troppo lenta e dispendiosa con uno sbarco nelle retrovie nemiche, che, «dato il metodo seguito dagli Alleati, si poteva prevedere sarebbe avvenuto nei dintorni di Roma»[35]. Secondo Kesselring era inoltre chiaro che lo sbarco sarebbe avvenuto in concomitanza con un'offensiva proveniente dal fronte della Gustav, e per questo predispose l'arrivo di quattro divisioni di riserva con le quali contava di poter agire in tempo contro le previste offensive Alleate due delle quali però non arrivarono in tempo. Kesselring poté comunque quindi disporre a nord di Roma della 92ª Divisione di fanteria e a sud la 4ª Divisione paracadutisti, mentre la 29ª e la 90ª Divisione panzergrenadier messe in riserva mobile[36].
Le forze in campo |
Gli Alleati |
Il malcontento regnava in tutta la catena di comando degli Alleati in Italia. Il corrispondente di guerra Alan Moorehead espresse riserve sia sulla confusione che regnava nei piani futuri d'avanzata, sia sulle capacità di comando di Alexander, opinione condivisa peraltro dal capo di stato maggiore dello stesso Alexander, che meglio di Moorehead era cosciente della situazione. Il comandante supremo nel teatro del Mediterraneo, Dwight D. Eisenhower si augurava in privato che Clark fosse sostituito da George Smith Patton al comando della 5ª Armata, mentre lo stesso Clark si lamentava di Lucas, e minacciava inoltre di destituire il comandante della 34ª Divisione, generale Charles Ryder, mentre Lucas rivolgeva aspre critiche a Troy Middleton della 45ª Divisione, il quale rivolgeva le sue critiche ai subordinati[37]. L'avvento del nuovo anno portò grossi cambiamenti tra i comandanti, Montgomery lasciò l'Italia per recarsi in Inghilterra, e venne sostituito alla guida dell'8ª Armata da Oliver Leese, mentre Eisenhower fu sostituito da Henry Maitland Wilson in qualità di nuovo Supreme Allied Commander Mediterranean al quartier generale Alleato[38].
Nel frattempo le forze Alleate in Italia vennero rinforzate da nuove divisioni, e sul fronte occidentale la 5ª Armata di Clark ricevette in rinforzo il Corpo di Spedizione Francese (Corps expéditionnaire français en Italie - CEF) agli ordini del generale Alphonse Juin, che a novembre arrivò in Italia con le prime due divisioni, la 2ª Divisione di fanteria marocchina (Division d'Infanterie Marocaine - DIM) e la 3ª Divisione di fanteria algerina (Division d'Infanterie Algérienne - DIA)[39]. A metà novembre arrivò anche la 1ª Divisione corazzata di Ernest Harmon, di cui una parte dei suoi effettivi furono utilizzati a Salerno, e la First Special Service Force (North American) del generale di brigata Robert Frederick, formata da un contingente di cinque battaglioni misti di canadesi e statunitensi che vennero ben presto soprannominati i "Diavoli neri" dai tedeschi, per la loro propensione ad attaccare di notte con le facce annerite[39]. Nell'altro settore l'8ª Armata venne rinforzata con il II Corpo polacco forte di circa 25.000 uomini al comando del maggior generale Władysław Anders, composto dalla 3ª Divisione fucilieri di Carpazia e dalla 5ª Divisione "Kresowa". Altre due formazioni si unirono all'armata britannica entro la fine dell'anno: la 2ª Divisione neozelandese arrivò in linea i primi giorni di novembre dopo un lungo periodo di riposo a seguito della vittoria in Nordafrica, mentre la veterana 4ª Divisione indiana arrivò a dicembre, anch'essa dopo un lungo periodo di riposo dopo i combattimenti ad El Alamein e in Tunisia[40]. Infine anche agli italiani fu concesso di mettere insieme un contingente attingendo dalle poche unità al momento disponibili, e il Regio Esercito creò il Primo Raggruppamento Motorizzato, che a metà novembre fu inviato ad Avellino sotto il comando della 5ª Armata[41]. Oltre alle truppe combattenti gli italiani (come anche altri contingenti alleati, in particolare i Ciprioti) fornirono un elevato numero di militari addetti al supporto delle unita' combattenti: mulattieri (8 grosse compagnie, con anche 200/300 uomini e 600/800 animali, furono impiegate contemporaneamente nell'inverno, in totale una decina di reparti si diedero il cambio) e di distaccamenti incaricati della logistica, del rifornimento delle prime linee alleate (anche sotto il fuoco nemico) e del lavoro di sterro e risistemazione dei sentieri. Oltre che dell'evacuazione dei feriti appena dietro la linea del fuoco (e sovente sotto il tiro dell'artiglieria). Il contributo logistico italiano tende ad essere rimosso nella vecchia storiografia anglosassone della campagna (non così in quella più aggiornata)[42] ma risultò notevolmente importante. I generali italiani, all'epoca, tentarono di convincere gli alleati a impiegare più unità italiane fecendo presente che l'organigramma delle divisioni italiane (piccole, con pochissima meccanizzazione, numerosi quadrupedi e con batterie d'artiglieria leggera, molto mobili, a volte someggiabili), che era stato un fattore di grande debolezza per il Regio Esercito in Nord Africa e in Russia, era più adeguato di quelle alleate in campi di battaglia come quello italiano.
Quando si presentò dinanzi alla Gustav la 5ª Armata era dunque un assembramento di soldati di diverse nazionalità, formata dal II Corpo statunitense del generale Geoffrey Keyes comprendente la 34ª Divisione di Ryder, la 36ª Divisione di Fred Walker, la 85ª Divisione di John Coulter, la 88ª Divisione di John Sloan e la 1ª Divisione corazzata di Harmon, e dal X Corpo britannico di Richard McCreery, composto dalla 5ª Divisione di fanteria del generale Gerard Bucknall, dalla 46ª Divisione di John Hawkesworth e dalla 56ª Divisione di Gerald Templer. Clark poteva poi contare sul VI Corpo di Lucas che venne designato per effettuare lo sbarco di Anzio, e dei rinforzi del II Corpo d'armata neozelandese e del corpo di spedizione francese, ai quali nel prosieguo della battaglia si sarebbero aggiunte parte delle forze dell'8ª Armata sopracitate[43].
I tedeschi |
L'assetto del teatro di guerra italiano per i tedeschi fu determinato in massima parte (o almeno inizialmente) dalla controversia fra Kesselring e Erwin Rommel nella gestione della difesa della penisola. Secondo Rommel l'Italia doveva essere difesa sugli appennini lungo la cosiddetta Linea Gotica, Kesselring invece, avrebbe voluto resistere ovunque se ne fosse presentata l'occasione. Dal comando supremo era trapelata, molto vagamente, la voce che Hitler si fosse deciso per la tesi di Kesselring, molto più aderente alla sua mentalità[44].
Il 21 novembre 1943 Hitler esaudì le richieste di Kesselring , e venne creato in Italia un comando unificato con a capo lo stesso feldmaresciallo, che assunse così il ruolo di "comandante supremo del settore sud-occidentale - gruppo d'armate C" (Oberbefehlshabers Süd - Heeresgruppe C), mentre Rommel fu inviato in Francia per il suo nuovo incarico di supervisore delle difese occidentali[45]. Dopo esser riuscito a trasportare le forze d'occupazione, circa 40.000 uomini, dalla Sardegna e dalla Corsica verso l'isola d'Elba, Livorno e Piombino[45], il generale Fridolin von Senger und Etterlin l'8 ottobre fu promosso comandante del XIV Corpo corazzato (Panzerkorps) e assunse il comando del più importante settore terrestre in Italia, quello occidentale, che corrispondeva per estensione a quello della 5ª Armata di Clark. Lungo la Gustav le forze tedesche erano però raggruppate nella 10ª Armata sotto il comando del colonnello generale Heinrich von Vietinghoff, comandante molto colto e capace di adattarsi ad ogni situazione, anche se non godeva di una fama particolarmente eccellente presso i soldati. Il suo capo di stato maggiore, generale Wenzel, era un tecnico di lunga esperienza, che assieme al capo di stato maggiore di Kesselring, il generale Westphal, andava a completare una schiera di comandanti molto capaci e con esperienza su molti fronti[46].
La 10ª Armata era composta da due corpi, il XIV Panzerkorps di Von Senger che teneva la Gustav dal mare fino alle montagne della catena appenninica, mentre dai monti al mare Adriatico a est era tenuta dal LXXVI Panzerkorps del generale Traugott Herr, inoltre von Vietinghoff disponeva di una riserva mobile a sud di Roma, composta dalla 29ª di Walter Fries, dalla 90ª Divisione panzergrenadier di Ernst-Günther Baade e dalla Divisione "Hermann Göring" del generale Paul Conrath[47]. Sull'ala destra XIV Panzerkorps c'era la 94ª Divisione di fanteria agli ordini del generale Georg Pfeiffer (sostituito il 2 gennaio dal tenente generale Bernhard Steinmetz), che abbracciava anche un buon tratto di costa, infatti secondo gli alti comandi avrebbe dovuto difendere il litorale fino a Terracina per prevenire i potenziali sbarchi dietro le linee tedesche. Sulla sinistra della 94ª era schierata la 15ª panzergrenadier del generale Eberhard Rodt, sul cui fianco era schierata la 3ª Divisione panzergrenadier, comandata dal generale Fritz-Hubert Gräser, formata da Volksdeutscher, cioè oriundi tedeschi di altri paesi, che durante il ripiegamento da Salerno aveva subito pesanti perdite[48].
La 305ª Divisone di fanteria, schierata a nord della 3ª, era una grande unità formata da elementi del Baden-Württemberg sotto il comando del generale Friedrich-Wilhelm Hauck, che seppur di grande esperienza e combattività, era una divisione che lamentava deficienze nella mobilità, nella difesa anticarro e nell'esperienza di cooperazione con unità corazzate[49]. Quest'ultima divisione fu quella che durante l'avanzata alleata contro la Bernhard venne presa alla sprovvista, consentendo una prima penetrazione al centro dello schieramento tedesco, e fra la 3ª e la 305ª Divisione venne inserita la ben più efficiente 26ª Divisione corazzata, del generale Smilo von Lüttwitz. Questa divisione però, come tutte le unità corazzate, non disponeva di consistenti forze di fanteria e poteva quindi controllare un settore non molto ampio, e nonostante il suo grosso contributo nel rafforzamento del fronte, tra novembre e dicembre fu sostituita con la 29ª Divisione panzergrenadier del generale Fries che venne quindi posta come riserva mobile, mentre la 26ª Divisione corazzata fu inviata nei dintorni di Roma. Lentamente i tedeschi diedero il via alla sostituzione della 3ª Divisione con la Reichsgrenadier-Division Hoch-und Deutschmeister di Fritz Franek, ossia la 44ª Divisione soprannominata "Vienna", di nuova ri-costituzione, i cui nuovi effettivi non avevano ancora sperimentato la guerra[50]. Dopo i duri combattimenti durante il ripiegamento sulla Gustav, anche la 305ª venne lentamente sostituita con la 5ª Divisione da montagna di Julius Ringel, teoricamente adatta al terreno, ma che abituata alla pianura del fronte russo e a grandi manovre tattiche, trovò non poche difficoltà nell'aspro e scosceso terreno delle montagne italiane e nel massiccio fuoco concentrato che caratterizzava i combattimenti in Italia[51]. In totale, all'inizio delle battaglie di Cassino, Von Senger poteva contare su otto divisioni, tre di fanteria (44ª, 71ª e 94ª), due panzergrenadier (3ª e 15ª) e una da montagna (5ª) mentre il LXXVI Corpo tedesco sul settore adriatico poteva contare su due divisioni di fanteria (305ª e 334ª), la 1ª Divisione paracadutisti e la 26ª Divisione Panzer[52].
L'assalto alla Gustav |
La prima battaglia |
L'attacco sul Garigliano |
La fase iniziale della prima battaglia di Cassino, collegata con l'attraversamento del Garigliano, secondo i piani di Clark prevedeva diversi attacchi separati ma coordinati: un assalto lungo il basso corso del fiume Rapido da parte della 36ª Divisione che avrebbe tentato di forzare frontalmente il passaggio nella valle del Liri nei pressi di Sant'Angelo a sud di Cassino, e l'attacco sferrato dalla 34ª Divisione e dal Corpo di spedizione francese a nord di Cassino per aggirare da destra lo schieramento tedesco[53]. Il piano prevedeva anche attacchi nel basso corso del Garigliano con l'inclusione del X Corpo britannico nel settore costiero, nel tentativo di creare un testa di ponte su più punti nella notte fra il 17 e il 18 gennaio con la 5ª Divisione e la 56ª Divisione, che avrebbero anticipato l'attacco principale del 20 gennaio . Il piano di McCreery prevedeva che la 5ª Divisione conquistasse Minturno per prendere posizione alla base della direttrice della valle dell'Ausente che conduceva ad Ausonia, una gola che minacciava l'accesso alla valle del Liri alle spalle delle principali difese tedesche. Al centro dello schieramento la 56ª Divisione doveva invece conquistare il caposaldo di Castelforte, mentre la 46ª Divisione si sarebbe assicurata una testa di ponte sulla riva opposta del Garigliano, in direzione di Sant'Ambrogio, con l'ulteriore compito di proteggere il fianco sinistro della 36ª Divisione "Texas" che sarebbe passata all'attacco il 20[54].
Dal 15 gennaio il II Corpo statunitense era ormai sul fiume Rapido e stava preparandosi a irrompere nella valle del Liri, mentre le divisioni francesi stavano causando non pochi problemi sul fianco settentrionale tedesco, ma anche la situazione delle truppe tedesche di fronte al X Corpo non era delle più rosee. La 94ª Divisione di fanteria del generale Steinmetz[55] adottò l'ortodosso criterio di stabilire la linea di resistenza sul fiume, disponendo il grosso delle sue truppe sul terreno sopraelevato che sorgeva a poca distanza dalle rive del Garigliano, installando una forte linea di avamposti sul fiume stesso. Un reggimento fu posto sulle alture del Minturno mentre un altro teneva le colline di Castelforte, che dalla valle dell'Ausente si estendeva a nord fino alla linea di demarcazione con la 15ª Panzergrenadier, sul bordo meridionale della valle del Liri, e infine un terzo reggimento fu posto lungo la costa[56]. Tutti i punti più evidenti che permettevano l'attraversamento del fiume furono pesantemente minati e presidiati da solidi avamposti protetti da reticolati, ma a preoccupare i comandi tedeschi fu soprattutto la precaria situazione strategica della 94ª Divisione, la quale era priva di carri armati e artiglierie da montagna costringendo le sue batterie a posizionarsi lungo la piana tra il Minturno e Gaeta oppure nella valle dell'Ausente, e dato che la fanteria tendono a ripiegare verso le postazioni di artiglieria, una ritirata avrebbe assunto direzioni divergenti causando la rottura della divisione e del fronte[57].
L'attacco britannico partì senza particolari intoppi prendendo di sorpresa la 94ª Divisione tedesca; nonostante duri combattimenti e le difficoltà incontrate a causa della forte corrente, al mattino seguente il X Corpo aveva portato dieci battaglioni sulla sponda opposta del fiume, mentre i genieri si stavano adoperando per permettere di far traversare il fiume anche ad armi controcarro e mezzi pesanti[58]. Durante il 18 gennaio entrambe le divisioni ampliarono la loro testa di ponte, nonostante i problemi che incontrò la 5ª Divisione, la quale trovò ampi campi minati ai lati della strada statale nº 7 e sulla spiaggia, che causarono gravi perdite. Al termine del secondo giorno di combattimenti la 56ª si attestò sul terreno sopraelevato ai due lati di Castelforte mentre il 19 la 5ª riuscì ad entrare a Minturno (dovette però ricorrere prima del previsto alla 15ª brigata di riserva[59]), ma il consolidamento della testa di ponte si rivelò lento a causa delle difficoltà di far arrivare oltre il Garigliano i mezzi corazzati e i veicoli dato che l'artiglieria tedesca frustava ogni tentativo dei genieri di costruire e rendere operativi i ponti Bailey. I ponti perciò potevano essere utilizzati solo di notte perché di giorno le strade di accesso alle rive del fiume erano costantemente bersagliate dall'artiglieria tedesca (tale situazione peraltro perdurò per i successivi tre mesi, giacché l'osservazione tedesca sul corso del fiume venne eliminata solo a maggio con la caduta della Gustav), e ciò non consentì uno sfondamento deciso contro la 94ª Divisione, che al contrario resse bene all'urto e dopo pochi giorni poté contare sull'arrivo delle riserve tedesche inviate da Kesselring[60].
Quest'ultimo, venne sollecitato direttamente da Von Senger, il quale il 18 gennaio dopo aver visitato personalmente il fronte minacciato notò la precaria situazione della 94ª Divisione e contattò direttamente Kesselring chiedendo di poter utilizzare le sue riserve mobili, garantendo in questo caso una certa probabilità di successo. Kesselring, deciso a resistere ad oltranza, e consapevole che la linea Senger che correva qualche chilometro dietro Cassino e bloccava l'accesso alla valle dell'Ausente non era ancora pronta[61], approvò la richiesta e inviò la 29ª e la 90ª Panzergrenadier a sostegno del XIV Panzerkorps[62]. Con l'arrivo dei rinforzi iniziarono anche i contrattacchi tedeschi: il 21 ripresero Castelforte, il 23 ripresero colle Damiano (un altura a metà strada fra Minturo e Castelforte occupata la prima notte di combattimenti), e allo stesso tempo dovettero affrontare gli inevitabili contrattacchi britannici, in un susseguirsi di attacchi che continuarono in modo altalenante fino al 9 febbraio, giorno in cui il generale McCreery, nonostante le sue truppe tenevano saldamente le colline appena oltre il Garigliano, comprese che la testa di ponte era ormai isolata dai tedeschi i quali potevano martellare impunemente le linee di comunicazioni del X Corpo, e decise di passare alla difensiva[63].
