Energia nucleare








Con energia nucleare (detta anche energia atomica), si intendono tutti quei fenomeni in cui si ha produzione di energia in seguito a trasformazioni nei nuclei atomici: tali trasformazioni sono dette "reazioni nucleari".[1]


L'energia nucleare è una forma di energia che deriva da profonde modifiche della struttura stessa della materia. Insieme alle fonti rinnovabili ed alle fonti fossili, è una fonte di energia primaria, ovvero è presente in natura e non deriva dalla trasformazione di un'altra forma di energia. La Commissione europea si è espressa definendo che il nucleare non è da considerarsi come rinnovabile.[2] Benché inoltre rappresenti in gran parte una forma di energia pulita dal punto di vista delle emissioni di anidride carbonica (CO2) in atmosfera, presenta diversi altri problemi ambientali e di pubblica sicurezza per quanto riguarda i fenomeni connessi alla radioattività attraverso le scorie radioattive.


A livello internazionale l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (IAEA, International Atomic Energy Agency) si occupa di promuovere l'utilizzo pacifico dell'energia nucleare e di impedirne l'utilizzo per scopi militari. Ha funzionalità di sorveglianza e controllo sulla sicurezza degli impianti nucleari esistenti o in progettazione/realizzazione.




Indice






  • 1 Storia


  • 2 Descrizione


    • 2.1 La fissione o scissione nucleare


    • 2.2 La fusione nucleare


    • 2.3 L'enigma della fusione fredda


    • 2.4 Il decadimento radioattivo


    • 2.5 Scorie radioattive




  • 3 Applicazioni


    • 3.1 Le batterie nucleari


    • 3.2 Il reattore a fissione


    • 3.3 La centrale elettrica a fissione


      • 3.3.1 Descrizione


      • 3.3.2 Questioni di politica energetica


        • 3.3.2.1 Disponibilità di uranio


        • 3.3.2.2 Incremento della produzione


        • 3.3.2.3 Produzione centralizzata e generazione distribuita


        • 3.3.2.4 Altro




      • 3.3.3 Questioni economiche


        • 3.3.3.1 Costi


          • 3.3.3.1.1 Considerazioni generali


          • 3.3.3.1.2 Costo del capitale


          • 3.3.3.1.3 Costo del combustibile


          • 3.3.3.1.4 Costi di esercizio e manutenzione (O&M)


          • 3.3.3.1.5 Costi di smaltimento delle scorie radioattive


          • 3.3.3.1.6 Costi per il decommissioning


          • 3.3.3.1.7 Altri costi




        • 3.3.3.2 Conclusioni


        • 3.3.3.3 Confronto con i costi degli altri sistemi per l'elettro-generazione


        • 3.3.3.4 Bilancio energetico


        • 3.3.3.5 Esternalità


        • 3.3.3.6 Polizze assicurative


        • 3.3.3.7 Opinioni




      • 3.3.4 Questioni ambientali


        • 3.3.4.1 Considerazioni generali


        • 3.3.4.2 Emissioni atmosferiche e gas serra


        • 3.3.4.3 Lo smaltimento delle scorie radioattive


        • 3.3.4.4 La sicurezza


          • 3.3.4.4.1 Considerazioni generali


          • 3.3.4.4.2 Fughe radioattive




        • 3.3.4.5 Mortalità




      • 3.3.5 Questioni di proliferazione


      • 3.3.6 Diffusione nel mondo delle centrali elettriche a fissione




    • 3.4 La medicina nucleare


    • 3.5 Le armi nucleari




  • 4 Note


  • 5 Bibliografia


  • 6 Voci correlate


  • 7 Altri progetti


  • 8 Collegamenti esterni





Storia |


La storia dell'energia nucleare prende avvio con le scoperte sulla radioattività sul finire del XIX secolo. La prima persona che intuì la possibilità di ricavare energia dal nucleo dell'atomo fu lo scienziato Albert Einstein nel 1905, con la sua teoria della relatività nella quale riuscì ad arrivare alla famosa formula E=mc2{displaystyle E=mc^{2}}E=mc^{2} nella quale equiparava la massa all' energia. In seguito gli sviluppi scientifici della fisica nucleare nella prima metà del XX secolo hanno portato alla realizzazione del primo reattore sperimentale-dimostrativo funzionante da parte di Enrico Fermi negli USA il 2 dicembre del 1942 e alle successive tristemente note vicende belliche della seconda guerra mondiale con lo sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Nel 1961 i russi sperimentarono la bomba Zar, che raggiungeva i 50 megatoni, cioè 3125 volte quella di Hiroshima. Solo nella seconda metà del secolo scorso si prese l'iniziativa di sfruttare l'energia nucleare anche a fini civili per la produzione di energia elettrica, ma per tutto il corso della Guerra fredda rimarrà duplice l'interesse per l'energia atomica sia sul fronte militare che civile con gli Stati interessati a portare avanti politiche energetiche nucleari, in gran parte a proprie spese, per il raggiungimento di paralleli e precisi obiettivi militari di superpotenza.



Descrizione |


Le reazioni che coinvolgono l'energia nucleare sono principalmente quelle di fissione nucleare, di fusione nucleare e quelle legate alla radioattività:



  • Nelle reazioni di fissione nucleare (sia spontanea, sia indotta) nuclei di atomi con alto numero atomico (pesanti) come, ad esempio, l'uranio 235 o il plutonio 239, si spezzano producendo nuclei con numero atomico minore, diminuendo la propria massa totale e liberando una grande quantità di energia. Il processo di fissione indotta viene usato per produrre energia nelle centrali nucleari. Le prime bombe atomiche, del tipo di quelle sganciate su Hiroshima e Nagasaki, erano basate sul principio della fissione. Si deve notare che in questo contesto il termine atomico è inesatto o almeno inappropriato in quanto i processi coinvolti sono viceversa di tipo nucleare, coinvolgendo i nuclei degli atomi e non gli atomi stessi.

