Referendum abrogativo del 1974 in Italia
























Referendum sull'abrogazione del divorzio
Stato
Italia Italia
Data 12 e 13 maggio 1974
Tipo abrogativo
Esito



















  
40,74%
No
  
59,26%


Yes check.svg quorum raggiunto
(affluenza: 87,72%)
Risultati per regione

Referendum abrogativo del 1974 in Italia.png

     sì


     no



Il referendum abrogativo del 1974, meglio noto come referendum sul divorzio, tenutosi il 12 e 13 maggio 1974 in Italia, aveva a oggetto la richiesta ai cittadini se volessero o meno abrogare la «legge 898/70, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio», altrimenti nota come «legge Fortuna-Baslini», dal nome dei primi firmatari del progetto in sede parlamentare.


Entrata in vigore quattro anni prima, la legge aveva introdotto il divorzio in Italia, causando controversie e opposizioni, in particolare da parte di molti cattolici (la dottrina cattolica sancisce l'indissolubilità del vincolo matrimoniale, ma gli antidivorzisti presentarono la loro posizione come motivata laicamente, cioè desunta dall'essenza stessa del matrimonio come istituto di diritto naturale, non come sacramento). Il fronte divorzista intese la sua battaglia nel senso d'un ampliamento delle libertà civili, ma anche d'uno spostamento a sinistra del quadro politico nazionale: alla vittoria del No nel 1974 seguiranno infatti importanti conquiste elettorali delle sinistre nel 1975 e nel 1976 e la formazione di governi con l'appoggio esterno del PCI prima nel 1976 e poi nel 1978.




Indice






  • 1 Quadro sociale


  • 2 Posizioni dei partiti


    • 2.1


    • 2.2 No


    • 2.3 Libertà di scelta




  • 3 Affluenza e risultati


  • 4 Conseguenze politiche


  • 5 Tendenze regionali del voto


    • 5.1 Italia settentrionale


    • 5.2 Italia centrale


    • 5.3 Italia meridionale


    • 5.4 Italia insulare




  • 6 Note


  • 7 Voci correlate


  • 8 Altri progetti





Quadro sociale |


Al momento della promulgazione della legge (1º dicembre 1970) il fronte sociale e politico era fortemente diviso sull'argomento. Le forze laiche e liberali si erano fatte promotrici dell'iniziativa parlamentare[1] (la legge nacque, infatti, a opera del socialista Loris Fortuna e del liberale Antonio Baslini). Forti differenze erano comunque presenti fra le avanguardie più radicali (femministe, LID, Partito Radicale, l'ala socialista di Fortuna) e parti consistenti del PCI orientate verso una trattativa con la DC, o l'ala socialista di De Martino[2][3].


La Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano si erano opposti alla legge[1], ma parte del mondo cattolico si era comunque dichiarato favorevole, come le ACLI, o il movimento dei cattolici democratici di Gozzini, Scoppola, La Valle e Prodi[4]. Fra i movimenti cattolici solo Comunione e Liberazione era rimasta completamente fedele alle indicazioni della CEI[3].


Il Vaticano aveva covato in un primo tempo il progetto d'un divorzio ammissibile per i matrimoni civili e vietato per i matrimoni concordatari (il progetto era piaciuto ad Andreotti, ma aveva grossi difetti, anche per la Chiesa): c'era il rischio, con questa normativa, d'incrementare enormemente il numero dei matrimoni civili. Fanfani aveva preferito una battaglia campale, confortato in questo da tutto il suo partito, anche se la sinistra DC e il Governo (compreso il Presidente del Consiglio Mariano Rumor) rimasero in disparte durante la campagna referendaria[2].


Lo schieramento del «no» era molto ampio, andando dal PLI di Giovanni Malagodi agli extraparlamentari di sinistra[2].



Posizioni dei partiti |





Marco Pannella del Partito Radicale al tempo della campagna a favore del «no».



|



  • Democrazia Cristiana


  • Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale[5]



No |



  • Partito Comunista Italiano

  • Partito Liberale Italiano

  • Partito Radicale

  • Partito Repubblicano Italiano

  • Partito Socialista Democratico Italiano

  • Partito Socialista Italiano



Libertà di scelta |



  • Südtiroler Volkspartei[6]


Affluenza e risultati |










































Risultati[7]
Risposta Voti Percentuale

Si
13.157.558 40,74%

X mark.svg No
19.138.300
59,26%
Voti validi 32.295.858 97,80%
Schede bianche o nulle 727.321 2,20%
Voti totali 33.023.179
100%
Affluenza alle urne
87,72% (quorum raggiunto)
Totale elettori 37.646.322










Si 
13.157.558
(40,74%)




X mark.svg No
19.138.300
(59,26%)



50%


Conseguenze politiche |





Amintore Fanfani al voto il 12 maggio 1974: il segretario della Democrazia Cristiana, principale sostenitore del fronte del «sì», pagò il maggior scotto dall'esito referendario.