I comandi Alleati furono soddisfatti di aver attraversato in forze il fiume, creato una testa di ponte e attratto sul fronte di Cassino due divisioni tedesche che altrimenti avrebbero potuto contrastare lo sbarco ad Anzio; allo stesso tempo però rimasero del tutto delusi dalla prova della 46ª Divisione che avrebbe dovuto superare il Garigliano e attaccare l'abitato di Sant'Ambrogio situato sul punto di unione tra la 94ª Divisione e la 15ª Panzergrenadier. Partita all'attacco il 19 gennaio, la Divisione di Hawkesworth trovò grosse difficoltà ad attraversare il fiume ingrossatosi a causa dell'aperture delle chiuse della diga a monte del Rapido da parte dei tedeschi, i quali poterono contare sull'arrivo della combattiva 29ª Divisione Panzergrenadier. In un solo giorno le perdite britanniche furono tali e le difficoltà talmente grandi da far decidere ad Hawkesworth di sospendere ogni attacco, con grosse recriminazioni da parte di Clark e da parte del generale Fred Walker, che il giorno successivo con la sua 36ª Divisione avrebbe dovuto condurre l'attacco lungo il Rapido, e ora non poteva più contare sul supporto britannico alla sua sinistra[64].
Il massacro del fiume Rapido |
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I tedeschi oltre ad avere il possesso delle alture ai lati della valle del Liri potevano godere anche di un altro punto di osservazione eccellente, il paese di Sant'Angelo, posto su un promontorio di una quindicina di metri dall'altra parte del Rapido, al centro della valle. Fu quello l'obiettivo dei "texani" di Walker, il quale la notte tra il 20 e il 21 gennaio partì all'attacco con due reggimenti a nord e a sud dell'abitato nonostante fosse cosciente che le previsioni dell'attacco erano tutt'altro che favorevoli[65].
Oltre al fallimento dell'attacco di Hawkesworth, Walker aveva ricevuto un cupo rapporto del maggiore del genio Oran C. Stovall, il quale dopo aver ragguagliato il generale sulla mancanza di passerelle e DUKW (spostati per lo sbarco di Anzio[66]), nel suo rapporto scrisse: «In primo luogo, per noi sarebbe impossibile raggiungere il fiume. Secondo, non potremmo passare e, terzo, anche se lo attraversassimo in qualche modo non avremmo un posto in cui dirigerci»; era opinione comune che la valle del Liri attaccata frontalmente sarebbe diventata «un collo di bottiglia fangoso». Walker aveva anche altre ragioni per cui preoccuparsi: innanzitutto la divisione sotto il suo comando era formata in maggioranza da rimpiazzi, molti dei quali mai impiegati in combattimento; il fiume era sì largo solo una decina di metri, ma le sue rive erano praticamente verticali e la sua esigua larghezza faceva sì che l'artiglieria non poteva colpire la sponda opposta nel momenti in cui fosse partito l'attacco, il che costrinse Walker ad iniziare l'attacco durante la notte con tutti i relativi problemi di visibilità; inoltre gli argini erano minati, protetti da ampi reticolati e i genieri statunitensi erano riusciti ad aprire e delimitare con nastro bianco solo pochi e stretti passaggi, nastro che in alcuni casi nottetempo venne spostato dalle pattuglie tedesche, che resero così ancora più drammatica l'avanzata statunitense[67].
Nonostante i grossi dubbi, Walker il 18 gennaio scrisse a Clark che la sua divisione sarebbe riuscita ad aprirsi un varco nella valle e alle ore 20:00 del 20 gennaio diede inizio alle operazioni[67]. Gli uomini del 143º e del 141º Reggimento di fanteria avanzarono in mezzo ad una densa nebbia fino alle rive del fiume, molti a causa dell'oscurità incapparono nei campi minati e i tedeschi ormai all'erta da giorni ai primi segni di pericolo aprirono il fuoco d'infilata con le mitragliatrici pesanti. Gli statunitensi vennero massacrati ancor prima di provare ad attraversare il fiume, e l'artiglieria tedesca aprì il fuoco distruggendo anche buona parte delle imbarcazioni stipate dagli americani[68].
Piccoli gruppi isolati di soldati riuscirono comunque ad attraversare il fiume, ma i rabbiosi contrattacchi tedeschi costrinsero i pochi sopravvissuti a riattraversare il fiume per mettersi in salvo. Il 3º Battaglione del 143º non riuscì nemmeno ad avvicinarsi alle sponde del Rapido; i campi minati e il fuoco nemico scompaginarono gli uomini, e gli ufficiali persero il controllo della situazione. A nord di Sant'Angelo un battaglione del 141º riuscì ad attraversare il ponte ma la riuscita di tali operazioni dipendevano in gran parte dal lavoro dei genieri, i quali nell'occasione si trovarono a dover sminare le due rive, organizzare un servizio di traghetto e installare i ponti Bailey. Al buio e sotto il fuoco nemico tutto ciò fu impossibile, e alle prime luci dell'alba Walker non poté far altro che rilevare la portata del disastro, ma nonostante fosse contrario, fu obbligato dal generale del II Corpo Keyes a riprendere l'attacco nel primo pomeriggio[69].
Dopo un violento tiro d'artiglieria alle 16:00 partì il nuovo attacco del 143, il quale riuscì ad attraversare il fiume ma in nottata, senza l'appoggio delle armi pesanti, fu ricacciato sui punti di partenza da un contrattacco tedesco. Il 141º partì all'attacco solo alle 22:00 e il risultato fu la sanguinosa ripetizione di quanto accaduto la notte prima, e la debole testa di ponte coraggiosamente aperta dagli statunitensi durante la notte, con le prime luci del giorno venne eliminata dalla reazione nemica. A questo punto intervenne lo stesso Clark che annullò il terzo tentativo ordinato ostinatamente da Keyes[70].
Nelle quarantotto ore di battaglia la 36ª Divisione perse circa duemila uomini, ossia il 60% delle forze inviate all'attacco. Ma la cosa più tragica fu il fatto che nonostante il grosso tributo di sangue, i tedeschi non si resero nemmeno conto che quello fosse un attacco in forze per scardinare le sue posizioni lungo il Rapido e in quella notte diedero poca importanza a quei combattimenti. La 15ª Divisione Panzergrenadier schierata a tergo del fiume era ben posizionata in trincee a zig zag a buona distanza dalla sponda, in modo tale da colpire l'avversario con un tremendo tiro incrociato appena questi vi avrebbe messo piede. Né il comando di divisione né quello del Corpo si resero subito conto dell'ampiezza dello scacco offerto al nemico, e le difese tedesche non ebbero neppure bisogno di allertare le riserve offerte da Kesselring[71][70] Sulla riva tedesca si contarono 430 americani morti e 770 furono presi prigionieri, e sulla riva americana c'erano altri 900 tra morti e feriti, mentre i tedeschi persero 64 uomini e 179 feriti. L'attacco si era concluso con un completo fallimento[72], due reggimenti di fanteria americana furono annientati in una delle peggiori disfatte di tutta la guerra[73][N 2]
Il massiccio di Cassino |
Mentre si esauriva l'attacco al Rapido, il 22 gennaio le truppe angloamericane del VI Corpo d'armata statunitense al comando di John Lucas compirono i loro sbarchi ad Anzio e Nettuno, senza trovare resistenza. Per i tedeschi fu una sorpresa tattica più che strategica; Kesselring sapeva da mesi che gli Alleati stavano preparando uno sbarco oltre le sue linee, ma non sapeva dove e quando[74], e con sua sorpresa apprese solo alle 08:20 del mattino che gli Alleati avevano preso terra dietro la Gustav, ossia sei ore dopo da quando le prime truppe erano sbarcate[75]. Lucas però fu troppo prudente e invece di affondare velocemente il colpo decise di trincerarsi per aspettare il contrattacco tedesco; in questo modo la testa di sbarco di Anzio venne rapidamente accerchiata e isolata. Concepita per aiutare le truppe a Cassino e tagliare le linee di comunicazioni tedesche, nella pratica l'offensiva sul fronte di Anzio fu iniziata dai tedeschi e Clark fu costretto a sferrare nuovi attacchi a Cassino per alleggerire la pressione sulla testa di ponte. Gli anglo-americani sbagliarono i tempi, gli sbarchi ad Anzio arrivarono proprio mentre gli attacchi del X e del II Corpo si stavano esaurendo e l'avanzata a nord del Corpo francese si era appena fermata, ma le pressioni politiche e dell'opinione pubblica costrinsero Clark a mantenere sull'offensiva la sua armata; «abbiamo un gran bisogno di tenerli impegnati», «anche una battaglia d'attrito è meglio che stare fermi a guardare combattere i russi» insisté Churchill[76].
Il generale Clark decise quindi di riprendere gli attacchi per il 25 gennaio, utilizzando la 34ª Divisione "Red Bull" e invitando i riluttanti Juin e McCreery a fare il possibile per riprendere gli attacchi nei loro settori. Il piano di Clark prevedeva l'attacco della 34ª Divisione del generale Ryder contro la parte settentrionale dell'abitato di Cassino contemporaneamente ad un attacco portato dai francesi direttamente contro il massiccio di Cassino avrebbe portato ad un aggiramento da destra delle linee tedesche. Per fare ciò la 34ª Divisione avrebbe dovuto oltrepassare il Rapido e tutta la zona allagata dai tedeschi proprio a nord della città, e puntare a Quota 213 (che domina l'abitato di Caira) e ad una vecchia caserma fortificata a tre chilometri da Cassino[77], mentre il Corpo di spedizione francese avrebbe attaccato il colle Belvedere e colle Abate a destra della 34ª Divisione: in questo modo sperava che i francesi avrebbero coperto il fianco destro degli statunitensi e distolto truppe dalla stessa Cassino. Juin non avrebbe voluto rinunciare al suo attacco in direzione di Atina, perché lo considerava il perno per il suo aggiramento oltre la Gustav e riteneva Belvedere uno degli accessi più difficili, considerando che così le sue truppe avrebbero dovuto attraversare il Rapido e poi il Secco, per poi arrampicarsi per circa 800 m sulla nuda roccia (con tutti i problemi logistici e di rifornimento che questo avrebbe comportato), per di più sempre visibili dalle posizioni tedesche di monte Cifalco[78].
In quella zona i tedeschi avevano la 44ª Divisione del generale Franek, unità che aveva subito pesanti perdite sul fronte di Stalingrado ed era numericamente ridotta, con ufficiali giovani diventati veterani prima del tempo, che guidavano compagnie di appena cento uomini come se fossero compagnie d'assalto miste. Il 24 gennaio la 3ª Divisione di fanteria algerina varcò il Secco, superò i campi minati e travolse le difese tedesche della 44ª Divisione[79] per poi scalare in mezzo a molte difficoltà e grosse perdite colle Belvedere, che venne occupato durante il secondo giorno di combattimenti, mentre su colle Abate i battaglioni algerini vennero praticamente annientati[80]. Il 26 gennaio gli algerini presero anche monte Abate e si trovavano ormai ad un passo da monte Cairo, ma lo slancio offensivo era ormai terminato, mentre i tedeschi, rinforzati da un reggimento di fanteria[81] e un reggimento della 90ª Divisione Panzergrenadier[82], contrattaccarono cacciando i francesi da monte Abate ma non oltre: erano truppe di pianura non abituate al terreno montagnoso e senza equipaggiamento adatto, mentre «le truppe coloniali si batterono qui, come altrove, con estremo accanimento e senza curarsi delle perdite» scrisse a proposito Von Senger[83]. Secondo lo storico Eddy Bauer tutto sommato il CEF aveva raggiunto lo scopo di spostare forze tedesche nel settore montano sottraendole da Cassino, infatti i francesi, seppur al costo di grosse perdite, attirarono circa i due terzi dei 44 battaglioni che in quel momento si opponevano alla 5ª Armata[82].
Poco più a sud, dopo un furioso martellamento la divisione di Ryder con due reggimenti tentò di stabilire alcune teste di ponte oltre il Rapido, ma la prima notte entrambi i tentativi furono bloccati. Gli americani insistettero finché nella notte del 30 gennaio il 168º riuscì a passare, consolidando una piccola testa di ponte proprio mentre i francesi occupavano monte Cairo e le alture circostanti, e mentre il 133º fanteria avanzava nella valle di Cassino. Il 168º e il 135º Reggimento rinnovarono quindi gli attacchi alle colline dietro la cittadina, e Keyes inviò di rinforzo il 142º Reggimento della 36ª Divisione che in precedenza non era stato utilizzato, i quali si portarono a destra delle forze di Ryder e si collegarono al fianco sinistro del Corpo francese, con i quali iniziarono a colpire le difese tedesche portandosi sul terreno elevato di cui faceva parte Montecassino. Sotto di loro il 133º si portò alla periferia dell'abitato iniziando furiosi combattimenti che si protrassero per giorni, appoggiati dagli Sherman della 1ª Divisione di Harmon che cercavano di attraversare il Rapido e di avanzare lungo la Statale 6 verso la valle del Liri[84].
La battaglia continuò giorno dopo giorno tra pioggia e nebbia, con rapidi attacchi a livello di compagnie dove gli uomini quando consolidavano una posizione appena conquistata dovevano trincerarsi in fretta per affrontare l'inevitabile contrattacco nemico, con rabbiosi scontri corpo a corpo dove le bombe a mano erano più importanti dell'artiglieria[85]. Il 4 febbraio i battaglioni di Ryder si stavano avvicinando poco a poco all'Abbazia: due posizioni molto importanti, colle Sant'Angelo e Quota 593 (denominata "testa di Serpente") furono conquistate e di nuovo perdute, ma Von Senger coordinò magistralmente le difese e dopo aver ritirato la 44ª Divisione fece entrare in azione la 90ª Panzergrenadier Division appena disimpegnata dal fronte meridionale, affidando al generale Baade il comando del settore[86]. Ma i combattimenti provarono fortemente anche le capacità di resistenza dei tedeschi i quali si stavano dissanguando al ritmo di un battaglione al giorno[87][88]. Nel frattempo intervenne a Cassino direttamente Alexander, che inviò il suo capo di stato maggiore a sondare il morale dei soldati, scoprendo che le truppe stavano «quasi per ammutinarsi», dopodiché diede tempo a Clark fino al 12 febbraio per impegnare la 34ª Divisione a Cassino, se a quel punto la divisione non avesse ancora preso Cassino e l'Abbazia, l'unità e tutto il II Corpo sarebbe stata sostituita dal neo-costituito Corpo d'armata neozelandese al comando del generale Bernard Freyberg che poteva contare su truppe neozelandesi e indiane richiamate dal fronte adriatico. Clark ordinò quindi un ultimo tentativo per l'11 febbraio, ma l'attacco si infranse alle prime battute e contro i contrattacchi tedeschi. Ironia della sorte Von Senger il 12 febbraio aveva proposto a Kesselring la possibilità di disimpegnarsi da Cassino e ripiegare sulla cosiddetta "Linea C", situata a tergo della testa di ponte di Anzio; anche i tedeschi erano allo stremo delle loro forze ma a quel punto anche gli Alleati avevano perso qualsiasi spunto offensivo. Il 13 febbraio una brigata della 4ª Divisione indiana diede il cambio alla esausta 34ª Divisione sulla "testa di Serpente" ma non per continuare l'attacco, bensì per consolidare le posizioni. L'offensiva venne sospesa e Von Senger poté rimanere sulle sue posizioni, la prima battaglia di Cassino era finita[89][90][91].
Le perdite Alleate furono pesantissime, considerando gli avvenimenti dal 17 gennaio i britannici persero 4000 uomini tra morti e feriti, e pur avendo consolidato una testa di ponte nel basso corso del Garigliano le divisioni britanniche erano allo stremo; la sconfitta della 36ª Divisione sul Rapido avvenne in cambio di 1700 perdite, mentre la 34ª Divisione di Ryder aveva aperto una piccola breccia a nord di Cassino al costo di 220 uomini tra morti e feriti. I francesi all'estremo del fianco destro erano avanzati più di tutti e penetrati a cuneo fra le montagne, ma avevano perso circa 2500 uomini[92]. In pratica cinque divisioni alleate era state messe completamente fuori combattimento, gran parte dei reparti di fanteria erano ridotti ad un quarto dei loro effettivi[93] mentre i tedeschi, seppur provati, potevano reclamare una vittoria difensiva, facilitata dall'eccessiva «rigidità tattica» tenuta dagli Alleati, che permise a Von Senger di spostare truppe ove necessario[94], e resa gestibile dall'inattività dell'8ª Armata di Oliver Leese sul fronte adriatico[95].
La seconda battaglia |
Il bombardamento dell'abbazia |
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«Quando il nemico ebbe deciso di includere Montecassino nel suo sistema difensivo, l'abbazia sulla vetta divenne inevitabilmente un bersaglio legittimo; infatti non si sarebbe potuto conquistare la montagna senza coinvolgere la sua cima: la guerra non si gioca fra le linee bianche secondo i fischi dell'arbitro» |
(E.D. Smith, Battle for Cassino[4]) |
Per un momento, nei primi giorni di febbraio, parve che la battaglia avesse potuto risparmiare l'abbazia di Montecassino. Ancora il 5 febbraio i monaci all'interno de monastero benedettino poterono assistere ai combattimenti fra tedeschi e americani a diverse centinaia i metri dall'abbazia, ma l'avanzata degli Alleati tolse ogni residua speranza agli abitanti di Montecassino, che dovettero constatare come, nonostante le rassicurazioni di entrambi i belligeranti, il monastero veniva colpito sempre più spesso dall'artiglieria dei due schieramenti[96].