  • Nelle reazioni di fusione nucleare i nuclei di atomi con basso numero atomico, come l'idrogeno, il deuterio o il trizio, si fondono dando origine a nuclei più pesanti e rilasciando una notevole quantità di energia (molto superiore a quella rilasciata nella fissione, a parità di numero di reazioni nucleari coinvolte). In natura le reazioni di fusione sono quelle che producono l'energia proveniente dalle stelle. Finora, malgrado decenni di sforzi da parte dei ricercatori di tutto il mondo, non è ancora stato possibile realizzare, in modo stabile, reazioni di fusione controllata sul nostro pianeta anche se è in sviluppo il progetto ITER, un progetto che con il successore DEMO darà vita alla prima centrale nucleare a fusione del mondo. È invece attualmente possibile ottenere grandi quantità di energia attraverso reazioni di fusione incontrollate come, ad esempio, nella bomba all'idrogeno.

  • Le reazioni di decadimento radioattivo coinvolgono i nuclei di atomi instabili che, tramite processi di emissione/cattura di particelle subatomiche (radioattività), tendono a raggiungere uno stato di maggior equilibrio in conseguenza della diminuzione della massa totale del sistema. Quelle in cui si ha la maggiore quantità di energia liberata sono i processi di diseccitazione gamma: le particelle interessate sono fotoni generalmente ad alta energia, ovvero radiazioni elettromagnetiche alle frequenze più alte (anche se più precisamente si ha sovrapposizione fra le frequenze delle emissioni X di origine atomica e gamma di origine nucleare).


Attualmente il dibattito tecnico e mediatico sull'energia nucleare verte in gran parte sulla fissione nucleare, l'unica reazione nucleare ad avere un'applicazione energetica a scopo civile funzionante e matura a livello commerciale tramite le omonime centrali nucleari a fissione, mentre l'energia prodotta da fusione nucleare è ancora in uno stato sperimentale-prototipale di ricerca.



La fissione o scissione nucleare |




Schema di una reazione di fissione nucleare


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Lo stesso argomento in dettaglio: Fissione nucleare.

La fissione consiste nel rompere il nucleo dell'atomo per farne scaturire notevoli quantità di energia: quando un neutrone colpisce un nucleo fissile (ad esempio di uranio-235) questo si spacca in due frammenti e lascia liberi altri due o tre neutroni (mediamente 2,5).


La somma delle masse dei due frammenti e dei neutroni emessi è leggermente minore di quella del nucleo originario e di quelle del neutrone che lo ha fissionato: la massa mancante si è trasformata in energia. La percentuale di massa trasformata in energia si aggira attorno allo 0,1%, cioè per ogni kg di materiale fissile, 1g viene trasformato in energia.


Se accanto al nucleo fissionato se ne trovano altri in quantità sufficiente e in configurazione geometrica adatta (massa critica), si svilupperà una reazione a catena in grado di auto sostenersi per effetto delle successive fissioni dei nuclei causate dai neutroni secondari emessi dalla prima fissione.


La fissione nucleare dell'uranio e del plutonio è ampiamente sperimentata ed ingegnerizzata da circa 50 anni. Nell'agosto 2007, 439 reattori nucleari di potenza commerciali producono circa il 6% dell'energia primaria e il 13-14% dell'energia elettrica mondiale.[3][4][5] Nei 35 paesi dell'OCSE l'energia elettronucleare costituisce il 30% del totale dell'energia elettrica prodotta. A parte il rischio di incidenti, il maggiore problema ancora insoluto è costituito dalle scorie radioattive, che rimangono pericolose per migliaia se non milioni di anni.



La fusione nucleare |




Schema di fusione nucleare D-T






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Lo stesso argomento in dettaglio: Fusione nucleare.

Un procedimento per ottenere energia dall'atomo è la fusione nucleare. Essa è esattamente l'opposto della fissione: invece di spezzare nuclei pesanti in piccoli frammenti, unisce i nuclei leggeri (a partire dall'idrogeno, composto da un solo protone) in nuclei più pesanti: la massa di questi ultimi è minore della somma di quelli originari, e la differenza viene emessa come energia sotto forma di raggi gamma ad alta frequenza e di energia cinetica dei neutroni emessi. La percentuale di massa trasformata in energia si aggira attorno all'1%, un quantitativo comunque enorme per la legge di conservazione della massa/energia.


Perché la fusione avvenga, i nuclei degli atomi devono essere fatti avvicinare nonostante la forza di repulsione elettrica che tende a respingerli gli uni dagli altri, e sono quindi necessarie temperature elevatissime, milioni di gradi centigradi. La fusione nucleare avviene normalmente nel nucleo delle stelle, compreso il Sole, dove tali condizioni sono normali. A causa di queste difficoltà, al giorno d'oggi l'uomo non è ancora riuscito a far avvenire la fusione in modo controllato e affidabile se non per qualche decina di secondi (quello incontrollato esiste: la bomba termonucleare).Un modo per contenere il plasma a milioni di gradi, derivante della fusione dei nuclei d'idrogeno, sarebbe quella di inserire il plasma in un enorme campo magnetico facendo "fluttuare" il plasma senza che esso tocchi alcun materiale, purtroppo questo campo magnetico richiederebbe un enorme quantità di energia elettrica, per alimentarsi, quasi superiore all'energia ricavata dalla fusione stessa. Per questo la fusione nucleare non è stata ancora sviluppata sulla terra. Gli esperimenti odierni si concentrano sulla fusione di alcuni isotopi dell'idrogeno, il deuterio e il trizio, che fondono con maggiore facilità rispetto all'idrogeno comune prozio.