L'esito del referendum fu interpretato come una dura sconfitta personale per Amintore Fanfani, visto come l'attore principale del fronte del «sì»[8]: il segretario della DC, infatti, aveva cercato di sfruttare la campagna referendaria anche a fini prettamente politici[9], convinto che un'eventuale vittoria abrogazionista avrebbe frenato l'allora ascesa del PCI di Enrico Berlinguer, al contrario tra i maggiori esponenti del fronte del «no». Famosa rimase la vignetta satirica di Giorgio Forattini a commento dell'esito del voto referendario, pubblicata dal quotidiano politico di sinistra Paese Sera, nella quale, ironizzando sulla bassa statura del leader DC, faceva decollare il «tappo» con l'effigie di Fanfani da una bottiglia di champagne avente l'etichetta «NO».


La sconfitta antidivorzista rappresentò di fatto l'inizio della caduta politica di Fanfani, tra i più longevi protagonisti della Prima Repubblica: la successiva sconfitta democristiana alle elezioni regionali del 1975 lo costringerà a lasciare la carica di segretario a Benigno Zaccagnini[8].


La vittoria del «no» fu un duro colpo anche per la Chiesa, che aveva sospeso a divinis l'abate Don Giovanni Franzoni, favorevole al mantenimento della legge. Fanfani, nel luglio 1974, tentò di spiegare la sconfitta e di attenuarne la portata durante un Consiglio nazionale in cui sostenne che «la DC non promosse né incoraggiò la richiesta di referendum» e che «non possiamo concedere che l'essere riusciti a far convergere sulle tesi sostenute ben tredici milioni di voti rappresenti una sconfitta»[2].



Tendenze regionali del voto |


Sostanzialmente il Centro-Nord si espresse in senso contrario all'abrogazione, mentre il Sud si espresse in senso anti-divorzista. Il no prevalse però in Abruzzo, Sicilia e Sardegna, e il sì in Veneto e Trentino-Alto Adige.


Di seguito i dati percentuali regionali, secondo il raggruppamento regionale generalmente adottato in ambito statistico.



Italia settentrionale |
















































Regione No

Valle d'Aosta Valle d'Aosta
24,90% 75,10%

Piemonte Piemonte
29,10% 70,90%

Liguria Liguria
27,40% 72,60%

Lombardia Lombardia
40,70% 59,30%

Trentino-Alto Adige Trentino-Alto Adige
50,60% 49,40%

Veneto Veneto
50,70% 49,30%

Friuli-Venezia Giulia Friuli-Venezia Giulia
36,00% 64,00%

Emilia-Romagna Emilia-Romagna
29,10% 70,90%


Italia centrale |




























Regione No

Toscana Toscana
31,20% 68,80%

Marche Marche
42,40% 57,60%

Umbria Umbria
32,60% 67,40%

Lazio Lazio
36,60% 63,40%


Italia meridionale |






































Regione No

Abruzzo Abruzzo
48,80% 51,20%

Molise Molise
60,10% 39,90%

Campania Campania
52,20% 47,80%

Basilicata Basilicata
56,70% 43,30%

Puglia Puglia
52,20% 47,80%

Calabria Calabria
50,80% 49,20%


Italia insulare |


















Regione No

Sicilia Sicilia
49,50% 50,50%

Sardegna Sardegna
44,70% 55,30%


Note |




  1. ^ ab Fausto De Luca, Saragat firma la legge sul divorzio. Il «decretone» trasmesso al Senato, in La Stampa, 2 dicembre 1970. URL consultato il 18 dicembre 2012.


  2. ^ abcd Indro Montanelli e Mario Cervi, L'Italia degli anni di piombo, Milano, Rizzoli, 1991.


  3. ^ ab Giambattista Scirè, Il divorzio in Italia. Partiti, Chiesa, società civile dalla legge al referendum, Milano, Mondadori, 2007, ISBN 978-88-6159-033-5, p. IX.


  4. ^ 12 maggio. Il significato culturale del referendum sul divorzio, su culturacattolica.it. URL consultato il 28 aprile 2014.


  5. ^ Il 10 luglio 1972 il Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica confluì nel Movimento Sociale Italiano, che assunse la denominazione di «Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale».


  6. ^ Grande vittoria della libertà .mw-parser-output .chiarimento{background:#ffeaea;color:#444444}.mw-parser-output .chiarimento-apice{color:red}
    [collegamento interrotto], in l'Unità, 14 maggio 1974. URL consultato il 10 agosto 2010.



  7. ^ Archivio Storico delle Elezioni – Referendum del 12 maggio 1974, Ministero dell'interno. URL consultato il 27 dicembre 2014.


  8. ^ ab Giampaolo Pansa, La caduta di Fanfani, in la Repubblica, 8 maggio 2004. URL consultato il 9 dicembre 2015.


  9. ^ Maurizio Crippa, Fanfani, Pasolini e storie cattoliche, su ilfoglio.it, 13 maggio 2014. URL consultato il 9 dicembre 2015.



Voci correlate |


  • Referendum


Altri progetti |



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