Agli inizi di dicembre i tedeschi avevano dichiarato "zona neutrale" una fascia di trecento metri intorno a Montecassino e avevano ordinato che non vi entrasse nessuna delle loro truppe, ma ciò non impedì loro di utilizzare le caverne vicino le fondamenta come magazzini per le munizioni, distruggere le costruzioni attorno al monastero, e nella città di Cassino, per aprire il campo di tiro e posizionarvi tutt'attorno postazioni per mitragliatrice e armi pesanti, oltre che punti d'osservazione per l'artiglieria, rendendo di fatto l'abbazia il centro della linea di fuoco[96][97]. Dai resoconti dei monaci dell'abbazia sappiamo la "zona neutrale" è esistita per solo tre settimane e venne abolita il 5 gennaio, e anche durante questa sua breve esistenza l'abate Diamare ebbe diverse occasioni per lamentarsi che i tedeschi stavano violando il limite da loro stessi stabilito. Il 26 dicembre fu lo stesso Von Senger a dare l'ordine di «allestire difese fino alle mura dell'abbazia, se necessario», il giorno dopo che lo stesso Von Senger si era recato con alcuni ufficiali all'interno dell'abbazia per assistere alla Messa di Natale[98]. Ad ogni modo vennero evacuati anche gli sfollati presenti a Montecassino, fatta eccezione per tre famiglie troppo malate, il vescovo Diamare e una mezza dozzina di monaci, tra cui l'abate Martino Matronola; ma l'avvicinarsi della battaglia fece si diverse centinaia di civili, impauriti dall'avvicinarsi dei combattimenti, trovassero rifugio all'interno del monastero, considerato l'unico luogo sicuro[99].
Non volendo arrendersi dopo questo primo scacco, e sottoposto alle pressioni di Londra e Washington che si lamentavano della lentezza dell'avanzata in Italia e si chiedevano perché non riuscisse a sfondare[100], il 12 febbraio Alexander mise insieme il Corpo d'armata neozelandese al comando di Freyberg, che fu messo a disposizione della 5ª Armata per continuare la pressione su Cassino. Il Corpo era formato dalla 2ª Divisione neozelandese al comando di Howard Kippenberger, dalla 4ª Divisione indiana di Francis Tucker (che il 6 febbraio dovette cedere il comando a Harry K. Dimoline per questioni di salute) e dalla 78ª Divisione di fanteria britannica al comando di D.C. Butterworth (che arrivò al fronte solo il 17 a causa della neve che cadde sul versante adriatico), che andarono temporaneamente a sostituire gli statunitensi del II Corpo di Keyes[101]. Il piano prevedeva quindi che questa "ultima spinta" data da truppe fresche e riposate, avrebbe ottenuto ciò che era sfuggito agli stremati americani, ricalcandone le direttrici. La 4ª Divisione indiana avrebbe assaltato il monastero e liberato l'altura per poi discendere nella valle del Liri, mentre la 2ª Divisione neozelandese avrebbe passato il Rapido appena a nord di Sant'Angelo, preso Cassino e aperto l'accesso alla valle alla 1ª Divisione corazzata che si sarebbe precipitata alla testa di sbarco di Anzio[102].
Fin dai primi giorni di febbraio Freyberg aveva avvertito Clark che forse sarebbe stato necessario «buttare giù» il monastero, e il 12 febbraio presentò ufficialmente la richiesta dopo che venne informato di diverse testimonianze che assicuravano la presenza di osservatori tedeschi dentro l'abbazia. Trovandosi ad Anzio, Clark fu avvertito dal suo vice, il generale Alfred Gruenther, il quale gli trasmise il messaggio di Freyberg: «Voglio che sia bombardato [...] Gli altri obiettivi non contano, ma questo è di importanza vitale. Il comandante di divisione che conduce l'attacco lo ritiene un obiettivo essenziale e io sono completamente d'accordo con lui». Gruenther contattò Clark e tutti i comandi di terra americani, nessuno dei quali trovava giustificato quel bombardamento[103][104], anzi, il generale Keyes si espresse ammonendo che il monastero avrebbe accresciuto il suo valore militare in quanto i tedeschi si sarebbero sentiti liberi di farne una barricata[105]. Clark nelle sue memorie scrsse che se Freyberg fosse stato semplicemente un suo subordinato, avrebbe semplicemente respinto la sua richiesta, ma «alla luce del desiderio degli inglesi di trattare i neozelandesi con molta diplomazia e con molto tatto»[106][N 3] fu costretto a rimandare la decisione chiedendo il parere di Alexader, che diede istintivamente ragione al neozelandese: «Quando i soldati stanno combattendo per una giusta causa e sono pronti ad affrontare anche la morte e la mutilazione, non si può permettere che dei mattoni e dell'intonaco, per quanto venerandi, abbiano un peso di fronte a vite umane»[104]. Clark rimaneva comunque l'unico poter dare l'ordine esecutivo, e seppur contrario, dovette cedere sia alle pressioni politiche sia alla motivazione di Freyberg, il quale gli fece notare che se avesse rifiutato il bombardamento del monastero si sarebbe dovuto accollare la responsabilità di un eventuale fallimento dell'attacco, richiamandosi poi alla "necessità militare" che Eisenhower aveva posto come argomentazione imprescindibile di fronte alla scelta se sacrificare i soldati Alleati o salvaguardare l'eredità culturale a artistica dell'Italia[107].
Il richiamo alla "necessità militare" tolse ogni possibilità a Clark di opporsi a Freyberg, e dopo aver ricevuto l'approvazione dai vertici venne deciso di bombardare l'abbazia per il giorno 13 febbraio[108]. Il monastero era stato costruito in epoche remote per essere adibito a fortezza, e per questo motivo possedeva mura di notevole spessore che si ergevano sulla roccia presentando una facciata liscia e insormontabile. L'unico ingresso era il portone principale. Poiché i bombardieri medi non potevano trasportare un quantitativo sufficiente di esplosivi per dirompere le massicce mura, si dovettero impiegare le "Fortezze volanti" della forza aerea strategica, e poiché tali bombardieri dovevano attaccare da alta quota era necessario avere tempo sereno per attaccare un obiettivo così piccolo. Le difficoltà di coordinamento tra forze di terra e aeree erano state valutate, ma le tecniche per un'operazione del genere non erano ancora state sperimentate appieno, e fu deciso quindi di considerare l'operazione del bombardamento come a sé stante, senza alcun tentativo di coordinarlo strettamente con le forze terrestri[109].
A causa del maltempo il bombardamento venne rinviato e si decise che sarebbe iniziato la mattina del 15 febbraio, e il 14 si fecero esplodere sopra l'abbazia proiettili di artiglieria contenenti volantini che avvisavano dell'imminente distruzione del monastero ai suoi inquilini. Quando la notizia arrivò agli sfollati alcuni fuggirono nelle grotte vicine, altri si ripararono nei sotterranei del monastero e altri vennero rischiosamente evacuati nella notte dai tedeschi[110]. Alle 09:45 del 15 febbraio in una giornata assolata, la prima ondata di 142 B-17 Flying Fortress del 13º Strategic Air Force sganciarno 253 tonnellate di bombe d alto potenziale e incendiarie, seguiti da una seconda ondata di 47 bimotori B-25 Mitchell e 40 bimotori B-26 Marauder della Mediterranea Air Force che fece precipitare sul monastero altre cento tonnellate di bombe dall'una del pomeriggio. Gli attacchi aerei furono seguiti da un poderoso bombardamento di artiglieria: l'effetto sull'edificio fu drammatico, un tenente tedesco riferì che fu come se « [...] la montagna si fosse disintegrata, scossa da una mano gigantesca»[111], mentre lo stesso generale Clark scrisse che «Avevo visto l'antica abbazia solo da lontano, ma quella mattina mentre le salve tuonanti delle esplosioni parevano spaccare il monte, fui certo che non l'avrei mai più potuta vedere da vicino»[112]. Verso mezzogiorno Von Senger inviò il seguente telegramma al generale Vietinghoff: «La 90ª Divisione Panzergrenadier riferisce che l'Abbazia di Monte Cassino è stata bombardata il 15 febbraio alle 9.30 da 31 quadrimotori; alle 9.40 da 34; alle 10.00 da 18. I danni non sono stati ancora calcolati. L'attacco era stato preannunciato dal lancio di manifestini che asserivano, a giustificazione, che nell'interno dell'Abbazia vi erano armi automatiche. Il responsabile del settore di Cassino, colonnello Karl Lothar Schultz, comandante del 1° Reggimento di paracadutisti, a tal proposito riferisce che le truppe non avevano piazzato armi dentro il Monastero. [...]»[113]. Nel pomeriggio monaci e civili iniziarono a lasciare i loro rifugi, mentre altri rimasero nascosti fra le macerie. Non si saprà mai quanti civili, fra le mille-duemila persone accorse a Montecassino, siano rimaste uccise; uno storico locale nel 1977 sostenne che durante il bombardamento perirono circa 230 persone, altre valutazioni hanno alzato il numero di altre diverse centinaia, ma tutte le testimonianze di coloro che si trovarono a Montecassino prima e dopo il bombardamento asserirono che la maggior parte dei profughi sopravvisse all'incursione[114]. In ogni caso le vittime furono unicamente civili, non ci fu mai alcuna prova che le bombe cadute abbiano ucciso un solo tedesco[115].
Ovviamente i tedeschi utilizzarono il bombardamento a loro vantaggio sia militarmente che in ambito propagandistico. Le rovine dell'abbazia e le spesse mura perimetrali ancora in piedi vennero rapidamente occupate dagli uomini di Von Senger, mentre gli operatori dell'esercito inviarono a Berlino le riprese delle rovine ancora fumanti dell'abbazia che il Ministro della propaganda del Terzo Reich, Joseph Goebbels, non esitò ad utilizzare per dare credito al leit-motiv della barbarie alleata contro la missione civilizzatrice tedesca[116].
L'attacco del Corpo neozelandese |
A questo punto l'organizzazione alleata dimostrò una grossa carenza. Le massicce mura del monastero erano ancora intatte alla base, perciò non si era creato nessun accesso facile per le truppe attaccanti, per di più queste non erano neppure pronte ad assaltare l'edificio quando finì il bombardamento. Il comandante della divisione indiana, Dimoline, aveva ripetutamente chiesto a Freyberg di rimandare l'attacco in quanto i suoi uomini pochi giorni prima avevano ravvisato che Quota 593 non era in mano degli americani come si pensava, bensì era saldamente in mano tedesca, perciò avevano bisogno di più tempo per stabilirsi e prepararsi all'attacco. Ma l'urgenza creata dal pericoloso contrattacco tedesco ad Anzio (operazione Fischfang), le condizioni meteo favorevoli e il mancato coordinamento tra le forze alleate, fece sì che il bombardamento avvenisse ventiquattr'ore prima di quanto richiesto da Dimoline[117]. Il bombardamento prese del tutto alla sprovvista gli indiani, che con alcune compagnie ancora stanziate in vista del monastero riportarono perdite a causa del bombardamento. Nel pomeriggio del 15 febbraio Freyerg ordinò l'attacco all'abbazia, ma i comandanti al fronte si rifiutarono d attaccare finché Quota 593 non fosse in mano alleata, sostenendo che qualsiasi movimento in direzione dell'obiettivo sarebbe stato fermato dal fuoco di fiancheggiamento proveniente dall'altura. L'attacco a Quota 593 da parte degli uomini del battaglione "Sussex" venne programmato per l'imbrunire, dopo un altro attacco aereo all'abbazia, ma nessuno conosceva la reale consistenza dei difensori di Quota 593, così gli indiani vennero respinti. Il giorno seguente venne rinnovato l'attacco dopo l'arrivo dei rifornimenti portati dai muli lungo difficili mulattiere, ma anche questa volta l'attacco si infranse contro i soliti capisaldi costruiti dai granatieri della 90ª Divisione tedesca[118], al costo di grosse perdite. In quelle due notti più del 50% degli uomini del "Sussex" impegnati rimase ucciso o ferito[119].
Con la situazione ad Anzio che andava peggiorando, Clark fece pressione su Freyberg perché questi rinnovasse la pressione su Cassino, e il generale neozelandese ordinò un nuovo attacco al monastero e simultaneamente un attacco nella valle del Liri da parte della 2ª Divisione neozelandese. Anche la 2ª Divisione si trovò di fronte a grossi problemi logistici: se la divisione indiana doveva superare ripidi sentieri e scalare la roccia nuda, i neozelandesi dovettero vedersela con l'inondazione artificiale della valle del Liri e con le piogge incessanti dal 4 febbraio che avevano reso il terreno impraticabile per uomini e mezzi. Solo la direttrice del terrapieno ferroviario che portava alla stazione di Cassino era percorribile, seppur con difficoltà, dato che era stava in parte distrutta e in larga parte minata, perciò il comandante Howard Kippenberger decise di tentare l'assalto alla stazione con un solo battaglione; poi i genieri avrebbero riparato la strada e permesso ai mezzi corazzati e al resto della divisione di avanzare[120]. Il reparto scelto fu il tenace 28º battaglione maori, che alle 21:30 del 17 febbraio iniziò ad avanzare verso la stazione, imbattendosi subito nei campi minati, nei reticolati e nel tiro delle mitragliatrici tedesche[121]. Dopo circa un'ora i maori raggiunsero il primo obiettivo, un edificio posto a sud della stazione, da cui avanzarono verso la stazione stessa, dove per un'ora infuriò un feroce corpo a corpo: «Quella notte fu tutto un corpo a corpo [...] non saprò mai come abbiano fatto i miei soldati a riconoscere uomini e cose. Era una notte completamente buia [...]» raccontò nel dopoguerra il capitano di compagnia Monty Wikiriwhi[122]. Le prime luci dell'alba trovarono i maori nella stazione ferroviaria, mentre i genieri avevano portato a termine gran parte del lavoro, ma non potevano assolutamente continuare durante il giorno sotto il tiro dell'artiglieria tedesca, e si ritirarono lasciando i maori isolati nella stazione. Il generale Kippenberger si trovò quindi di fronte ad un dilemma: ordinare all'artiglieria di creare una cortina fumogena attorno alla stazione durante tutto il giorno (ma ciò avrebbe permesso anche ai tedeschi di avvicinarsi senza essere visti) oppure lasciarli sul posto nella speranza che l'artiglieria alleata potesse proteggerli dai contrattacchi. Kippenberger scelse il male minore e ordinò all'artiglieria di stendere una cortina fumogena, ma ciò non impedì ai tedeschi di contrattaccare supportati dai carri armati (tra cui alcuni Sherman appena catturati), e i maori furono costretti a ripiegare sui punti di partenza. Fu un massacro: dei duecento uomini partiti all'attacco il giorno prima ben 130 uomini rimasero morti o feriti[123][124].
Nel frattempo le truppe indiane si trovarono in grosse difficoltà sul colli dell'abbazia, ai tre battaglioni dell'11ª Brigata indiana fu ordinato di passare le posizioni dei "Sussex" e nella notte attaccare ancora Quota 593 e contemporaneamente avanzare verso l'abbazia, in modo tale da entrare nella parte settentrionale di Cassino e congiungersi con i maori. Quota 593 venne conquistata solo parzialmente da un pugno di Gurkha, ma le postazioni tedesche dirette verso il monastero erano ancora saldamente in mano nemica, che poteva quindi battere il terreno in cui si stava svolgendo l'avanzata dei reparti indiani diretti all'abbazia. Sottoposti ad un terribile tiro incrociato dalle postazioni di Quota 593 e di quelle davanti a loro, i Gurkha furono costretti a ritirarsi e con la luce del giorno si decise di rinunciare del tutto all'attacco e i soldati fatti ritornare sulle linee di partenza. Le perdite furono molto gravi: il 1º/9º Gurkha aveva perso cento uomini, il 1º/2º ne aveva perduti centoquarantanove, compresi quasi tutti gli ufficiali inglesi, ma la sorte peggiore toccò al 4º/6º "Rajputana" con poco meno di duecento perdite, un duro colpo per una divisione considerata d'élite[125][126].
Con i maori ricacciati dalla stazione e i Gurkha ritornati sulle posizioni di partenza, il 18 febbraio la battaglia venne sospesa e i tedeschi rimasero i padroni del campo di battaglia, per di più ora il generale Von Senger poteva trasformare i resti dell'abbazia in un fortezza inespugnabile[125]. Per loro si trattò di una netta vittoria difensiva, inoltre nello stesso momento la 14ª Armata aveva sfondato il perimetro della testa di ponte di Anzio dirigendosi verso la costa. Per un momento gli Alleati sembravano sul punto di essere ricacciati in mare, mentre a Cassino alcune delle loro migliori truppe si erano fatte massacrare senza ottenere nulla[127]. Il bombardamento alleato non fu un errore secondo lo storico Morris, anche se alcuni lo considerarono un peccato grave; il vero errore fu la completa mancanza di coordinazione fra l'attacco aereo e quello terrestre[125].