Negli ultimi sessant'anni è stato profuso un notevole sforzo teorico e sperimentale per mettere a punto la fusione nucleare: al momento il progetto più avanzato volto alla realizzazione di energia elettrica da fusione è ITER[6], un reattore a fusione termonucleare attualmente in fase di costruzione. Gli addetti ai lavori prevedono che la realizzazione di un reattore a fusione operativo destinato alla produzione di massa di energia richiederà ancora pochi decenni:[7]DEMO è il prototipo di questo tipo di centrale, in fase di studio dagli stessi partecipanti al progetto ITER.



L'enigma della fusione fredda |






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Lo stesso argomento in dettaglio: Fusione fredda.






Il decadimento radioattivo |






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Lo stesso argomento in dettaglio: Decadimento radioattivo.


Scorie radioattive |




Radiotossicità (in sievert per gigawatt termico all'anno) del combustibile esausto scaricato dai reattori per diversi cicli del combustibile, in funzione del tempo. È altresì indicato l'andamento dei prodotti di fissione (approssimativamente simile per tutti i cicli) e la radiotossicità dell'uranio naturale e del torio 232 di partenza.






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Lo stesso argomento in dettaglio: Scoria radioattiva.

Il procedimento di fissione nucleare produce materiali residui ad elevata radioattività. Si tratta di pastiglie di combustibile esaurito (uranio, plutonio ed altri radioelementi) che vengono estratte dal reattore per essere sostituite, nonché dei prodotti di fissione. I prodotti di fissione, emettendo delle radiazioni penetranti, sono molto radiotossici e richiedono dunque precauzioni nel trattamento di smaltimento. Occorre ricordare che i prodotti di fissione rappresentano solo una piccola percentuale del combustibile esaurito, che per circa il 95% è ancora di composti dell'uranio (U-238). La radioattività degli elementi estratti da un reattore si riduce nel tempo secondo il fenomeno naturale del decadimento radioattivo ma i tempi necessari a farla rientrare entro standard di accettabilità biologica per il corpo umano sono lunghi. I tempi di decadimento radioattivo variano inoltre a seconda dell'elemento oscillando da pochi giorni a centinaia di migliaia o milioni di anni. Gli elementi a maggiore radiotossicità decadono molto rapidamente, mentre quelli che decadono in milioni di anni sono a basso impatto biologico.


A causa della elevata composizione di uranio, che anche se non è l'isotopo fissile, è però U-238 fissionabile, il problema della gestione delle scorie radioattive inteso come "combustibile esausto", va suddiviso in due fasi. Una prima fase è quella di immagazzinamento per il suo contenuto in U-238, in attesa che si renda economicamente conveniente l'utilizzo di cicli nucleari che si basano su isotopi fissionabili,
come l'U-238 ed il Th-232, al posto dell'attuale ciclo che poggia le sue basi di funzionamento sulla presenza di sufficienti isotopi fissili, ad esempio, l'U-235. La fase successiva sarà perciò quello del recupero del combustibile esaurito dai depositi di scorie radioattive, la eventuale separazione di prodotti di fissione "velenosi" per la reazione nucleare utilizzata, e il confinamento a lungo termine di questi "scarti" che possono definirsi le "vere scorie nucleari".


Esistono attualmente due modi principali per smaltire le scorie, rigorosamente legati a preliminari studi di natura geologica riguardanti il sito di destinazione: per le scorie a basso livello di radioattività si tende a ricorrere al cosiddetto deposito superficiale, ovvero il confinamento in aree terrene protette e contenute all'interno di barriere ingegneristiche; per le scorie a più alto livello di radioattività si ricorre invece al deposito geologico, ovvero allo stoccaggio in bunker sotterranei schermati. Inoltre vengono sfruttati anche degli impianti di riprocessamento in grado di estrarre l'uranio, il plutonio e gli altri attinoidi (detti minori, prevalentemente nettunio, americio e curio) dalle scorie e renderlo riutilizzabile nel processo di fissione nucleare.


Le scorie inoltre potranno essere riprocessate in altre tipologie di reattori (Nuclear Transmuters o trasmutatori con fattore di conversione c < 0,7) con auspicata produzione collaterale di energia elettrica. Nel caso esse vengano riprocessate col solo obiettivo di diminuirne la radioattività, sarà necessario un tempo di almeno 40 anni per assistere a un calo della radioattività del 99,9%.[8]


Un ulteriore metodo in fase di studio per la trasmutazione delle scorie nucleari (ADS) si basa sull'impiego di un acceleratore di protoni di alta energia (600 MeV - 2 GeV), accoppiato con un reattore nucleare subcritico, avente come barre di combustibile il materiale da trasmutare sotto forma di MOX o altro. Anche in questo caso si ipotizza la possibilità che il sistema sia energeticamente autosufficiente, con la produzione collaterale di energia.