La terza battaglia |
«Improvvisamente ebbi la sensazione di rivivere istanti già vissuti ventotto anni prima quando, solo e sperduto, mi capitò di attraversare il campo di battaglia della Somme» |
(Fridolin von Senger und Etterlin[128]) |
Su pressione dei vertici politici alleati e dello stesso Freyberg, Alexander dovette ordinare un nuovo attacco alla linea Gustav il prima possibile per continuare ad alleggerire la pressione su Anzio. Freyberg voleva mirare nuovamente al monastero e alla statale nº6 ma questa volta muovendo da nord, verso la città di Cassino e la collina del Castello (Rocca Janula) che sorgeva tra il monastero e la città stessa. Dopo i fallimenti precedenti verso Sant'Angelo, verso la stazione e con la valle del Rapido ancora inondata, per i mezzi corazzati questa era l'unica direttrice percorribile, ma dato che la città era pesantemente fortificata Freyberg decise un bombardamento aereo e di artiglieria su larga scala che avrebbe distrutto la cittadina e permesso ai neozelandesi di occuparla e aprire l'accesso alla valle del Liri[129]. Dalla collina del Castello unità della 4ª Divisione indiana avrebbero attaccato i tornanti che conducevano all'abbazia e preso Quota 435 (Hangman's Hill, collina dell'Impiccato) a meno di trecento metri dall'obiettivo, da dove sarebbero partiti gli attacchi risolutori alla conquista di Montecassino. Il 22 febbraio gli ultimi uomini della 34ª Divisione americana rimasti nella parte nordorientale della città ricevettero il cambio da unità neozelandesi, mentre la 78ª Divisione di fanteria britannica occupò le posizioni dei neozelandesi davanti a Sant'Angelo[130]. E proprio questa unità avrebbe dovuto, secondo Freyberg, sfruttare il successo dei neozelandesi e penetrare assieme al Combat Command B della 1ª Divisione corazzata nella valle del Liri per ricongiungersi al VI Corpo d'armata statunitense ad Anzio[131].
Fu deciso di servirsi della forza aerea su una scala senza precedenti nel tentativo di dimostrare che i bombardamenti strategici potevano non solo dare un contributo tattico, ma vincere addirittura una battaglia terrestre: i difensori di Cassino sarebbero in gran parte rimasti uccisi, e i pochi sopravvissuti sarebbero stati troppo sconvolti per opporre resistenza[132]. Alexander e Freyberg si lasciarono conquistare da tale prospettiva, d'altronde il generale neozelandese doveva salvaguardare a tutti i costi i suoi soldati diminuendo al massimo le perdite[133], ma Clark rimase scettico[132], e con lui anche il generale dell'USAAF comandante delle forze aeree nel Mediterraneo Ira C. Eaker, il quale memore di quando avvenuto a Montecassino un mese prima, si dichiarò non troppo ottimista sull'effetto del bombardamento contro Cassino. In una lettera allo stato maggiore dell'aeronautica a Washington Henry Arnold, Eaker scrisse: «Non aspettarti una grande vittoria da questa operazione [...]» i bombardamenti, concludeva, «serviranno a poco se le forze terrestri non attaccheranno subito [...]». Siccome però non esistevano alternative plausibili, il piano di Freyberg venne accettato e il destino di Cassino segnato[134].
Tutto venne predisposto per il 24 febbraio[135], ma il tempo peggiorò pesantemente e per quasi tre settimane piovve in modo incessante costringendo gli Alleati a rimandare l'attacco. Durante il periodo di stallo gli uomini vennero tenuti sulle postazioni avanzate, ma la difficoltà del terreno, le intemperie, il freddo e gli sporadici attacchi di artiglieria nemica creò non pochi problemi e perdite in entrambi gli schieramenti in attesa. Il 2 marzo il generale Kippenberger rimase amputato di entrambi i piedi saltando su una mina su monte Trocchio, caso eclatante di una situazione precaria che coinvolgeva i soldati lungo tutta la linea. La situazione dei rifornimenti, già difficili e precari sia per gli alleati che per i tedeschi, peggiorò notevolmente soprattutto per i soldati appostati sulle linee più elevate che per giorni, sotto la pioggia, non poterono godere né di ripari, né di pasti caldi[136]. Anche dal versante tedesco divenne molto difficile rifornire le truppe, molti degli uomini di Von Senger non erano abituati al terreno montagnoso, erano inesperti nel trattare i muli e avevano grossi problemi a portare in quota i viveri caldi, inoltre mancavano barellieri e soprattutto mancavano i rincalzi[137]. Il generale Von Senger fu costretto a creare diversi capisaldi piuttosto che una linea continua di posizioni[138] e diminuire l'organico delle compagnie in prima linea, in modo tale da scaglionare in profondità gli uomini e creare riserve[139]. Nonostante il fuoco continuo dell'artiglieria alleata che di giorno batteva i tragitti per gli approvvigionamenti, i tedeschi continuarono a rafforzare le posizioni difensive nei dintorni e dentro l'abbazia; l'ormai distrutto monastero era un formidabile punto d'osservazione per l'artiglieria tedesca[140]. Nel frattempo, un battaglione alla volta, l'esperta 1ª Divisione paracadutisti (i «diavoli verdi») andò a sostituire la 90ª Divisione Panzergrenadier e il 26 febbraio il generale Richard Heidrich assunse il comando del settore[141]. I paracadutisti tedeschi rappresentavano una forza d'élite dell'esercito tedesco, una divisione giovane, indottrinata e motivata posta al comando di un ufficiale esperto al quale Von Senger non ebbe ripensamenti a lasciare ampia libertà d'azione[142].
Il bombardamento di Cassino |
Il 14 marzo il cielo si schiarì abbastanza da consentire l'attacco per il giorno seguente, e nella notte le truppe alleate di prima linea vennero ritirate senza che i tedeschi se ne accorgessero. Intorno alle 08:00 del mattino, dopo che i più alti gradi delle forze alleate erano riuniti presso Cervaro, per assistere al bombardamento[143], i primi bombardieri pesanti apparvero in vista della città e per le successive quattro ore 575 bombardieri medi e pesanti e 200 cacciabombardieri, la più imponente forza aerea mai raccolta nel teatro di guerra del Mediterraneo, sganciò oltre mille tonnellate di esplosivo ad alto potenziale su circa 2,6 chilometri quadrati di campagna[144].
La cittadina, già gravemente danneggiata dai combattimenti precedenti, questa volta fu completamente demolita, anche se solo circa la metà delle bombe sganciate colpì il bersaglio. Al termine del bombardamento aereo intervenne l'artiglieria, e 748 pezzi rigurgitarono sulla cittadina e sul monastero 195.969 proiettili di ogni calibro. A metà pomeriggio i cannoni tacquero, ma l'abbazia continuò ad essere colpita per il resto della giornata e fino alle prime ore del giorno successivo[145]. Perfino Freyberg rimase colpito dalla «terribile unilateralità dello spettacolo», ma il giornalista americano Christopher Buckley, che il 1º settembre 1939 era a Varsavia, scrisse: «Ricordo, per averlo visto con i miei occhi, chi ha la responsabilità di avere sguinzagliato questa spaventosa arma»[146].
Dei circa trecento uomini del 3º Reggimento paracadutisti stanziati a Cassino, almeno la metà rimasero morti e feriti dal micidiale bombardamento, mentre molti dei sopravvissuti si rifugiarono nelle fognature della città approfittando della pausa tra la prima e la seconda ondata del bombardamento, dove vi erano rifugiati anche i pochi civili che ancora non avevano abbandonato la città[147]. Anche in questo caso però il fuoco amico fece registrare molte perdite tra le fila alleate: qualche bomba cadde sulla 4ª Divisione indiana, sulla 3ª Divisione marocchina e su un accampamento polacco, circa cento soldati alleati persero la vita, mentre centinaia di bombe caddero per errore su Venafro, Isernia, Pozzilli, Montaquila e Cervaro causando centinaia di morti tra la popolazione civile[148].
Intorno alle 14:00, seguendo il fuoco di sbarramento dell'artiglieria, due compagnie del 25º Battaglione neozelandese insieme ad alcuni Sherman del 19º Reggimento corazzato iniziarono ad avanzare verso la collina del Castello e a sgomberare la città arrivando da via Caruso a nord, ma fin da subito si accorsero che l'avanzata sarebbe stata molto più difficile del previsto: i paracadutisti della guarnigione di Cassino appena concluso il bombardamento aereo saltarono fuori dai loro rifugi e offrirono fin da subito una solida resistenza. Inoltre le devastazioni offerte dalle bombe avevano reso quasi del tutto impraticabile il terreno, enormi crateri e giganteschi ammassi di macerie costringevano gli attaccanti a passare attraverso stretti passaggi, esponendosi così al fuoco dei difensori. La riuscita del piano di Freyberg dipendeva dal fatto che le prime incursioni venissero svolte rapidamente e con decisione mentre i tedeschi erano ancora alle prese con lo stordimento del bombardamento, ma fin da subito si capì che le cose sarebbero andate diversamente[149].
L'offensiva attraverso la città |
I combattimenti tra tedeschi e neozelandesi si fecero subito accaniti. I primi attaccati protetti da un cortina fumogena iniziarono il loro compito di sgombrare gli edifici alla base della collina del castello da dove successivamente avrebbero tentato di impadronirsi dell'Hotel Continental, un edificio leggermente sopraelevato dove la statale n.6 svoltava a sinistra attraverso la città. Nel frattempo i genieri e i bulldozer cercavano di aprire vie percorribili per i carri armati. Il tutto avvenne più lentamente e difficilmente di quanto previsto e a metà pomeriggio i tedeschi iniziarono un pesante bombardamento d'artiglieria contro l'estremità settentrionale della città, concentrando il tiro lungo l'unica via d'accesso a nord di Cassino, via Caruso, dove i bersagli si ammucchiavano nel tentativo di accedere alla cittadina[150].
Verso sera a peggiorare la situazione iniziò una pioggia torrenziale non prevista dal servizio meteo che iniziò a riempire d'acqua le buche, e nonostante l'arrivo di rinforzi la resistenza tedesca non venne spezzata. Con l'imminente arrivo dell'oscurità il centro di Cassino e la collina del Castello erano in mano delle forze neozelandesi, ma in posizioni sotto il tiro dei tedeschi. In rinforzo ai neozelandesi asserragliati all'interno di Rocca Janula arrivò con circa due ore di ritardo dato che il battaglione "Essex" della 4ª Divisione indiana, che avrebbe dovuto proseguire l'attacco e risalire la collina del Castello fino alla collona dell'Impiccato e quindi attaccare il monastero, trovò nella pioggia e nel sopraggiungere dell'oscurità degli ostacoli in più che andarono a sommarsi ai capisaldi tedeschi ancora attivi ai piedi della collina[151].
Prima che gli elementi dell'"Essex" avessero raggiunto la vetta e dato il cambio ai neozelandesi, sopraggiunse la mezzanotte, e i piani di attacco all'abbazia andarono all'aria, causando ulteriori problemi alle compagnie di retroguardia, le quali a causa del ritardo si ritrovarono allo scoperto quando il bombardamento tedesco contro la collina del Castello ebbe inizio. I fucilieri del 1º/6º "Rajputana" vennero messi fuori combattimento ancor prima di entrare in azione, e dovettero attaccare di notte Quota 235 (quota posizionata tra i tornanti che conducono al monastero) con forze esigue[152]. Gli indiani partirono all'attacco intorno alle 04:30 del 16 marzo, e dopo svariati attacchi infruttuosi durati tutta la notte, al mattino vennero inviate alcune compagnie Gurkha che continuarono gli attacchi lungo i tornati del monastero, distraendo in tal modo i tedeschi dall'infiltrazione di alcuni plotoni del 1º/9º Gurkha verso la collina dell'Impiccato[153].
Le conquiste del primo giorno non erano sufficienti per garantire il successo, e il sostituto di Kippenberg, il generale Beresford Parkinson inviò altre compagnie del 25º e 26º Battaglione della 5ª Brigata. La città doveva essere rastrellata strada per strada, ma in quel tipo di combattimento i neozelandesi si trovarono nell'impossibilità di sfruttare la loro artiglieria; i paracadutisti tedeschi avevano dalla loro parte un elemento molto importante, una città distrutta era molto più facile da difendere di una relativamente intatta. Le vie erano sparite sotto le macerie, non esistevano punti di riferimento, e le uniche costruzioni identificabili (la stazione, l'Hotel Continental e l'Hotel des Roses) erano saldamente in mano tedesca[154]. Nel frattempo cominciò una intensa lotta che durò alcuni giorni per la posizione chiave di Hangman's Hill e lungo i tornanti del monastero, ma i tedeschi asserragliati nell'abbazia potevano controllare ogni movimento dei nemici, e ne approfittavano compiendo un vero e proprio stillicidio con i cecchini e con i mortai posizionati nel monastero, che di giorno bloccavano gli attaccati, e di notte colpivano i barellieri e i rifornimenti[155].
Ai piedi della collina del Castello i neozelandesi continuavano a combattere tra le rovine della città: il 16 marzo alcuni carri armati si trovarono a breve distanza dalla statale n.6 grazie al prodigioso lavoro dei genieri, e a fine giornata i due terzi di Cassino erano in mano alleata e il giorno seguente venne occupato quello che rimaneva del giardino botanico e il 26º Battaglione riprese il possesso della stazione[156]. A quel punto divenne chiaro che la resistenza tedesca era basata su due soli capisaldi, l'Hotel Continetal e l'Hotel des Roses, e fintanto che questi fossero rimasti in mano ai paracadutisti, l'accesso alla statale e l'accesso al monastero sarebbero stati preclusi. Fino al 18 marzo proseguirono i combattimenti, e ogni assalto veniva contenuto dai tedeschi, così il mattino dopo Freyberg decise di giocare la sua ultima carta convocando il battaglione maori: il 19 i Gurkha e gli uomini dell'"Essex" avrebbero condotto un nuovo assalto al monastero mentre i maori appoggiati da 35 carri armati avrebbero attaccato lungo il percorso approntato dai genieri durante il periodo di stallo, che da Caira portava fin sotto il massiccio, alla fattoria Albaneta[157].
La collina del Castello |
Anche i tedeschi si resero conto del pericolo e dell'importanza cruciale della collina del Castello, che non solo sovrastava la parte settentrionale della città, ma era fondamentale per gli sforzi alleati contro le quote superiori. E il 18 marzo, anticipando le intenzioni di Freyberg, i tedeschi passarono al contrattacco sia verso la stazione sia verso Rocca Janula[158]. L'attacco alla stazione fallì, ma fu un duro colpo per i neozelandesi che fino a quel momento credevano i tedeschi ormai spacciati, mentre quello contro la collina del Castello mise in seria difficoltà le forze di Freyberg. Circa trecento uomini del 1º Battaglione paracadutisti prtendo dal monastero si lanciarono giù per collina assaltando le posizioni dell"Essex" e dei "Rajputana" nel vecchio castello. Di conseguenza il battaglione Gurkha a Quota 435 Hangman's Hill rimasero isolati e nei giorni successivi dovettero resistere da soli alla pressione dei paracadutisti[159]. I combattimenti sulla collina del Castello furono molto duri, ci furono violenti assalti e combattimenti corpo a corpo anche all'interno del cortile del Castello, dove in un paio di occasioni i tedeschi riuscirono a penetrare per poi essere sanguinosamente respinti dal fuoco delle armi automatiche dei difensori. La ferocia di questi combattimenti e la precaria situazione degli uomini sulla collina del Castello fece rinviare l'attacco alla fattoria Albaneta, ma nessuno avvisò i carristi, i quali partirono comunque all'attacco. Senza il supporto della fanteria i tedeschi ebbero vita facile e dopo che una dozzina di carri fu messa fuori combattimento, i rimanenti ricevettero l'ordine di ritirarsi. In quell'occasione si assistette ancora una volta alla mancanza di coordinamento tra i comandi alleati inferiori, e l'avvenimento venne ben descritto nel diario storico della 4ª Divisione indiana: «accadde ancora una volta che un pugno colpisse mentre l'altro braccio penzolava inerte»[160].
Il 20 marzo la battaglia era ormai in una situazione di stallo, e Mark Clark, che fino a quel momento si era limitato a criticare l'operato di Freyberg, insistette perché il Corpo neozelandese compisse un ultimo sforzo. Il comandante della 5ª Armata era da poco venuto a conoscenza che Alexander stava preparando un nuovo piano che prevedeva il trasferimento dell'8ª Armata britannica dal fronte adriatico per concentrare il peso combinato delle due armate in un'unica poderosa offensiva sul fronte di Cassino. Quando ciò sarebbe avvenuto, Cassino non sarebbe più stata una battaglia della sola 5ª Armata[161].
La battaglia nel frattempo si trascinò per altri due giorni, e il 22 marzo Clark diede a Freyberg altre trentasei ore per provare a conquistare l'abbazia. Diverse compagnie del 2º Battaglione fucilieri Gurkha e il 6º Battaglione "Royal West Kent" attaccarono i tornanti, ma furono inesorabilmente respinti. I neozelandesi fecero un ennesimo tentativo contro l'Hotel Continental, ma fallirono a loro volta; le due divisioni erano ormai allo stremo[161]. Venne deciso di ritirare le truppe isolate da giorni dalla collina dell'Impiccato[162], ma gli aspri combattimenti di Cassino avevano minato pesantemente anche il morale dei neozelandesi tanto da portare la divisione sull'orlo della disgregazione. Le posizioni non abbandonate vennero dagli indiani vennero affidate alla 78ª Divisione britannica, mentre la divisione indiana, ormai decimata, venne ritirata e spostata sull'Adriatico: «la 4ª Divisione ha perso più di una battaglia» scrisse Tucker «[...] aveva perso parte della propria sostanza»[163]. Il terzo attacco a Cassino, nome in codice "operazione Dickens", in undici giorni causò circa duemilacinquecento perdite nel Corpo neozelandese, quasi il doppio dei difensori, la più martoriata fu la divisione indiana, che fra morti e feriti aveva avuto da metà febbraio circa quattromila vittime[164].
Anche la terza battaglia si era conclusa con un sostanziale nulla di fatto per gli alleati e per una vittoria difensiva dei tedeschi, ma essendo i loro battaglioni ridotti fra i 40 e i 120 uomini, avevano pagato un prezzo terribile per contrastare gli Alleati[165]. Questa battaglia, che passerà alla storia come una battaglia controversa, venne giudicata dal generale tedesco Von Senger come «difficilmente comprensibile»[166]. Dopo gli attacchi a dicembre 1943 di Juin e i tentativi di McCreery a gennaio contro l'ala destra del XIV Panzerkorps, i comandi alleati decisero di concentrare l'attacco contro il caposaldo di Cassino, l'unico punto che avrebbe teoricamente consentito l'utilizzo massiccio delle forze corazzate verso la capitale, ma anche il punto di più forte resistenza dei tedeschi[167] Il principale scopo dell'attacco, ossia alleviare la pressione su Anzio, non era neppure più così rilevante quando venne lanciato l'assalto dato che la situazione sulla testa di ponte era ormai stabilizzata, e anche per questo motivo il terzo attacco a Cassino rimane un episodio controverso[168].
Dopo il fallimento delle prime due battaglie, Freyberg sempre assillato dal problema di contenere le perdite, continuò ad essere restio a impegnare le proprie riserve, e decise di insistere con una manovra a tenaglia e ad affidarsi all'aeronautica, nonostante la distruzione dell'abbazia avesse già evidenziato come le macerie e i sotterranei offrivano capisaldi sicuri ai difensori e di come le macerie stesse diventassero ostacoli per gli stessi attaccanti[169]. La mancanza di fantasia nei comandi Alleati facilitò il compito dei difensori, i quali potevano ora contare sulle truppe più combattive dell'esercito tedesco plasmate nel fanatismo e nel credo nella causa hitleriana, ma anche da uno spirito di corpo e da un addestramento superiore alla media[170][171]. I tedeschi dislocati a Cassino dal canto loro poterono sfruttare gli insegnamenti di Stalingrado nei combattimenti a distanza ravvicinata e nell'utilizzo di pochi e isolati carri armati, i quali venivano mimetizzati per colpire a distanza ravvicinata i mezzi nemici per poi ritirarsi dalla scena[172]. Quale risultato della battaglia, si ebbe un miglioramento del morale dei paracadutisti tedeschi, i quali si dissero orgogliosi della tenacia dimostrata durante i combattimenti contro un nemico più potente[173], ma Von Senger non si fece illusioni. Unita alla scarsità di mezzi, la completa mancanza dell'arma aerea era ancor più grave per i tedeschi, e il generale tedesco sapeva bene che quando il nemico sarebbe riuscito a tornare alla guerra di movimento, lo spostamento notturno delle riserve non sarebbe stato più sufficiente, i movimenti a quel punto sarebbero dovuti avvenire di giorno e con il dominio totale dei cieli da parte degli Alleati non avrebbe potuto opporre resistenza[174]
Così osservò A.C. Philipps nella sua Storia ufficiale della seconda guerra mondiale redatta per il governo neozelandese: «Nessun generale competente avrebbe scelto nel marzo 1944 la città di Cassino come obiettivo d'attacco sulla scorta di considerazioni puramente militari. L'idea stessa di conquistare d'assalto in pieno inverno la più salda fortezza esistente in Europa con un solo corpo d'armata e senza l'aiuto di operazioni in altri punti, destinate a distrarre l'avversario, gli sarebbe parsa poco conveniente»[175]. A Cassino gli alti comandi Alleati si segnalarono per la mancanza di idee brillanti. Freyberg e gli altri generali del Commonwealth mal sopportavano Clark per la sua presunta noncuranza a riguardo delle perdite, ma la strategia della «guerra di logoramento» fu soprattutto frutto della volontà di Alexander. Dal canto loro i comandanti britannici continuavano a considerare il carro armato l'arma decisiva, ma l'orografia dell'Italia creava solo congestione, caos e ritardi, mentre la linea Gustav dimostrò ancora una volta come l'antico principio, secondo il quale l'attaccante deve godere di un vantaggio numerico minimo di tre a uno, era ancora validissimo su un terreno montagnoso. Freyberg al contrario non raggiunse mai nemmeno la proporzione di due a uno[176]. Solo con la conclusione del terzo assalto Alexander prese in considerazione quello che Juin e Keyes suggerivano da mesi, compiere un'ampia manovra di aggiramento condotta su un terreno accessibile ad almeno due divisioni agili e ben equipaggiate[177].
I civili e le retrovie |
Alla fine di marzo a Cassino iniziò una situazione di stallo, ma ora la linea del fronte dal Garigliano passava attraverso la città distrutta e il Castello era in mano degli Alleati; più in alto il disagevole saliente che dalla Testa di Serpente verso monte Castellone e colle Abate era ancora in possesso delle forze alleate nonostante in alcuni punti i capisaldi nemici si trovassero a poche decine di metri di distanza[178]. Qui a nord di Cassino, durante il periodo di stallo anche le truppe francesi vennero rimpiazzate dagli inglesi della 4ª Divisione dell'8ª Armata e successivamente dai neozelandesi, che così ebbero modo di riposare dopo i duri scontri nella cittadina[179].
Dietro questa linea la popolazione di Cassino e delle immediate retrovie continuava a soffrire e a patire enormi disagi. Oltre alle numerose vittime causate dal fuoco di entrambi gli schieramenti, una delle cause di morte tra i civili di Cassino fu la malaria. Questa malattia si era propagata a causa dell'inondazione provocata dai tedeschi della vallata del Rapido, che con tutti i cadaveri di animali ed esseri umani, si era riempita di zanzare. Se i soldati disponevano di alcune forme di protezione dalla malattia, i civili erano in balia della malattia, che causò diverse morti anche dopo la fine dei combattimenti[180]. Nel frattempo nelle retrovie alleate iniziarono a circolare tra la popolazione le prime accuse secondo cui le truppe nordafricane francesi, in particolare i goumier (le truppe da montagna marocchine irregolari, utilizzate sempre più massicciamente dal corpo d'armata di Juin), indulgessero in stupri e saccheggi in vasta scala (episodi noti con il termine di "marocchinate"). Il generale Juin ricevette numerose proteste sul comportamento dei suoi uomini; successivamente persino il Papa Pio XII intervenne, e nei giorni che seguirono lo sfondamento della Gustav fu impedito alle truppe Alleate «di colore» l'ingresso a Roma[181]. Norman Lewis, in qualità di ufficiale dell'intelligence della 5ª Armata, riferì di numerose brutalità e stupri indiscriminati compiuti da non meglio identificati nordafricani che dopo aver disertato si spinsero in diverse zone delle retrovie del fronte, fino ad Afragola, aggiungendo nella popolazione altro terrore a quello dei combattimenti e delle privazioni[182].
Il racconto di tali violenze è però, soprattutto, il risultato di una mediazione culturale, sociale e politica, in cui si intrecciarono credenze popolari, superstizioni e distorsioni della realtà[183]. Una testimone raccontò di «soldati scuri di pelle che indossavano gonnellini come divisa», e molto spesso nelle memorie delle donne abusate si tese a confondere soldati di diverse nazionalità, come indiani e mongoli, definiti indistintamente tutti «marocchini»[184]. Parallelamente nacque in quei territori un'immagine stereotipata del soldato tedesco, che seppur nei mesi precedenti aveva causato enormi stenti e privazioni alle popolazioni, venne in un certo senso giustificato a posteriori in base all'idea che siano state le esigenze militari alla base della violenza tedesca, concetto che nelle popolazioni rurali era più facilmente comprensibile rispetto alla violenza immotivata degli Alleati[185]. Tali accuse assunsero nei mesi successivi una certa consistenza, assumendo in alcuni casi caratteristiche da doverle analizzare con particolare attenzione e cautela: il corrispondente del Daily Telegraph Leonard Marsland Gander osservò che «I goumiers sono diventati una leggenda, oggetto di aneddoti di cattivo gusto [...] non c'è resoconto dei loro stupri o di altre malefatte che non sia troppo strampalato per essere riferito come vero»[186].
Per le truppe alleate al fronte di Cassino Napoli divenne una sorta di miraggio, che ai soldati anglo-americani aveva molto da offrire nonostante la condizione alimentare della popolazione civile fosse critica. I ristoranti sul lungomare erano aperti, il Teatro di San Carlo rimasto indenne dalle distruzioni offriva spettacoli e si potevano fare gite fino a Capri. Per alcuni andare in licenza a Napoli era come «[...] passare dall'atmosfera di un incidente stradale direttamente dentro un cabaret volgare e rumoroso»[187]. Ma la popolazione continuava a soffrire la fame: il giornalista Alan Moorehead fu scosso dalla povertà, dalla prostituzione e dalla criminalità sfacciata[188], Norman Lewis annotò come «Dai pali del telegrafo alle fiale di penicillina, nulla sembrava troppo grande o troppo piccolo per sfuggire alla cleptomania dei napoletani»[189]. Questo era dovuto soprattutto alla miseria e alla prostrazione portata dalla guerra, alla quale gli Alleati cercarono di porre rimedio, a Napoli e in altri centri urbani, con politiche d'emergenza a favore della popolazione nella misura in cui queste fossero compatibili con le proprie finalità militari[190]. Con questa logica l'amministrazione militare si impegnò a garantire alla popolazione civile l'indispensabile che consentisse la sopravvivenza ed il mantenimento della sicurezza pubblica, concentrandosi quindi sul ripristino del porto, dell'impianto idrico, elettrico e della rete ferroviaria, ossia elementi indispensabili per sostenere lo sforzo bellico[190]. Ma il soddisfacimento delle esigenze alimentari fu deludente, e il mercato nero fiorì, e nell'aprile del 1944, il bollettino dello Psychological Warfare Bureau stimò che il 65% del reddito pro-capite dei napoletani provenisse dai traffici in forniture alleate rubate[191][192]. Per i soldati stanchi e demoralizzati provenienti da Cassino, Napoli rimaneva comunque la meta più ambita, dove le visite ai bordelli divenne l'occupazione principale. L'esercito dovette riempire la città di "stazioni di profilassi", ma ciò non impedì un'epidemia di gonorrea a marzo contenuta con difficoltà[193], così come con difficoltà si dovette fronteggiare anche un'epidemia di Tifo esantematico che investì la città a fine 1943 e si protrasse nei primi mesi del '44. A questa emergenza le autorità Alleate reagirono energicamente con l'impiego su vasta scala del DDT, grazie al quale si poté debellare l'epidemia e tenere al sicuro i soldati sottoponendoli a misure preventive[194].
Se le grandi e piccole città del sud Italia si trovavano in condizioni forse più difficili di quanto lo fossero sotto l'occupazione tedesca, le città italiane nel territorio della Repubblica Sociale Italiana a nord della Gustav di qualche importanza commerciale, oltre a subire l'occupazione e la repressione tedesca, venivano anche regolarmente bombardate dall'aviazione Alleata[195]. In particolare a Roma, la capitale situata nel cuore delle immediate retrovie tedesche, era finito il tempo degli entusiasmi che seguirono gli sbarchi di gennaio, quando per giorni migliaia di romani aspettarono speranzosi il celere arrivo delle truppe anglo-americane. Gli scontri di Anzio e Cassino si erano arenati e la speranza di una imminente liberazione di Roma era svanita[196]. Nel contempo l'occupazione della capitale da parte delle forze tedesche si radicalizzò, soprattutto per quanto riguardava la persecuzione degli ebrei. L'inverno romano fu «lungo e fosco» per i romani non minacciati di sterminio; in città si erano riversati centinaia di migliaia di sfollati, l'elettricità funzionava a singhiozzi e interi quartieri rimanevano al buio per giorni, la tubercolosi e la mortalità infantile crescevano vertiginosamente, mentre i combattimenti lungo la Gustav impedivano l'arrivo di grano dal sud Italia e la sistematica distruzione delle vie di comunicazione da parte dell'aviazione alleata rendeva difficoltoso l'arrivo di generi alimentari verso la capitale[197].
I prezzi quadruplicarono in fretta e i romani iniziarono a patire pesantemente la fame, le razioni disponibili erano sempre più esigue e i tumulti della popolazione vennero in alcuni casi soppressi nel sangue dai tedeschi. In quella fase della guerra la Germania era disperatamente a corto di manodopera e gli uomini iniziarono a venire rastrellati per essere mandati a lavorare nel Reich tedesco mentre in via Tasso, sede della Gestapo, le SS torturavano i prigionieri catturati anche grazie all'azione delle Brigate nere fasciste, soprattutto della Banda Koch, che catturava e interrogava sotto tortura partigiani, dissidenti politici o semplici sospettati[198]. Parallelamente nel marzo 1944 i gruppi della Resistenza avevano cominciato a coordinare la loro attività e, sotto la guida degli Alleati, iniziarono a bersagliare le linee di comunicazione tedesche che portavano ai fronti di Cassino e Anzio[199].
Ufficialmente Roma era "città aperta", ma di fatto i tedeschi si servirono della città come un ganglio vitale per le loro linee di comunicazione per il fronte e vi installarono comandi e distaccamenti oltre che praticarvi una violenta repressione contro la popolazione. A loro volta gli Alleati bombardavano quelli che ritenevano legittimi obiettivi militari, come i depositi delle stazioni, i magazzini dei rifornimenti, ma lo fecero con la precisione che gli strumenti dell'epoca consentivano, suscitando così indignazione tra la popolazione[199]. I romani di sesso maschile passarono in buon numero alla clandestinità quando i rastrellamenti tedeschi si fecero più intensi, e per le retrovie tedesche Roma divenne una vera e propria spina nel fianco. Gli episodi di resistenza all'occupante crebbero di numero e intensità fino a raggiungere il loro culmine il 23 marzo 1944 con un'azione contro un distaccamento di polizia tedesca che marciava verso il Viminale lungo via Rasella, nel cuore della città[200]. A tale azione seguirà la feroce rappresaglia delle Fosse Ardeatine, figlia della rabbia e della paura di un'insurrezione generale della città contro l'occupante da reprimere immediatamente nel sangue, dove furono assassinate 335 persone, molte delle quali prelevate da via Tasso e dal carcere di Regina Coeli con la collaborazione attiva del funzionario di polizia Pietro Caruso[200][201].
L'ostilità dei romani all'occupazione tedesca peraltro rispecchiava quella del resto della popolazione del nord Italia, dove nella primavera del 1944 crebbero gli episodi di resistenza e azioni di sabotaggio lungo le linee tedesche, che impegnarono sempre più uomini della Wehrmacht e della RSI. A maggio i partigiani erano più di 70 mila (in confronto dei 10 mila di inizio anno) che operavano in una trentina di zone del nord. Secondo Harold Alexander il 22 maggio i patrioti «tenevano ormai in scacco» sei divisioni tedesche[200], lo stesso Albert Kesselring dovette ammettere che durante la lotta anti-partigiana in Italia «la quota di perdite da parte tedesca è stata assai più elevata di quella delle bande»[202] e che il grande pericolo che i partigiani rappresentavano per un'eventuale ritirata delle due armate tedesche dalla Gustav dovesse porre la lotta contro le formazioni partigiane «sullo stesso piano della guerra al fronte» con l'impiego di ogni mezzo bellico[203]. A ciò si unì la poderosa offensiva aerea Alleata contro le linee di comunicazione nel Nord Italia (Operazione Strangle), durante la quale vennero effettuate oltre 50 mila missioni sganciando 26 mila tonnellate di bombe. A metà aprile erano stati distrutti ventisette ponti e la linea ferroviaria Firenze-Roma colpita in ventidue punti. Ogni stazione, ponte, officina per riparazione delle locomotive e treno parcheggiato erano obiettivi, e a metà aprile gli Alleati avevano ormai bloccato tutte le linee per Roma, sicché i rifornimenti dovevano proseguire da Firenze a Roma su camion. Ai primi di aprile Kesselring ordinò che i convogli viaggiassero solo di notte, ma l'allungarsi delle ore di luce non consentiva di percorrere la tratta in una sola volta, e in molte occasioni un viaggio di trecento chilometri fra andata e ritorno veniva svolto in una settimana[204]. La guerra aerea complicò il sistema logistico tedesco e intaccò la sua capacità di resistere ad un'offensiva terrestre di lunga durata, ma gli stessi comandi Alleati dovettero constatare come i bombardamenti, da soli, non erano in grado di sconfiggere un esercito ordinato e disciplinato seppur privo di supporto aereo[205].
Tutto ciò si rifletté sotto il profilo dei rifornimenti che i soldati tedeschi potevano avere sul fronte di Cassino. Qui le condizioni per i tedeschi era ben peggiore, per quanto possibile, rispetto a quella degli Alleati, i quali potevano disporre di munizioni di artiglieria in abbondanza per tempestare di proiettili lo stretto passaggio noto come Death Valley, che dalle retrovie tedesche portava all'abbazia. Durante il giorno la continua ricognizione aerea della 5ª Armata apriva il fuoco su chiunque si arrischiasse a percorrere quel sentiero durante il giorno. Il paracadutista Werner Eggert ricorda come «la nostra situazione per quanto riguarda l'acqua potabile era precaria» e di come «[...] molti dei nostri uomini morirono nel corso di quella salita di un'ora i della discesa, che ne richiedeva mezza»[206]. I furieri tedeschi lamentavano mancanza di disinfettanti, sapone, insulina, cerotti, insetticidi e c'era penuria di foraggio, ferri e chiodi per i cavalli. Verso la fine dell'inverno erano iniziati a scarseggiare prima i fusti per il carburante, poi il carburante stesso si era dimezzato, tanto che i meccanici cercarono di ricavarlo dalle vinacce e dall'acetone delle fabbriche di vernici, la velocità degli automezzi fu ridotta da sessanta a quaranta chilometri orari e si sperimentarono addirittura ruote di legno per risparmiare i pneumatici[207].
Riorganizzazione e preparazione |
«Soltanto i numeri possono annientare» |
(Lord Horatio Nelson[208]) |
In aprile Mark Clark fu convocato a Washington dove apprese la data dell'operazione Overlord, e capì che dopo lo sbarco Alleato in Francia, la campagna d'Italia sarebbe passata in secondo piano. Questa prospettiva preoccupava anche Alexander, il quale approfittò della pausa primaverile per recarsi a Londra e convincere il War Office ad opporsi a qualunque tentativo di sbarco nella Francia meridionale o in qualunque altra parte del Mediterraneo occidentale, e a favorire la prosecuzione della campagna d'Italia, non soltanto fino al ricongiungimento dei due fronti e l'occupazione di Roma, ma fino alla conquista dell'intera penisola[209].