Nel caso della fusione nucleare, la produzione di energia avviene senza emissioni di gas nocivi o gas serra, e con la produzione di modeste quantità di trizio: un isotopo dell'idrogeno con un tempo di dimezzamento di 12,33 anni la cui radioattività non supera la barriera della pelle umana, e che non è quindi pericoloso per l'uomo se non viene ingerito. In ogni caso, i tempi di dimezzamento della radioattività residua sarebbero confrontabili con la vita media della centrale (decine d'anni). Inoltre un reattore a fusione nucleare, a seconda della tecnologia usata, genera quantità variabili di materiale irradiato, di cui è richiesto lo smaltimento come scorie nucleari.



Applicazioni |



Le batterie nucleari |


Le batterie nucleari sono piccoli dispositivi che riescono a generare corrente tramite il decadimento radioattivo degli elementi in esse contenute, principalmente plutonio. Sono utilizzate principalmente in medicina (in alcuni pacemaker) e nell'industria aerospaziale, in quanto riescono a fornire una corrente stabile e duratura nel tempo (la stabilità è data dal tempo di decadimento del radioisotopo utilizzato mentre la durevolezza è data dallo stress da bombardamento di particelle ionizzanti da parte del materiale che genera elettricità, in genere un semiconduttore).


Ultimamente sono stati fatti studi molto promettenti per migliorare la durata di queste batterie, utilizzando per esempio semiconduttori allo stato liquido, che si degradano più lentamente di uno allo stato solido.[9]



Il reattore a fissione |






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Lo stesso argomento in dettaglio: Reattore nucleare a fissione e Propulsione nucleare.

Con reattore si intende uno spazio confinato all'interno del quale far avvenire le reazioni di fissione in maniera controllata. A partire dagli anni quaranta del Novecento sono stati ideati moltissimi tipi di reattore, con caratteristiche e scopi diversi. Lo scopo iniziale è stato la produzione di materiale adatto alla realizzazione degli arsenali atomici; solo in un secondo tempo a questa motivazione si è affiancata la produzione di energia elettrica.


Tutti i reattori sono dotati di un sistema di barre di controllo che permette di regolare la reazione e quindi la potenza generata, nonché di aperture per consentire l'inserimento del materiale fissile e l'estrazione del "combustibile" esausto. Il tutto è racchiuso in un contenitore di acciaio ferritico pieno di acqua o di un altro moderatore (spesso grafite) che permette alla reazione di svilupparsi in modo regolare. L'acqua è molto spesso anche usata come fluido termovettore, cioè per raffreddare il nocciolo del reattore (che altrimenti fonderebbe) e nel contempo -scaldandosi- per generare vapore da inviare alle turbine. In taluni reattori anziché normale acqua vengono usate altre sostanze, quali gas o leghe metalliche a basso punto di fusione (per esempio contenenti sodio o piombo). In ogni caso tali fluidi di raffreddamento -essendo radioattivi- circolano in un circuito chiuso.


Il "combustibile" di gran lunga più diffuso è l'uranio arricchito (cioè con una percentuale di uranio-235 maggiore del normale), ma non è l'unico materiale fissile utilizzabile, si può utilizzare il Plutonio nel combustibile MOX o il Torio-233 nei reattori al torio, in cui l'isotopo Th232 viene trasmutato in Th233.



La centrale elettrica a fissione |






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Lo stesso argomento in dettaglio: Centrale elettronucleare.


Descrizione |


Il suo funzionamento è molto simile a quello di una convenzionale centrale termoelettrica con la sola differenza che l'acqua viene riscaldata dall'energia liberata da un reattore nucleare dove il materiale fissile viene fissionato.


Tre sono le parti principali di una centrale nucleare attuale:




  • Edificio di contenimento del reattore: enorme cilindro di cemento armato e/o acciaio nella cui parte centrale è collocato il circuito refrigerante e il reattore vero e proprio;


  • Sala macchine: un edificio dove sono alloggiate le turbine e l'alternatore con i loro circuiti ausiliari;


  • Edifici ausiliari: contengono le piscine schermate per la conservazione temporanea del combustibile esausto e radioattivo della centrale più gli altri circuiti ausiliari necessari al normale funzionamento e all'emergenza.


Il funzionamento di una centrale nucleare a fissione del tipo ad acqua leggera bollente (uno dei più diffusi) è abbastanza semplice: viene pompata dell'acqua attraverso il nocciolo o nucleo del reattore che la fa evaporare attraverso il calore liberato dalla fissione dell'uranio. Il vapore viene quindi inviato nelle turbine che trasferiscono quindi la propria energia meccanica all'alternatore il quale genera la corrente elettrica.



Questioni di politica energetica |



Disponibilità di uranio |





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Lo stesso argomento in dettaglio: Uranio § Disponibilità in natura.



Pastiglie (pellet) di ossido d'uranio da inserire nella barra di combustibile


Secondo l'ultima edizione (riferita al 2009) dell'Uranium Resources, Production and Demand (informalmente noto come Red Book) che viene pubblicato ogni due anni da AEN e AIEA in collaborazione,[10] le risorse di uranio "accertate" (ossia quelle già individuate ed estraibili a costi non superiori a 130 dollari/kg, che è il livello di prezzo che oggi viene convenzionalmente ritenuto accettabile) ammontano a circa 6,3 milioni di tonnellate, con un aumento quindi del 15,5% rispetto al dato della precedente edizione del testo. A queste riserve accertate il Red Book stima che si possano aggiungere altre 10,5 milioni di tonnellate che non sono state ancora scoperte ma che vengono in ogni caso considerate come molto probabili (sempre a un costo di estrazione di massimo 130 dollari/kg) in base alle conoscenze geologiche acquisite nel corso di studi finalizzati ad attività diverse da quella della ricerca dell'uranio. Le stime di quelle potenziali recuperabili invece intorno ai 200 dollari/kg parlano di circa 35 milioni di tonnellate, anche se molto probabilmente questa è una valutazione di minima poiché l'uranio è stato finora abbondante e, con i conseguenti prezzi bassi, la ricerca si è dunque di molto affievolita così come non si sono neanche messe in produzione risorse con tenori di minerale oggi considerati non interessanti in quanto non remunerativi.


In Australia è stato messo a punto un impianto dimostrativo per ricavare uranio a un prezzo di 30-38 euro/kg dalle fabbriche che lavorano i fosfati per la produzione di acido fosforico. Tale procedimento era già stato sperimentato in passato (fruttando complessivamente 20 000 tonnellate di uranio) ma poi era stato abbandonato dagli anni novanta in quanto le tecnologie usate erano ancora antieconomiche (l'equivalente attuale di 76-104 euro/kg) rispetto ai metodi tradizionali. Secondo la società che ha realizzato l'impianto, il potenziale produttivo è di 8.000 tonnellate di uranio all'anno (i giacimenti naturali di fosfati sono la prima fonte "non convenzionale" di uranio e secondo le stime ne contengono in totale tra i 9 e i 22 milioni di tonnellate).[11]


Altra strada (già intrapresa con successo in Cina) è quella dell'estrazione dell'uranio dalle ceneri delle centrali a carbone.[12]


Esiste anche la possibilità teorica di estrarre l'uranio dell'acqua del mare (il cui quantitativo è valutato in 4-5 miliardi di tonnellate) secondo lo schema ideato dal giapponese T. Kato[13] (un impianto pilota di questo tipo è già stato sperimentato positivamente in Giappone e anche l'India ha recentemente annunciato la costruzione di uno suo presso ilBhabha Atomic Research Centre). Al momento questo processo risulta ancora sconveniente rispetto all'estrazione mineraria ma qualora tale sistema arrivasse a maturazione economica, la disponibilità di uranio diventerebbe pressoché illimitata su scala umana (centinaia di migliaia di anni).


A sostegno di quanto appena detto, si tenga presente che attualmente il consumo di uranio dei 435 reattori nucleari in servizio nel mondo è coperto per il 60% (pari a circa 40 000 tonnellate) dalle risorse di miniera e per il 40% dalle "risorse secondarie" (materiale fissile derivato dallo smantellamento di oltre 12 000 testate nucleari nell'ultimo ventennio e plutonio proveniente dal riprocessamento del combustibile nucleare esausto e da utilizzarsi nella realizzazione del MOX), risorse secondarie pari a circa 26 500 tonnellate di uranio "equivalenti".[14] Secondo le previsioni dell'AIEA, rispetto ai 375 000 MW attualmente installati, la potenza elettronucleare nel mondo vedrà una crescita nel 2035 pari a una percentuale che potrà variare dal 33% 500 000 MW al 109% (785 000 MW e, per alimentare questa forte espansione, la produzione di uranio a tal anno dovrà essere compresa rispettivamente tra le 87 370 e le 138 165 tonnellate all'anno.


In ogni caso, al di là della quantità di uranio disponibile nel mondo, esistono alcune tipologie di reattori nucleari già disponibili commercialmente che attenuano o eliminano del tutto la necessità di disporre di nuovo uranio da miniera. Essi sono principalmente tre:



  1. i reattori che possono utilizzare il MOX come combustibile;

  2. i reattori autofertilizzanti veloci (FBR, Fast Breeder Reactor) a ciclo uranio-plutonio che innalzano significativamente l'efficienza di utilizzo dell'uranio considerato che essi producono più combustibile di quanto ne consumino.[15] L'innovazione introdotta da questa tecnologia sfrutta la conversione dell'isotopo non fissile uranio-238 (circa 140 volte più abbondante dell'isotopo fissile con numero di massa 235) in plutonio-239. Tuttavia il plutonio (a seconda della sua composizione isotopica, e se molto povero di isotopi differenti dal plutonio-239) è materiale adatto alla realizzazione di armamenti, è in generale classificato come tossico se inalato o ingerito, per via della sua radioattività e per il fatto di essere un metallo pesante,[16][17][18] la sua produzione è problematica a causa della complessità degli specifici reattori impiegati. Uno di questi reattori era il francese Superphénix (di proprietà di Enel per il 30%), oggi chiuso per problemi politici[19] e per aver concluso il suo ciclo di sperimentazione, mentre altri sono operativi. Ultimamente l'interesse è cresciuto perché il progressivo esaurimento dell'uranio ed il suo aumento del prezzo potrebbe renderli molto convenienti e sono quindi in corso studi per nuove generazioni che si prevede possano essere disponibili a partire dal 2030;

  3. i reattori autofertilizzanti a neutroni lenti che utilizzano il torio miscelato all'uranio come combustibile nucleare attraverso un procedimento di fertilizzazione del torio-232 (per trasformarlo in uranio-233 fissile) simile a quello del ciclo uranio-plutonio. Poiché il torio è più comune dell'uranio nella crosta terrestre, esso potrebbe dunque fornire combustibile nucleare per ulteriori secoli. Un altro vantaggio è nei riguardi della proliferazione visto che non sono state ancora studiate tecniche per produrre armi nucleari a partire dagli scarti del ciclo torio-uranio. In India sono allo studio reattori autofertilizzanti di questo tipo. La scelta di questo combustibile è dovuta alla buona presenza di miniere sfruttabili nel suo territorio[20].