In campo strategico però vi erano divergenze di opinioni sul settore italiano, la principale riguardava Londra e Washington, dove la causa immediata di attriti tra gli alti comandi verteva sulla necessità di dare a Maitland Wilson precise direttive sul piano «Anvil». La decisione era stata rimandata al 20 marzo dallo stesso Eisenhower, giorno in cui si sarebbe deciso se attuare uno sbarco nel Mediterraneo con lo scopo di «aiutare Overlord» oppure concentrarsi unicamente sul teatro italiano e spedire i mezzi da sbarco fino ad allora tenuti nel Mediterraneo, nel sud della Gran Bretagna in vista dello sbarco in Normandia. Il 22 marzo Wilson inviò la sua valutazione a Londra, indicando la necessità di concentrare gli sforzi sulla campagna in Italia, dove a maggio era prevista una potente offensiva contro la Gustav, e allo stesso tempo annullare o relegare «Anvil» ad una semplice manovra diversiva[210]. Sia Churchill e gli stati maggiori britannici sia Eisenhower approvarono la valutazione di Wilson, ma lo stato maggiore statunitense dopo aver approvato l'invio del naviglio in Gran Bretagna, suggerì di rinviare «Anvil» al 10 luglio, dando il permesso a procedere all'offensiva primaverile convenzionalmente nominata «operazione Diadem»[211], ma Marshall su un altro punto fu incrollabile: dopo la caduta di Roma la campagna d'Italia sarebbe passata in secondo piano[212].
Alla fine di duri e seccati botta e risposta «Diadem» ricevette un riluttante segnale unilaterale di via libera e «Anvil» fu ridotto, nonostante le obiezioni americane, allo status di un piano di copertura dell'offensiva in Italia. Sul fronte italiano quindi i preparativi per l'offensiva primaverile proseguì con difficoltà dato che, nonostante l'ottimismo, il trasferimento dell'8ª Armata da est a ovest degli Appennini si rivelò molto complicata, mentre la scarsità di navi complicò l'arrivo di nuove divisioni dal Nordafrica e dal Medio Oriente, e lo stato maggiore britannico concluse che il dispiegamento non avrebbe potuto avvenire prima della metà di aprile. Tali fattori condussero Alexander a rinviare il D-Day all'11 maggio 1944[213]. Inoltre, parallelamente all'operazione Strangle gli Alleati programmarono altri tre piani sussidiari per camuffare i preparativi e creare confusioni tra i comandi tedeschi: il primo con l'impiego di unità di sabotaggio dietro le linee nemiche per creare confusione e difficoltà tra le linee tedesche (ad esempio l'Operazione Ginny), il secondo come copertura per non far capire ai tedeschi quante truppe fossero state raggruppate sulla linea di Cassino, tenendo le nuove unità molto indietro fino all'ultimo momento, e il terzo per indurre Kesselring a credere che gli Alleati stessero progettando un altro sbarco oltre le linee nemiche facendo in modo che la Luftwaffe localizzasse unità anfibie in addestramento nella zona di Napoli-Salerno[214].
L'operazione «Diadem» si basava sull'intenzione di Alexander non di prendere Roma, bensì sconfiggere le forze di Von Vietinghoff, determinando l'inevitabile caduta della città. Tale ordine venne espresso nell'Ordine Operativo n. 1 del 5 maggio: «Distruggere l'ala destra della 10ª Armata tedesca; ricacciare ciò che resta di essa e della 14ª Armata a nord di Roma; e incalzare il nemico fino alla linea Pisa-Rimini infliggendogli nel contempo le massime perdite». Compito dell'armata britannica fu quello di operare lo sfondamento su Cassino e avanzare lungo la Statale n. 6 passando a est di Roma per puntare su Ancona e Firenze (e successivamente a seconda della decisione dello Stato Maggiore Combinato dirigersi a sinistra verso la Francia o a destra verso l'Austria, come i britannici speravano), mentre l'armata di Clark avrebbe dovuto appoggiare l'8ª Armata espugnando la gola di Ausonia e avanzare parallelamente ai britannici per operare il ricongiungimento con il VI Corpo d'armata statunitense che da Anzio avrebbe puntato verso Valmontone, tagliando così la ritirata alla 10ª Armata di Von Vietinghoff. La 5ª Armata avrebbe quindi puntato sulla capitale d'Italia per occupare gli aeroporti di Viterbo e i porti di Civitavecchia e Livorno. Lo sfondamento di Anzio sarebbe dovuto avvenire solo su ordine di Alexander, e comunque con 24 ore di preavviso sul giorno D+4. Le forze rimanenti sulla costa adriatica sarebbero state poste sotto il comando diretto dal 15º Gruppo d'armate di Alexander e avrebbero incalzato qualsiasi ritirata tedesca[215].
Durante la fase di preparazione voluta da Alexander i britannici ricevettero un quantitativo imponente di mezzi corazzati, che comprendevano tre divisioni (1ª e 6ª Divisione corazzata britannica e 6ª Divisione sudafricana) e tre brigate corazzate (21ª, 25ª Brigata carri e 7ª Brigata corazzata). Mentre la forza delle fanteria venne aumentata con l'arrivo della 4ª Divisione britannica e dell'8ª Divisione indiana, più brigate di ebrei palestinesi e greci. Per gli americani erano arrivate l'85ª e l'88ª Divisione di fanteria (le prime due grandi unità formate da militari di leva)[216]. A grani linee gli spostamenti più importanti furono i seguenti: il Corpo polacco andò a sostituire i francesi a nord di Cassino; il XIII Corpo d'armata britannico prese in consegna Cassino dal Corpo neozelandese, quando quest'ultimo fu sciolto. La linea di demarcazione della 5ª Armata fu spostata più a sud, sul limite meridionale della valle del Liri; il X Corpo britannico fu rilasciato dalla 5ª Armata e sostituito lungo il Garigliano, dal II Corpo statunitense lungo la costa e dal Corpo di spedizione francese nel settore collinoso di Ausonia; il X Corpo britannico e il I Corpo d'armata canadese di Eedson L. M. Burns furono messi a disposizione dell'8ª Armata. Il settore adriatico venne preso in consegna dal V Corpo d'armata britannico[217].
Al momento dell'attacco dell'11 maggio gli Alleati potevano così schierare nel settore della 5ª Armata: il II Corpo statunitense con l'85ª e l'88ª Divisione che avrebbero attaccato lungo la costa verso Minturno e il Corpo di spedizione francese, cresciuto da due a quattro divisioni con l'apporto della 1ª Divisione motorizzata francese e della 4ª Divisione da montagna marocchina che si andarono ad aggiungere alla 3ª Divisione algerina e alla 2ª Divisione marocchina. Tutte insieme avrebbero attaccato le colline in direzione di Ausonia e quindi avanzare lungo il difficile terreno dei monti Aurunci. Ad Anzio il VI Corpo passò da quattro a sei divisioni, le britanniche 1ª e 5ª, le statunitensi 3ª, 34ª, 45ª e 1ª corazzata, mentre la 36ª Divisione venne schierata come riserva d'armata.
Alla destra di Juin, lungo la linea del Rapido, iniziava lo schieramento dell'8ª Armata di Oliver Leese, che allineava da sinistra a destra: il XIII Corpo del tenente generale Sidney Kirkman con la 4ª Divisione britannica e l'8ª Divisione indiana che avrebbero attaccato in direzione Sant'Angelo (ricalcando il fallito attacco della 36ª Divisione a febbraio), mentre la 78ª Divisione e la 6ª Divisione corazzata britannica furono posizionate nelle retrovie pronte a sfruttare il successo. In appoggio, per proseguire l'assalto, erano previsti il I Corpo d'armata canadese con la 1ª Divisione di fanteria e la 5ª Divisione corazzata. Queste sei divisioni avrebbero sostenuto il peso dell'attacco con l'obiettivo di sfondare la linea Gustav e poi la successiva linea Hitler (o linea Senger, che si snodava attraverso la valle del Liri da Pontecorvo ad Aquino per poi risalire verso Piedimonte per poi ricongiungersi alla Gustava a monte Cairo) prima che potesse essere presidiata e rinforzata, aprendo la strada per Roma. Sulla destra del XIII Corpo, sui monti attorno a Cassino, si trovava il II Corpo d'armata polacco del tenente generale Władysław Anders con la 3ª Divisione di fanteria dei Carpazi e la 5ª Divisione "Kresowa" e l'appoggio di una brigata corazzata, che avrebbero avuto il difficile compito di conquistare l'abbazia e quindi ricongiungersi con il XIII Corpo. Infine sulle montagne a destra dei polacchi, nella zona in cui i francesi avevano combattuto a lungo, vi fu posizionato il X Corpo d'armata britannico con la 2ª Divisione neozelandese, la 24ª Brigata corazzata e il Corpo Italiano di Liberazione[218].
Anche i tedeschi avevano provveduto a riorganizzare le loro posizioni e il settore del XIV Panzerkorps di Von Senger venne ridotto dal mare fino alla statale n. 6, mentre il settore da Cassino fino ai monti appenninici venne presidiato dal LI Corpo da montagna del generale Valentin Feurstein che Kesselring poté trasferire dopo essersi accorto che unità dell'8ª Armata si stavano muovendo verso ovest[219]. Il LI Corpo prese il comando delle posizioni tenute dalla 5ª Divisione da montagna, dalla 44ª Divisione di fanteria e dalla 1ª Divisione paracadutisti, che presidiava ancora Cassino. Von Senger fu quindi escluso, con sua grande irritazione, dalla difesa della cittadina, mentre la 15ª Divisione panzergrenadier fu finalmente sostituita nel settore di Sant'Angelo dopo aver sorvegliato il Rapido per tre mesi e sostituita dal "Gruppo Bode" (parte della 305ª Divisione di fanteria), ma poiché questo gruppo venne ritenuto troppo debole, la 15ª Divisione panzergrenadier dovette lasciare sul posto un distaccamento. La 71ª Divisione, che aveva dato buone prove nei combattimenti a Cassino[220] di gennaio e febbraio venne posta a presidio del settore superiore del Garigliano, in faccia al Corpo di spedizione di Juin, e la 94ª Divisione continuò a presidiarne il basso corso davanti alle posizioni del II Corpo di Keyes. Kesselring affidò il settore adriatico al generale Friedrich-Wilhelm Hauck, comandante della 305ª Divisione, che oltre a quanto restava della 305ª, disponeva delle divisioni 334ª Divisione di fanteria e 114ª Divisione Jäger – truppe di second'ordine – con le quali dovette controllare circa 95 chilometri di fronte[221].
Il feldmaresciallo Kesselring stimò che Alexander non avrebbe nuovamente provato uno sfondamento frontale contro la Gustav, ma con la massa di unità navali che possedevano gli Alleati credette molto più plausibile un nuovo tentativo di sbarco anfibio a nord di Roma. Per questo dispose le sue divisioni mobili di conseguenza: la «Hermann Göring» venne schierata tra Livorno e Genova, la 29ª Panzergrenadier fu spostata a Civitavecchia, la 26ª Divisione corazzata si schierò dietro la testa di sbarco di Anzio, sui Colli Albani, mentre la 90ª Panzergrenadier fu divisa in due e una metà venne schierata alla foce del Tevere, e l'altra metà lungo la statale n. 6 nei pressi di Valmontone. Solo parte della 15ª Divisione Panzergrenadier rimase dietro lo schieramento delle divisioni 94ª e 71ª, sulla costa di Terracina, sempre con l'idea di contrastare un eventuale sbarco[222]. Secondo lo storico Jackson, osservando queste disposizioni si può ritenere che il piano di copertura di Alexander funzionò a dovere, sia a nel nascondere le forze in campo sia nel creare caos nei tempi. La Luftwaffe era in netta difficoltà, e a dimostrazione che i tedeschi non avevano una visione chiara delle intenzioni tattiche dell'avversario, alla fine di aprile Hitler indisse una riunione a Obersalzberg, dove diversi ufficiali superiori tra cui Von Vietinghoff, Von Senger e Baade, che furono quindi distolti dal fronte italiano, e quando l'operazione Diadem scattò, diversi di essi erano ancora in licenza. Alexander dal canto suo aveva finalmente raggiunto una superiorità di uomini nella proporzione di tre a uno nel settore di Cassino e di due a uno nel settore del Garigliano, mentre le divisioni mobili tedesche erano sparpagliate e lontane[223][224]. I tedeschi poterono schierare 57 battaglioni contro i 108 Alleati e un decimo dei velivoli di quelli a disposizione degli attaccanti, mentre lungo il fronte di trenta chilometri gli Alleati ammassarono milleseicento cannoni, duemila carri armati e tremila aerei[225].
La quarta battaglia |
«Sono stato a Stalingrado e non avrei mai pensato di poter attraversare qualcosa di peggio» |
(Un soldato tedesco fatto prigioniero durante la quarta battaglia di Cassino[226]) |
L'attacco generale |
Per tutta la sera dell'11 maggio, l'artiglieria alleata continuò con il suo solito bombardamento delle postazioni tedesche per non far sospettare alcunché. Verso le ore 10:00 il cannoneggiamento si diradò e cessò anche il tiro dei tedeschi, che nella notte avevano programmato un avvicendamento di truppe e non volevano provocare i cannoni alleati. Poi alle 11:00 il silenzio fu sconquassato dal ruggito dei milleseicento cannoni che aprirono il fuoco contemporaneamente, e per quaranta minuti i cannoni martellarono le postazioni tedesche con un fuoco di sbarramento imponente[227].
Sulla costa il II Corpo d'armata di Keyes fu risolutamente contrastato dalla 94ª Divisione che resistette agli attacchi delle nuove divisioni americane molto meglio di quanto Kesselring e Von Senger si aspettassero. Nella valle del Liri, il XIII Corpo dovette sostenere duri combattimenti per ogni metro di terreno conquistato: l'8 Divisione indiana a sud di Sant'Angelo dove costituì una precaria testa di ponte oltre il Rapido, ma nella notte, grazie al lavoro dei genieri che misero in opera due ponti per carri da trenta tonnellate prima dell'alba, essa riuscì ad ampliare e consolidare il suo punto d'appoggio nonostante i contrattacchi del Gruppo Bode[228]. A nord della cittadina, più vicino alle pendici di Montecassino, la 4ª Divisione britannica non ebbe altrettanta fortuna. Essa costituì due piccole teste di ponte, ma dietro non avevano ponti perché i punti dove costruirli erano strettamente sorvegliati dalle postazioni tedesche nel monastero, e i genieri venivano tenuti lontani dal Rapido grazie al tiro dell'artiglieria tedesca. Occorse tutta la seconda notte per poter costruire un ponte nel settore della 4ª Divisione, ma anche allora la divisione venne duramente contrastata da distaccamenti dei paracadutisti attestati a Cassino e da unità della 44ª e della 5ª Divisione fatte affluire da nord. Alla sera del 13 maggio il XIII Corpo aveva stabilito due teste di ponte oltre il Rapido e le due divisioni si erano ricongiunte dietro Sant'Angelo, ma erano ben lontane dallo sfondamento: il campo di battaglia era ancora dominato dal monastero di Montecassino, e gli artiglieri tedeschi erano ancora in grado di seminare distruzione nella valle sottostante[229].
Il corpo d'armata che soffrì di più durante i primi giorni fu sicuramente il Corpo d'armata polacco di Anders. Il generale decise che per schiacciare i difensori avrebbe dovuto compiere un attacco simultaneo contro tutti i capisaldi tedeschi, per evitare che questi potessero appoggiarsi reciprocamente come era accaduto negli attacchi dei mesi precedenti[229]. Anders decise di non attaccare il monastero stesso ma, irrompendo oltre i crinali situati alle sue spalle e avanzando su un ampio fronte con le sue divisioni, avrebbe tagliato la sottostante statale n. 6, stringendo il presidio di Cassino e il monastero fra sé e la 4ª Divisione attestata nella valle del Liri. A differenza degli indiani che li avevano preceduti, i polacchi ebbero tutto il tempo di rifornire le loro posizioni, e le strade di accesso al massiccio di Cassino furono migliorate consentendo ad alcuni carri di raggiungere posizioni d'appoggio. Non poterono però pattugliare tutto il settore per non rivelare interamente la loro forza, e sfortunatamente per loro i tedeschi nella notte stavano compiendo una sostituzione dei reparti, per cui quando l'attacco dei polacchi partì, i tedeschi nel settore erano numericamente superiori alle aspettative. L'attacco dei polacchi iniziò bene, ma le mitragliatrici dei paracadutisti non tardarono a far sentire il loro peso come avevano fatto nei precedenti attacchi degli statunitensi e degli indiani. Le postazioni tedesche espugnate furono molte, ma quando spuntò il giorno, i polacchi si trovarono esposti su pendii esposti impossibilitati a proseguire o indietreggiare, a ricevere rinforzi o rifornimenti e a evitare il fuoco dei tedeschi. Nel corso del pomeriggio il generale Anders fu costretto a ordinare la ritirata sui punti di partenza, i polacchi avevano perso quasi metà degli effettivi partiti all'attacco[230] senza aver conseguito alcun risultato apprezzabile, se non quello di aver impegnato parte delle forze di Heidrich che altrimenti avrebbero ostacolato molto più duramente la 4ª Divisione[231]. Due giovani ufficiali polacchi catturati furono crocifissi dai tedeschi con filo spinato e chiodi arrugginiti. Da quel momento non ci fu più misericordia da nessuna delle due parti[230].