In chiave futura, anche altri tipi di centrali nucleari, se arriveranno a maturazione tecnica e commerciale, potranno rendere ancora più ininfluente la questione della disponibilità di uranio. Esse consistono principalmente in:




  1. reattori a fissione veloci di quarta generazione (previsti per il 2030) che useranno come combustibile metalli diversi dall'uranio;


  2. amplificatore di energia (in inglese EA, Energy Amplifier o anche ADS, Accelerator Driven System), basato sulla fissione assistita sottocritica, che userà solo il torio come combustibile (date le difficoltà di funzionamento riscontrate finora e soprattutto la scarsa quantità di energia che tale reattore produce, esso sembra però molto più utile per bruciare le scorie radioattive prodotte da un tradizionale reattore LWR, come previsto dai progetti TRASCO[21] ed EUROTRANS).



Incremento della produzione |

Da più parti si stima che .mw-parser-output .chiarimento{background:#ffeaea;color:#444444}.mw-parser-output .chiarimento-apice{color:red}i costi di costruzione di una moderna centrale nucleare a fissione, che ammontano ad almeno due miliardi di dollari per impianto[senza fonte], uniti al lungo tempo necessario al completamento dell'installazione (in media dai tre ai quattro anni secondo alcuni autori e non meno di cinque per altri, ossia più di quanto serva per costruire una centrale termoelettrica che faccia uso di combustibili fossili[22]), rendano non agevole incrementare sensibilmente la produzione di elettricità da fonte nucleare in breve termine.


Secondo Jeremy Rifkin, ad esempio, raddoppiare la produzione elettro-nucleare statunitense costerebbe circa un migliaio di miliardi di dollari[23] ma per molti osservatori questa cifra sarebbe di gran lunga sovrastimata così come sarebbe anche destituita di fondamento la considerazione sulla difficoltà di un rapido aumento del parco centrali (paradigmatico in questo senso risulta essere il caso cinese).



Produzione centralizzata e generazione distribuita |

Le odierne centrali elettriche a fissione sono poco adatte a essere eventualmente implementate in un sistema di generazione distribuita in quanto, per questioni tecnologiche e di economie di scala, si predilige normalmente realizzare grossi impianti. In un prossimo futuro, la maturazione tecnica e commerciale dei reattori modulari come ad esempio quelli di tipo pebble bed, potrebbe superare questa limitazione.



Altro |


  • In alcune nazioni possono non esserci alternative convenienti all'uso di centrali elettriche a fissione (come dicono i francesi: «Noi non abbiamo carbone, noi non abbiamo petrolio, noi non abbiamo gas, noi non abbiamo scelta.»[24]).

  • La produzione elettro-nucleare è poco influenzata da ragioni geopolitiche. L'energia nucleare a fini pacifici, infatti, non è mai stata sostanzialmente toccata dagli embarghi e l'uranio è estratto in Paesi, quali l'Australia e il Canada, politicamente stabili (mentre per la maggioranza dei Paesi fornitori di gas naturale e petrolio la situazione è ribaltata) e in più, considerato che il costo del minerale è (almeno attualmente) una voce poco preponderante del complesso degli oneri d'esercizio, anche eventuali turbolenze internazionali che lo facessero lievitare non influirebbero poi molto sul prezzo finale dell'energia elettrica (come invece avviene con le centrali termoelettriche alimentate a olio combustibile e gas naturale[25]).

  • Secondo alcuni osservatori, le ragioni di alcune rinunce all'uso di questa fonte energetica sono da ricercare più che altro nelle forti pressioni che la lobby del petrolio esercita sui governi nazionali,[26] dal momento che il ricorso all'energia nucleare porterebbe a una significativa riduzione della dipendenza dai combustibili fossili e naturalmente dai gruppi industriali che basano le loro attività sul commercio degli stessi.



Questioni economiche |



Costi |


Considerazioni generali |



Costo dell'elettricità da diverse fonti secondo studi internazionali


Nel mercato liberalizzato dell'energia elettrica, la valutazione dei costi di produzione e di ritorno dell'investimento assume un'importanza primaria. A differenza degli impianti termoelettrici tradizionali, per i quali il costo di produzione è per lo più legato al costo del combustibile, gli impianti nucleari presentano un costo di produzione fortemente dipendente dai costi di investimento ed è evidente che ciò è dovuto alla scelta diffusa di una grande taglia degli impianti, agli alti costi delle tecnologie coinvolte, e alla maggior durata del periodo di costruzione rispetto agli impianti tradizionali.


Questi costi, di per sé molto più elevati di quelli associabili ai più semplici impianti alimentati a olio, carbone o a gas, sono facilmente controbilanciati da una minore incidenza del prezzo del combustibile, e la cui provenienza è associabile ad aree geopolitiche più stabili di quelle degli idrocarburi. Inoltre bisogna considerare che le centrali nucleari a differenza delle fonti fossili sono in grado di costituire scorte non di settimane ma di diversi anni.


Nel mondo occidentale, va poi aggiunto un elemento penalizzante per il settore elettronucleare che è rappresentato dalla maggior attenzione per la sicurezza. Questo aspetto, da un punto di vista puramente economico, contribuisce ad un ulteriore aumento dei costi di investimento per via dell'allungamento degli iter autorizzativi e dei tempi di costruzione e del rischio di rallentamenti nella gestione dell'impianto rispetto a quanto preventivato.


Il LUEC (Levelized Unit Electricity Cost) può essere considerato come il costo di fornitura, vale a dire la misura del costo di generazione dell'energia includendo il capitale iniziale, il ritorno dell'investimento, i costi di gestione, del combustibile e di mantenimento.


Come viene messo in rilievo nei punti successivi le stime riportate degli studi esaminati differiscono significativamente in alcuni casi. Ciò si spiega tenendo conto che:



  • si tratta di stime che ancora non hanno il riscontro di ritorni empirici, in quanto riferiti ad impianti di nuova generazione non ancora entrati in esercizio.

  • alcuni dei costi sono stati stimati sotto ipotesi molto differenti tra loro: ad esempio i tassi di interesse per l'investimento stimati negli studi differiscono significativamente se si assume un finanziamento a tassi di mercato, oppure a tasso agevolato.


L'analisi dei costi di un impianto nucleare fa riferimento alle seguenti voci di costo:



  • costo del capitale;

  • costo del combustibile;

  • costo di esercizio e manutenzione ;

  • costo di decommissioning;

  • altri tipi di costo.


I costi di capitale sono particolarmente importanti nella determinazione della competitività di un impianto nucleare, poiché gran parte del costo del megawattora da esso prodotto (cioè il
LUEC) è riconducibile a questa categoria di costi. Il costo di capitale dipende da molteplici fattori, i più importanti dei quali sono i seguenti:



  • costo di costruzione dell'impianto (tecnologia) (anche definito come costo overnight di costruzione);

  • periodo di costruzione;

  • profilo di spesa durante il periodo di costruzione;

  • parametri finanziari del progetto, che includono;

    • rapporto debito/capitale proprio;

    • tassi di interesse del debito e del capitale;

    • vita economica dell'impianto;

    • periodo di rimborso del debito;



  • tempo di ammortamento;



Costo del capitale |

I costi di capitale sono sostenuti durante il periodo di costruzione dell'impianto, quando hanno luogo gli esborsi per l'acquisto del macchinario, e le attività di ingegneria e costruzione. Il costo "overnight" di costruzione dell'impianto è da intendersi come il costo che sarebbe sostenuto per la costruzione dell'impianto se questa fosse "istantanea" (letteralmente "avvenisse nel corso di una notte") e non dilazionata su un lasso di più anni. Il costo overnight di costruzione fotografa quindi una situazione ideale, poiché nella realtà la realizzazione e la messa in servizio di un impianto per la produzione dell'energia è un'attività di durata pluriennale. In particolare per gli impianti nucleari il tempo di costruzione è stimabile in 5 – 7 anni. Il costo overnight include i costi EPC (ingegneria, acquisto, costruzione), altri costi per attività sostenute direttamente dal proprietario e i costi per far fronte ad imprevisti di costruzione, mentre invece non considera i costi finanziari sostenuti durante il periodo di costruzione. A causa della durata della fase di costruzione, i costi di costruzione dell'impianto non si concentrano esclusivamente alla fine del periodo di costruzione ma si distribuiscono lungo l'intero periodo di costruzione, cioè ben prima che l'impianto entri in servizio. In altri termini i costi di produzione incidono sui flussi di cassa prima ancora dell'avvio della produzione (che avviene solo quando l'intero impianto è stato costruito). Infine il costo overnight trascura il valore dell'inflazione durante il periodo di costruzione. All'avvio della fase di produzione, il costo reale dell'impianto è quindi pari al costo "overnight", più gli oneri finanziari relativi agli esborsi sostenuti durante il periodo di costruzione. Conseguentemente i ricavi della produzione (e quindi il prezzo dell'energia venduta) durante l'intero periodo di produzione dell'impianto dovranno coprire sia il costo di costruzione dell'impianto (sostenuti nella fase precedente
alla produzione) sia i costi di produzione (fissi e variabili) che annualmente sono sostenuti per il funzionamento dell'impianto.


Da notare per il caso Italia che secondo l'edizione 2011 del rapporto della Banca Mondiale "Doing Business", l'Italia è il novantaduesimo paese al mondo per la semplicità nell'ottenere licenze di costruzione. In particolare, il tempo medio di attesa è pari a 257 giorni, contro una media Ocse di 166. È del tutto evidente che questo problema – che è un problema di onerosità delle procedure e di efficacia ed efficienza del settore pubblico – si applica tanto al nucleare quanto alle tecnologie alternative.



Costo del combustibile |

I costi del combustibile si distinguono in:



  • costi di acquisto del minerale, di conversione in UF6, di arricchimento nell'isotopo fissile, di rinconversione in ossido metallico ed infine di realizzazione dell'elemento di combustibile;

  • costi per la chiusura del ciclo del combustibile utilizzato per la produzione. Si tratta dei costi relativi al trattamento del combustibile esaurito e alla sua collocazione in adeguati depositi nucleari (o, in alternativa, il suo riprocessamento, separando le scorie dal combustibile ancora utilizzabile).