L'unico successo apprezzabile fu raggiunto nel settore francese, dove le truppe coloniali adatte e a loro agio sul terreno montagnoso, crearono molti problemi ai tedeschi, che dal canto loro non si aspettavano un attacco importante contro la 71ª Divisione, che venne colta di sorpresa. Operando con trasporti someggiati e muovendosi su terreno ritenuto invalicabile, il Corpo di spedizione di Juin operò il 13 maggio lo sfondamento desiderato espugnando monte Maio, il bastione meridionale della linea Gustav nella valle del Liri[232]. Il comando tedesco non era riuscito ad avere informazioni sicure sulla composizione della 5ª Armata e del Corpo di spedizione francese, e le due divisioni sull'ala sinistra del XIV Corpo, seppur valorose, si rivelarono troppo deboli di fronte a forze avversarie preponderanti, e ben presto si rese evidente che anche le posizioni occupate erano meno resistenti di quanto i tedeschi pensavano[233]. La 90ª Divisione panzergrenadier cominciò a muoversi lungo la statale n. 6 solo il 13 maggio, ma nei giorni 14 e 15 nel settore dell'armata di Clark si registrarono giorni drammatici: il generale Juin irruppe nella valle dell'Ausente e occupò Ausonia mentre il II Corpo di Keyes avanzò nella sua scia, e ricacciò verso est, lungo la strada costiera che portava a Formia e Gaeta, la 94ª Divisione, il cui fianco sinistro era rimasto scoperto a causa dell'avanzata francese. I resti della 71ª Divisione tedesca, anch'essi in piena ritirata, si stavano ritirando verso Esperia. Le due divisioni tedesche nel settore meridionale furono così divise dalla massa priva di sentieri dei monti Aurunci, e Juin colse l'occasione al volo inviando circa dodicimila Goumiers nel varco apertosi attraverso le montagne per tagliare ai tedeschi la strada laterale che portava da Pico a Formia dietro la linea Hitler. Soltanto gli sforzi delle unità sparpagliate della 15ª Panzergrenadier evitarono al XIV Corpo dell'assente Von Senger, la completa disfatta[234].
La conquista di Montecassino |
Nella valle del Liri la debacle del XIV Corpo non ebbe grossi effetti sulla combattività del LI Corpo tedesco, deciso più che mai a non cedere Cassino. L'8ª Divisione indiana, aiutata dal successo francese, riuscì a sfruttare la situazione e avanzare dalla testa di ponte oltre il Rapido, ma la 4ª Divisione britannica stava ancora trovando grosse difficoltà e Kirkman ordinò alla 78ª Divisione di passare lungo la direttrice della 4ª Divisione e irrompere verso la statale n. 6 in concomitanza con un rinnovato attacco portato dai polacchi dietro Montecassino previsto per il 15 maggio[235].
Ma le difficoltà che incontrò la 78ª Divisione ad attraversare i ponti ancora sotto il tiro dell'artiglieria tedesca indussero i comandi britannici a rinviare l'attacco al 18 maggio. Nel frattempo Oliver Leese ordinò al Corpo canadese di spostarsi in avanti, e il 15 maggio iniziarono anch'essi ad attraversare il Rapido nel settore dell'8ª Divisione. Il 16 maggio la 78ª Divisione, appoggiata dalla brigata corazzata della 6ª Divisione corazzata britannica, iniziò un metodico attacco avvolgente per tagliare la strada statale a ovest di Cassino, mentre la 4ª Divisione collaborò con un'azione simile ma in un arco più interno a quello della 78ª per tagliare la strada più vicino a Cassino. Poiché entrambi gli attacchi fecero costanti progressi, Oliver Leese autorizzò Anders a iniziare il secondo attacco contro Montecassino nella mattinata del 17 maggio[235].
Nei giorni fra i due attacchi, i polacchi fecero di tutto per colmare i vuoti nei ranghi, e mentre tale riorganizzazione era in atto essi non concessero alcuna tregua ai nemici. I paracadutisti tedeschi vennero inchiodati sul terreno da un costanti attacchi di artiglieria, mortai e aerei, mentre estese e aggressive azioni di pattuglia consentirono ai polacchi di conoscere meglio il terreno e la dislocazione delle postazioni nemiche. La battaglia intrapresa il 17 fu comunque cruenta: gli uomini di Heidrich reagirono in modo determinato, ma la forza del numero iniziò ad avere il suo peso. I polacchi riuscirono a conquistare l'ambita Quota 593 la notte prima dell'attacco grazie agli enormi sforzi delle unità della divisione dei Carpazi, e tale successo consentì loro di corrodere le postazioni tedesche che avevano offerto una tenace resistenza alle tante unità che prima di loro le avevano sfidate[236]. I polacchi, affardellati da un carico supplementare di munizioni, si aprirono il cammino lungo i pendii di Quota 593 e impegnarono i difensori con un fitto attacco di bombe a mano e fuoco di armi leggere. Ben presto i soldati si trovarono separati nei rispettivi plotoni, ma ciò non impedì loro di continuare a combattere avanzando verso il monastero. Le forze tedesche si assottigliarono notevolmente a causa delle perdite, ma anche i polacchi verso tarda mattinata iniziarono a soffrire mancanza di uomini, soprattutto a causa del fuoco prodotto dai mortai sfuggiti all'attenzione dei cacciabombardieri. Dietro le linee polacche vennero formati nuovi reparti in tutta fretta, raccogliendo autisti, cuochi e altri non combattenti, per essere mandati avanti. In serata questi ripristinarono il contatto con le linee avanzate e gli uomini ripresero a procedere verso la vetta, ma a quel punto entrambi gli schieramenti erano ormai esausti[237]. Nel frattempo la minaccia portata dalle divisioni 4ª e 78ª significava che sul massiccio di Cassino i paracadutisti a breve non avrebbero avuto abbastanza uomini per continuare a resistere, e Heidrich per non essere sopraffatto ordinò alle sue truppe di ripiegare durante la notte[236]. Il mattino successivo solo alcune retroguardie occupavano ancora alcuni capisaldi a ovest del monastero per impedire alle truppe di Kirkman di chiudere la sacca attorno a Cassino, mentre una pattuglia del 12º Lancieri Podolski si arrampicò verso il monastero trovando solo alcuni tedeschi feriti o morenti abbandonati dai compagni. Dopodiché penetrarono in quel che restava del monastero issando sulle sue rovine la bandiera polacca, e un trombettiere suonò le note dell'Hejnał, una melodia militare polacca medievale, suscitando una grande commozione tra i soldati[238]. La battaglia per Montecassino si era finalmente conclusa[239]. I sei mesi di combattimenti avevano ridotto il campo di battaglia in un tetro mucchio di macerie, e gli italiani sopravvissuti nei rifugi e nelle caverne sulle montagne, avrebbero impiegato anni a ricostruire una città ridotta ormai ad «un'orrenda fossa comune» in cui imperversavano malaria e altre malattie e dove restavano da disinnescare circa mezzo milione di mine[240]
Lo sfondamento della Gustav |
Nel frattempo, l'attacco di Juin aveva compiuto rapidi progressi. Quando Cassino fu espugnata la sua 1ª Divisione motorizzata stava avanzando lungo la sponda meridionale del Liri e aveva raggiunto la linea Hitler a sud di Pontecorvo. La 3ª Divisione algerina aveva occupato Sant'Oliva sull'estremità meridionale della linea, e i contingenti di goumiers e la 4ª Divisione marocchina avevano superato la prima metà dei monti Aurunci, dominando quindi la strada laterale Pico-Formia. Anche il II Corpo d'armata, dopo le incertezze iniziali, stava muovendosi con altrettanta velocità: Formia fu conquistata dall'85ª Divisione il 17 maggio e Gaeta due giorni dopo, mentre l'88ª Divisione, combattendo fra i monti, stava minacciando Itri, sulla strada Pico-Formia, che occupò il 19[241].
La battaglia per la linea Hitler fu quindi vinta prima di essere iniziata, ma non nel settore dove Alexander si aspettava. L'intero settore meridionale era stato espugnato e prima che i tedeschi potessero adeguatamente presidiarlo, e prima che il Corpo d'armata canadese, cui era stato affidato il compito di espugnare la linea, potesse avvistarla. Kesselring d'altro canto non si rese conto del disastro che si era abbattuto sul XIV Corpo corazzato fino al 17 maggio. Quasi contemporaneamente le intercettazioni radio tedesche localizzarono i canadesi, che si riteneva si stessero imbarcando nel porto di Napoli per lanciare un attacco anfibio a nord di Roma, nella valle del Liri. Kesselring si decise quindi a fare tutto il possibile per bloccare l'avanzata francese intorno all'estremità meridionale della linea Hitler, e salvare quindi la 10ª Armata, ordinando alla 26ª Divisione panzer di abbandonare la sua posizione di blocco sui colli Albani e dirigersi verso la zona di Pico-Pontecorvo alla massima velocità[242].
Ordinò altresì alle divisioni 305ª e 334ª di accorrere dalla costa adriatica, sostituendole con la 237ª Divisione fatta affluire dall'Istria. La 305 si sarebbe dovuta congiungere alla 26ª Panzer per costringere i francesi a fermarsi, ma quando i combattimenti sulla linea Hitler iniziarono il 18 maggio, tre delle cinque divisioni mobili della Wehrmacht in Italia era state impegnate. Data la riluttanza di Kesselring di credere che l'attacco contro la Gustav fosse qualcosa di più di un'operazione diversiva, egli non aveva fatto nulla per approntare piani per un contrattacco coordinato, e tali divisioni entrarono i battaglia in modo scoordinato e furono divorate nel tentativo di tamponare gli spazi creati dal cedimento delle divisioni 71ª e 94ª. Poche volte le forze tedesche si erano fatte ingannare così totalmente e cogliere tanto sbilanciate da un piano di mascheramento[243].
Non appena Cassino cadde, i polacchi attaccarono lungo gli speroni meridionali di monte Cairo per aggirare e, se possibile, espugnare il cardine settentrionale della linea Hitler: il paese fortificato di Piedimonte. Parallelamente Alexander ordinò a Juin di continuare a premere verso Pico, per aggirare la linea da sud, mentre al centro il XIII Corpo si diresse su Aquino e il Corpo canadese su Pontecorvo. Mentre al centro le forze britanniche si preparavano ad attaccare, i francesi serrarono il colpo su Pico, e nonostante l'arrivo dei rinforzi tedeschi, il 22 maggio cadde Pico, ma l'opposizione della 26ª Divisione panzer e della 305ª Divisione di fanteria costrinsero Juin ad abbandonare il tentativo di aggiramento e dirigersi su Ceprano. Sull'altro lato i polacchi il 25 entrarono a Piedimonte, mentre i canadesi, partiti all'attacco il 23 maggio, in due giorni sfondarono al linea Hitler aprendo finalmente la strada all'8ª Armata[244].
Ironicamente solo a quel punto i comandi Alleati si resero conto che la valle del Liri non era affatto il facile accesso che si credeva: l'8ª Armata faticava a far avanzare i suoi mezzi corazzati a causa della strozzatura dei ponti sul Rapido, e perché i tedeschi che continuavano ad occupare le alture lungo la valle, colpivano ripetutamente la statale n. 6, in pratica l'unica strada percorribile. Si formarono enormi ingorghi; una divisione corazzata comprendeva settecento carri armati medi, trecento mezzi blindati, cinquanta cannoni semoventi, duemila semicingolati e diecimila tra camion e trattori pesanti, e le divisioni che dovevano passare nel ristretto spazio della valle del Liri erano tre[245]. In questo contesto i cannoni anticarro avversari, ben piazzati e mimetizzati, causarono grosse perdite agli avversari[246]. Nelle montagne di fronte al X Corpo inoltre, i tedeschi iniziarono il loro programma di ritirata combattuta tra il 24 e il 25 maggio, e il 26 sia gli italiani che i neozelandesi ripresero l'avanzata lungo l'asse Atina-Sora-Avezzano. Questa avanzata avvenne però molto lentamente a causa del terreno, ma anche perché davanti a loro vie erano numerosi campi minati, estese demolizioni e azioni di retroguardia[247].
Kesselring già alcuni giorni prima dell'attacco canadese perse interesse per la linea Hitler, concentrando le sue preoccupazioni sull'ala destra del suo schieramento, ma prima la 15ª e poi la 29ª Panzergrenadier non poterono offrire una resistenza adeguata all'avanzata degli Alleati. Quest'ultima soffrì inoltre della decisione di Von Mackensen di non eseguire l'ordine di Kesselring, il quale il 19 maggio diede istruzioni affinché la 29ª Divisione fosse spostata dalla testa di ponte di Anzio. Von Mackensen, convinto invece di un imminente attacco nel settore di Anzio, tardò ad inviare la divisione, e tale disaccordo costrinse i granatieri tedeschi ad entrare in combattimento quando gli americani erano già alla gola di Terracina, che non poterono essere fermati e nella notte tra il 23 e il 24 entrarono a Terracina, mentre la 29ª Divisione assieme ai resti della 71ª e della 94ª Divisione si ritirarono sui monti Lepini verso la statale n. 6 per evitare di essere tagliati fuori[248]. Quello stesso 23 maggio ad Anzio venne intrapresa l'azione di rottura dell'accerchiamento, e l'azione del VI Corpo statunitense ad Anzio ebbe successo, ma il 25 maggio il generale Mark Clark, con una mossa controversa, deviò le sue truppe rinunciando all'accerchiamento della 10 Armata tedesca, per far si che i suoi uomini entrassero a Roma per primi, e soprattutto prima del previsto sbarco in Normandia che soltanto lui sapeva fissato per il 5 giugno[249][250].
L'avanzata finale e la conquista di Roma |
Lo sfondamento Alleato a Cassino e Anzio rischiò tagliare la via di ripiegamento della 10ª Armata presso Valmontone, e il 26 maggio von Senger propose a von Vietinghoff di togliere rapidamente dal fronte le divisioni mobili per impegnarle a protezione del profondo fianco destro dove le truppe del II Corpo americano si erano congiunte con quelle del VI Corpo ad Anzio. Von Senger ricevette libertà d'azione solo il 3 giugno, quando ormai le truppe di Clark si apprestavano ad entrare a Roma, ma riuscì ugualmente a far ripiegare i suoi uomini lungo la rotabile per Subiaco, mantenendo il contatto con il LI Corpo e allo stesso tempo difendendosi dagli Alleati[251].
Quello stesso 3 giugno Adolf Hitler autorizzò Kesselring ad abbandonare la capitale, ma era già in atto un disimpegno generale con poche interferenze da parte della popolazione. Secondo lo storico Basil Liddell Hart, fu proprio l'ordine tardivo di ripiegamento concesso da Hitler a pregiudicare la strategia difensiva tedesca. Se fosse stato accordato a Von Vietinghoff il permesso di ripiegare, che questi richiese quando ormai era chiaro che i francesi stavano sfondando nei giorni che coincisero con l'attacco ad Anzio, avrebbe potuto ritirarsi ordinatamente su Valmontone, ove si sarebbe ricongiunto prima alla 14ª Armata e in tal modo tenere ancora una linea difensiva a sud di Roma. Invece della ritirata ordinata, con lo sfondamento ci fu un collasso delle difese, che si propagò sempre di più, e impose l'abbandono della capitale e il ritiro fino alla linea Gotica[252]. Durante i giorni precedenti l'ordine di abbandono della capitale fu intrapresa una sorta di gara tra il II Corpo di Keyes sulla statale n. 6 e il VI Corpo di Truscott sulla statale n. 7 per arrivare primi in città. Ad un incrocio di periferia ci fu il ricongiungimento tra le due forze, una colonna di corazzati della 1ª Divisione si incontrò con un reggimento dell'85ª Divisione di fanteria proveniente da sud. I carri della 1ª Divisione sono ritenuti in genere, i primi che arrivarono in centro. Dopo essersi fermati sotto il cartello azzurro con la scritta «Roma», aspettarono l'arrivo di Mark Clark, che prima si fece fotografare e subito dopo fece togliere il cartello per prenderlo come trofeo[253]. Clark era convinto di aver battuto di un giorno la data fissata per l'operazione Overlord, in realtà il maltempo, che aveva fatto così tanto sentire la sua influenza durante i mesi precedenti in Italia, costrinse Dwight Eisenhower a ritardare di un giorno. Overlord ebbe inizio il 6 giugno, e da quel giorno la campagna d'Italia passò in secondo piano[254].
Mark Clark aveva ottenuto con la sua 5ª Armata la vittoria tanto attesa e un esaltante trionfo, offuscato solo dal suo desiderio di impedire a chiunque di condividere con lui tale onore. In quel frangente l'anglofobia di Clark aveva assunto toni esagerati, ed egli si era persuaso che c'era il rischio di vedersi soffiare quell'ambito trofeo insieme alla pubblicità che ne sarebbe derivata e al "credito" che ne avrebbero ricavato i suoi soldati[255].
Analisi e critiche |
Il giudizio degli storici sulla campagna d'Italia e in generale sulle battaglie di Cassino non è stato clemente. Lo storico John Ellis, nel suo resoconto particolareggiato dei combattimenti di Cassino l'ha definita «una vittoria vuota»; il generale John Harding, capo di stato maggiore di Alexander, intervistato nel dopoguerra difese il suo superiore dichiarando: «C'era chi riteneva che la campagna non avrebbe mai dovuto cominciare. C'erano altri che pensavano che ad un certo punto avrebbe dovuto essere abbreviata. Ad altri premeva riavere varie delle proprie risorse sotto forma di truppe, materiali ecc. Questo provocò incertezza, malintesi, il ritiro delle risorse e indecisione. Tutte queste cose crearono una situazione che influì in maniera molto negativa sui problemi e sulle difficoltà che incontrava il generale Alexander nel condurre la campagna»[256].
Secondo lo storico ed ex generale dell'esercito britannico William G.F. Jackson, l'incertezza e la drammatica situazione strategica degli Alleati in Italia fu in parte una conseguenza di quella che lo storico definì «la tirrania di Overlord»[257]. Con l'avvicinarsi della prevista invasione della Francia settentrionale, diventò sempre più impellente risolvere il conflitto fra la determinazione statunitense di mantenere «l'integrità di Overlord» e il desiderio britannico «di tenere il Mediterraneo in fiamme». I punti in discussione durante le conferenze interalleate di fine 1943 riguardavano soprattutto la data dell'operazione oltre la Manica e la direzione che le operazioni nel Mediterraneo avrebbero dovuto prendere dopo che la linea Pisa-Rimini fosse stata raggiunta: i britannici preferivano lasciare la data di Overlord più elastica possibile in modo tale da continuare a logorare le forze tedesche nei Balcani, mentre gli statunitensi preferivano stabilire una data fissa per impedire che il teatro Mediterraneo avesse infine la meglio. Essi ritenevano altresì che le forze lasciate nel Mediterraneo dovessero concentrarsi su una sola linea d'attacco principale, e non disperdersi in una serie di operazioni minori[258]. Fu Iosif Stalin ad appoggiare le argomentazioni americane di dare una data e la priorità massima a Overlord, mentre Churchill fu costretto a lasciare in disparte le sue mire nel Mediterraneo, ottenendo il mantenimento fino al 15 gennaio 1944 di un certo numero di Landing Ship Tank destinati ad un eventuale sbarco nel teatro Mediterraneo e la nomina del generale britannico Maitland Wilson sull'intera zona del Mediterraneo e del Medio Oriente[259]. Purtroppo però le previsioni Alleate relative alla presa di Roma per l'inizio gennaio furono smentite dalla dura realtà del teatro operativo italiano e dalle inesatte valutazioni del settore Mediterraneo: il primo colpo a Cassino e lo sbarco ad Anzio furono infatti frustrate dalle riserve mobili di Kesselring[260], e i ruoli di Anzio e Cassino si invertirono. Da parte alleata Cassino divenne il soccorritore di Anzio, invece di essere Anzio a contribuire a creare le condizioni per uno sfondamento a Cassino. Ma parallelamente anche da parte tedesca, la sconfitta di Anzio al posto di una vittoria decisiva, minò il loro morale in modo tale che la vittoria difensiva di Cassino non riuscì a controbilanciare. Nessuno dei due contendenti riuscì a sopraffare l'altro: i tedeschi rimasero aggrappati alla Gustav nonostante la minaccia portata nelle retrovie, e gli Alleati neutralizzarono il grosso concentramento di forze ad Anzio, dando inizio ad un periodo di guerra di logoramento che impose l'invio in Italia di sempre maggiori risorse per raggiungere obiettivi definiti da Jackson, «illusori», che peraltro ritardavano ad arrivare[261]. Gli alleati furono attratti dal miraggio politico della conquista di Roma e dal criterio militare di continuare a premere sui tedeschi, mentre questi ultimi furono attirati dalla sfuggevole occasione politica di una vittoria e dalla necessità militare di difendere la più breve e forte linea difensiva in Italia. Inconsapevolmente i tedeschi in questo modo aiutarono Alexander a conseguire il primario obiettivo di sottrarre le loro truppe in previsione di «Overlord», mentre gli Alleati distrussero le loro possibilità di approntare per tempo «Anvil» in concomitanza con «Overlord»[262]. Ma lo sbarco in Normandia, come da accordi e nonostante i fallimenti in Italia, dovette avere la precedenza, e sebbene sia stato affermato che i combattimenti in Italia avevano distolto truppe scelte tedesche e i più brillanti generali del Reich, è difficile giustificare lo «spaventoso prezzo di questo diversivo»[263].
Anche lo storico britannico Basil Liddell Hart espresse scetticismo sulla strategia Alleata: nel suo Storia di una sconfitta, pur ammettendo che sia Anzio che Cassino tolsero a Hitler la possibilità di trasferire cinque delle sue migliori divisioni mobili dall'Italia alla Francia, scrive come lo scacco subito dagli Alleati ad Anzio e nella prima battaglia di Cassino oltre a determinare un lungo ritardo nella loro avanzata mise gli Alleati di fronte alla necessità di dover utilizzare nel teatro secondario dell'Italia un numero di risorse inaspettato, con irritazione di Washington. Solo dopo altri due infruttuosi e sanguinosi attacchi gli Alleati capirono la necessità di ammassare mezzi e uomini per un'offensiva in grande stile da lanciare in primavera, ma questo ritardo ebbe la conseguenza di sottrarre agli Alleati ingenti mezzi che avrebbero potuto impiegare in Normandia. E sempre secondo Liddell Hart, il complesso di questi mezzi fu molto superiore alle risorse impegnate dai tedeschi nella campagna d'Italia[252]. Concetto confermato dallo studioso Correlli Barnett che definì la strategia Alleata in Italia «un vicolo cieco, un'azione secondaria di una guerra vinta in battaglie di grandi masse sui fronti orientale e occidentale», evidenziando come durante lo sfondamento di Cassino in Italia c'erano 22 divisioni tedesche, mentre nello stesso momento 157 combattevano ad est e 60 erano schierate a ovest[264].
Interpretazioni che vengono in parte confermate dallo storico John Keegan, il quale spiega come il grave ritardo acquisito dagli Alleati durante i combattimenti sulla Gustav, ebbe effetti deleteri sul prosieguo della campagna d'Italia: le armate Alleate oltre a trovarsi a dover combattere in un teatro di secondo piano rispetto alla Francia, dovettero subire il prelievo di ben sette divisioni (le quattro francesi e la 3ª, 36ª e 45ª americane, sostituite poi da unità di brasiliani, belgi, ciprioti, ebrei palestinesi, afro-americani e nisei) destinate all'operazione «Anvil» (poi rinominata «Dragoon»)[265][266], operazione che secondo Eisenhower sarebbe stata più utile di uno sfondamento della Gotica e di una penetrazione in Austria[267]. Clark non poté così effettuare da vicino l'inseguimento delle forze tedesche, e Kesselring nei primi giorni di agosto riuscì a schierarsi al sicuro sulla linea Gotica. A livello strategico Churchill e Alexander dovettero deporre le ultime speranze di "svoltare a destra" una volta raggiunta la pianura Padana per puntare su Vienna e anticipare i sovietici[240]. Il terreno dell'Italia creò enormi difficoltà alle forze Alleate, «nessuna campagna in occidente costò più vittime di quella dell'Italia alle truppe di fanteria [...] nel corso di brevi e violentissimi scontri attorno ai capisaldi nella linea Gustav, nel perimetro di Anzio e sulla linea Gotica» scrisse Keegan nel suo Uomini e battaglie della seconda guerra mondiale, confermando come queste perdite furono difficili da sopportare e spiegare per gli Alleati, dato che si trattava di un fronte secondario. I soldati Alleati in Italia, dopo lo sbarco in Normandia, non provarono mai la sensazione di combattere una campagna decisiva: nel migliore dei casi pensavano di continuare a minacciare «il ventre molle dell'Europa» come lo definì Churchill, e nel peggiore stavano semplicemente tenendo impegnate alcune divisioni tedesche. Non fu così per i tedeschi, i quali sapevano di combattere per tenere a distanza il nemico dai confini meridionali del Reich[265]. Secondo Keegan, i duri combattimenti a Cassino e poi sulla Gotica furono affrontati con grande coraggio[265][252] ma non con la stessa «visione di vittoria» che contraddistinse coloro che sbarcarono in Francia. La guerra in Italia fu percepita dagli anglo-americani come «una visione vecchio stile di una manovra diversiva sul fianco marittimo di un nemico continentale», una specie di versione moderna della «guerra peninsulare» combattuta da Napoleone nella penisola iberica nel 1808[265].
L'accanita resistenza opposta dai tedeschi - scrisse il generale tedesco Fridolin von Senger und Etterlin - permise agli Alleati di avanzare nel terreno antistante Cassino per soli 15 chilometri nei primi tre mesi, e di venire ricacciati nelle posizioni di partenza durante i successivi tentativi di sfondamento a Cassino. Questo fronte aveva attirato l'opinione pubblica di tutto il mondo su questo teatro, tanto più che era l'unico teatro di guerra aperto dagli Alleati in Europa, ma furono i tedeschi a sfruttare meglio questa situazione[268]. La propaganda nazista sfruttò i successi difensivi per alimentare un «inopportuno ottimismo della popolazione», mentre i comandi Alleati furono indotti a trarre conclusioni sbagliate dalle difficoltà incontrate a Cassino[268], viziate anche da considerazioni politiche[269]. Secondo Von Senger gli Alleati non seppero sfruttare la loro enorme superiorità logistico-militare, e nel tentativo di sorprendere i tedeschi si impegnarono attacchi di piccola portata, sempre nei medesimi punti impiegando malamente l'arma aerea, come accadde sia a Montecassino che a Cassino. Ma l'aver scelto Cassino come unica via per aprirsi la strada verso Roma per permettere alle forze corazzate di penetrare nella valle del Liri, fece sì che gli Alleati si auto-preclusero la possibilità di poter attuare qualsiasi sorpresa operativa[175]. I bombardieri vennero utilizzati per assolvere un compito a loro estraneo, quello di dare appoggio tattico alla fanteria e spianargli la strada, ma al contrario i mezzi corazzati si trovarono impossibilitati a percorrere le strade di Cassino sconvolte dai bombardamenti, mentre l'artiglieria ebbe notevoli difficoltà ad accompagnare la fanteria che procedeva lentamente e molti soldati Alleati furono vittima del fuoco amico[270]. Nonostante ciò la resistenza dei tedeschi era segnata dalle gravi manchevolezze esistenti nella condotta di guerra dell'Asse. La scarsità di mezzi e la mancanza di aerei da ricognizione fecero subito sentire il loro peso ai difensori tedeschi, e - sempre secondo Von Senger - solo la lentezza e la rigidezza dei piani Alleati permise ai tedeschi di resistere e far affluire la notte le riserve che occorrevano per i contrattacchi[271]. "Rigidezza" ravvisata criticamente anche dal feldmaresciallo Albert Kesselring, il quale nel suo libro di memorie osservò come «i comandi anglo-americani sembravano prigionieri dei loro piani rigidi; che non videro, o ignorarono, le occasioni per colpire i nemici ai fianchi; infine che, sebbene in Italia fossero bloccate alcune divisioni tedesche con la più elevata capacità combattente, in un momento in cui erano richieste con urgenza nelle zone costiere della Francia, gli Alleati non seppe affatto approfittare dell'occasione»[272].
Tutte queste numerose critiche corrispondono al vero, ma secondo lo storico e giornalista Rick Atkinson «non è tutta la verità». Gli Alleati avevano continuato, anche se lentamente, ad avanzare nel Mediterraneo, e sta di fatto che dopo la conquista di Roma nel mare operavano solo undici U-Boote tedeschi e per il resto della guerra non fu affondata più nessuna nave mercantile alleata nel Mediterraneo. Il controllo di questo mare fu di vitale importanza per l'invasione dell'Europa e per garantire un'altra rotta di comunicazione con la Russia. L'offensiva dei bombardieri, che decollavano dai campi di aviazione italiani, proseguì di pari passo con le conquiste, dando un notevole contributo alla campagna aerea sopra i cieli del Reich. L'estate del 1944 la 15ª Forza aerea statunitense (Fifteenth Air Force) condusse seimila missioni, distruggendo gli impianti petroliferi tedeschi nell'area di Ploiești: «Non dobbiamo dimenticare l'importanza che il Mediterraneo ha rivestito nel piegare le armi tedesche» ha affermato lo storico statunitense Douglas Porch[273]. Le maggiori critiche alla strategia Alleata nella penisola italiana sono state affrontate da altri storici da un'altra ottica, ricordando come l'Italia fosse l'unico posto possibile in cui dare avvio all'invasione dell'Europa continentale: «Siamo andati in Sicilia e in Italia perché eravamo in Nordafrica» scrisse lo storico Martin Blumenson, perché non esisteva nessuna flotta oceanica in grado di spostare mezzo milione di uomini dal litorale africano fino in Inghilterra o altrove, né i porti, le ferrovie e gli altri servizi britannici, già pieni di materiali e truppe americane che si preparavano per Overlord, potevano gestire una forza del genere. Lo storico della marina Samuel Eliot Morison concluse inoltre che Mosca non avrebbe tollerato che le armate Alleate rimanessero inoperative durante i dieci mesi che separarono l'invasione della Sicilia dallo sbarco in Normandia: una pausa del genere avrebbe permesso ai tedeschi di spostare molte truppe ad est[273]. E anzi, secondo lo stesso Kesselring, ciò che gli Alleati avevano imparato durante i combattimenti in Italia meridionale, in particolare l'esperienza acquisita nelle operazioni anfibie, nelle battaglie con una grande coalizione, e nel colpire le vie di comunicazione nemiche, si dimostrò molto utile nei mesi successivi; tanto da arrivare a dire che senza quell'esperienza l'invasione della Francia «sarebbe stata sicuramente un fallimento»[274].
Note |
Esplicative |
^ Il 14 ottobre giunse a Cassino il tenente colonnello austriaco Julius Schlegel della divisione "Hermann Göring". Questi, che prima della guerra era uno storico dell'arte e bibliotecario, prospettò all'abate Gregorio Diamare il pericolo che correva l'Abbazia di Montecassino, che di lì a poco si sarebbe trovata al centro del fronte di resistenza tedesca. Si riuscì dunque a far mettere al sicuro gran parte dei tesori dell'Abbazia stessa, che vennero consegnati l'8 dicembre in Vaticano. Nonostante le accortezze dei monaci, circa quindici casse piene di opere d'arte raggiunsero Berlino. L'evacuazione delle opere d'arte fu ampiamente strumentalizzata dalla propaganda tedesca. Vedi: Atkinson, p. 468, Parker, p. 59, Von Senger, p. 285
^ Nel dopoguerra i reduci della 36ª Divisione chiesero e ottennero dal Congresso l'apertura di una commissione d'inchiesta sulla battaglia, sperando di chiarire i fatti e dimostrare che il generale Clark aveva in pratica ordinato un attacco suicida. Clark criticò Walker per non essere mai andato personalmente al fronte, per non aver dato abbastanza energia alla seconda azione e per non aver ispirato i sottoposti: secondo il generale i dubbi di Walker vennero trasmessi ai comandi inferiori, indebolendone lo spirito. Diversi resoconti appaiono critici nei confronti di Walker e della sua divisione più che in quelli di Clark e Keyes: «Si direbbe che l'operazione fosse condotta male dal comando e dallo stato maggiore della 36ª Divisione» scrisse a tal proposito nel 1957 Fred Majdalany nel suo Cassino, Portrait of a Battle. Vedi: Parker, p. 145, Morris, p. 291, Von Senger, p. 272. Anche la storia ufficiale dell'esercito statunitense accusò i comandi, colpevoli di «una serie di contrattempi, una valanga di fallimenti, una sequela di sfortune» fra cui «una confusione crescente, che finì quasi per sfociare nell'isteria e nel panico». Vedi: Atkinson, p. 410.
^ Freyberg aveva grande autonomia decisionale, e aveva una posizione diplomatica molto forte in quanto era direttamente agli ordini del primo ministro neozelandese a Wellington, e rappresentava sul campo di battaglia il proprio governo, perciò poteva decidere di utilizzare le sue truppe a propria discrezione. Inoltre la divisione neozelandese, come tutte le altre forze del Commonwealth, era stata inviata a combattere dal suo governo e poteva essere richiamata in ogni momento. L'Australia lo aveva già fatto richiamando le sue truppe allo scoppio della guerra nel Pacifico, e anche l'opinione pubblica neozelandese premeva in questa direzione: d'altronde una nazione di appena due milioni di abitanti e con il 10% della popolazione sotto le armi, non poteva sostenere perdite troppo elevate. Fu proprio l'intervento di Freyberg a far si che la divisione fosse mantenuta in Europa, e Alexander, a corto di uomini sul fronte di Cassino, decise di impiegare gli uomini di Freyberg con tutta l'autonomia che li contraddistingueva. Vedi: Hapgood-Richardson, pp. 152-153, Morris, p. 319, Parker, p. 192, Von Senger, p. 288.
Bibliografiche |
^ Rimane ancora oggi molto difficile avere un conteggio preciso delle perdite subite durante l'assalto alla linea Gustav, i dati complessivi qui inseriti sono riportati dal sito web dalvolturnoacassino.it, dove c'è una buona sintesi delle possibili perdite sofferte da entrambi gli schieramenti, vedi: Dal Volturno a Cassino - Le battaglie per Cassino: i caduti, su www.dalvolturnoacassino.it. URL consultato il 13 novembre 2018.
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Bibliografia |
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- Gerhard Muhm, La tattica tedesca nella campagna d'Italia, in Linea Gotica avamposto nei Balcani, Roma, Edizioni Civitas, 1993. URL consultato il 27 novembre 2015 (archiviato dall'url originale il 4 settembre 2012).
Voci correlate |
- Cimitero di guerra di Cassino
- Cimitero militare polacco di Montecassino
- I diavoli verdi di Montecassino
- I forzati della gloria
- Un cantico per Leibowitz
- Wojtek
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Collegamenti esterni |
Battaglia di Cassino, in Thesaurus del Nuovo soggettario, BNCF.
- Il tempo e la storia: La battaglia di Cassino, raistoria.rai.it, Rai 3. URL consultato il 25 novembre 2015.
- La grande storia: Montecassino, rai.it. URL consultato il 25 novembre 2015.
- Ulisse - Il piacere della scoperta: La battaglia di Cassino, Rai 3, 16 settembre 2009. URL consultato il 15 novembre 2015.
Sito dedicato alla battaglia di Cassino su dalvolturnoacassino.it
Sito dell'Abbazia di Montecassino su abbaziamontecassino.org
(EN) Battaglia di Cassino, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.