La determinazione del costo del combustibile fresco, e quindi dell'incidenza sul costo dell'energia prodotta, viene fatta tenendo presente che il processo che porta alla realizzazione dell'elemento di combustibile comporta una sequenza piuttosto complessa di operazioni tecniche che vengono effettuate in tempi diversi, precedenti all'inizio dell'utilizzo del combustibile nel reattore. A titolo indicativo i costi (attualizzati) di realizzazione dell'elemento di combustibile che trova impiego in un reattore tipo PWR (Pressurized Water Reactor) da 1000 MWe, si stimano essere intorno ai 1500 €/kgUO2, con un'incidenza prevalente dei costi per le fasi di approvvigionamento del minerale ed arricchimento.[27] Secondo gli studi dell'università di Chicago, di MIT e di WNA la prima tipologia di costo incide, nel Nord America, per circa 4 ÷ 5 $/MWh (assumendo un rendimento termodinamico dell'impianto pari al 35%). Più bassa è invece la stima fornita dallo studio del CERI, che riporta un valore pari a circa 2,8 €/MWh. (pari a 4 Can$/MWh). Più difficile valutare i costi per la chiusura del ciclo del combustibile, in quanto, negli studi esaminati, tale voce di costo non è sempre presa in esame o quotata separatamente dalle altre. Secondo lo studio del WNA (2006), essi dovrebbero incidere circa il 10% del costo complessivo del MWh, cioè 2 $/MWh considerando che il costo complessivo preso a riferimento nel suddetto rapporto è circa 20 $/MWh. Negli USA è attivo un programma federale per la gestione del combustibile esaurito[28] che prevede un costo complessivo di 18 G$ ed è finanziato da una corrispettivo di 1 $/MWh a carico della produzione di energia elettrica da fonte nucleare.


Le variazioni di prezzo al dettaglio del minerale di estrazione raffinato (yellowcake) continuano ancora ad avere scarsa influenza sul prezzo finale dell'energia generata rendendola di fatto più prevedibile e meno volatile.[29] Nel 2008, per esempio, Areva dichiarò che il costo del combustibile dei suoi reattori EPR incideva solo per il 17% sui costi di generazione.[30]




Andamento del prezzo dell'uranio da NUEXCO Exchange Value Monthly Spot (US$/lb U3O8).


Per circa cinque decenni, dal 1950 al 2000, il prezzo dell'ossido di uranio naturale (Uraninite UO2 e Pechblenda U3O8, detta anche yellowcake) è stato generalmente basso e comunque quasi sempre in discesa considerando i prezzi al netto dell'inflazione,[31] fatta eccezione per la seconda metà degli anni settanta, quando salì al pari di quello di tutte le altre materie prime in seguito alle crisi petrolifere del 1973 e 1979.[32] Tuttavia, nel primo decennio del nuovo secolo tale andamento si è invertito, facendo crescere il prezzo del materiale fino a livelli mai raggiunti in precedenza (anche considerando l'effetto inflativo sul dollaro):[31] in pochi anni si è passati dai meno di 10 dollari/libbra del 2002 agli oltre 130 dollari/libbra di metà 2007,[33] con un successivo calo attorno agli 85 dollari/libbra nel corso del 2008.


Molti speculatori scommettono su un rialzo a breve termine del prezzo dell'uranio e quindi investono il proprio denaro in diritti di sfruttamento; le società di estrazione stanno valutando l'idea di riaprire molte miniere o filoni abbandonati in passato poiché antieconomici (ad esempio l'estrazione dai fosfati) e che ora possono al contrario risultare molto profittevoli.[34] Si ritiene che questo repentino aumento del prezzo sia dovuto alla riduzione dell'uranio proveniente dallo smantellamento delle armi nucleari russe e dall'aumento della richiesta dell'uranio che ha ridotto le scorte dei produttori. L'aumento delle attività estrattive dovrebbe altresì ridurre il costo della materia prima[35] che al 2001 (prima della rivalutazione degli ultimi anni) incideva solo per il 5-7% del totale dei costi della produzione di energia nucleare.[36]



Costi di esercizio e manutenzione (O&M) |

Questa categoria include i restanti costi di produzione. Per comodità anche i costi di personale spesso vengono classificati come costi di O&M.


I costi di O&M di un impianto nucleare vengono di seguito distinti in:



  • costi fissi di O&M. Sono espressi in M$/MW/anno (oppure in M€/MW/anno). Fanno parte di questa categoria i costi del personale ed altri costi (ad es. le tariffe di connessione alla rete) legati al fatto che l'impianto è in esercizio, piuttosto che alla quantità di energia prodotta;

  • costi variabili di O&M. Sono espressi in $/MWh (oppure in €/MWh). Sono costi dipendenti dall'effettiva produzione dell'impianto nell'anno.


Per questa tipologia di costi la letteratura riporta stime piuttosto diverse, sia come valore che come loro articolazione. Lo studio dell'università di Chicago riporta i seguenti costi di O&M:



  • costi fissi di O&M: 0,060 M$/MW/anno;

  • costi variabili di O&M: 2,1 $/MWh.


È possibile riportare i costi fissi di O&M al costo dell'energia prodotta definendo un fattore si utilizzo dell'impianto, ad esempio il 90%. In questo caso il costo complessivo di O&M è pari a 10,16 $/MWh. Lo studio di MIT riporta invece i seguenti costi di O&M:



  • costi fissi di O&M: 0,063 M$/MW/anno;

  • costi variabili di O&M: 0,47 $/MWh.


Riportando anche in questo caso i costi fissi di O&M sul costo dell'energia prodotta, si ha un costo complessivo di O&M è pari a 8,9 $/MWh. Stime in linea con quelle dello studio MIT sono riportate anche nel rapporto DOE/EIA del 2006 (che stima, per i costi fissi e variabili, rispettivamente 0,062 M$/MW/anno e 0,45 $/MWh). Ulteriori stime relative ai costi di O&M in paesi europei (Francia e Germania) sono riportate nello studio WNA (2005). Secondo tale fonte la stima dei costo complessiva di O&M si aggira sui 10 - 11 €/MWh. Lo studio Dominion (Dominion, 2004) stima per i reattori ACR-700, ABWR e AP1000 un costo complessivo di O&M nel range 6 -11 $/MWh (con un valore pari a 9,80 Can$/MWh per il reattore ACR-700).


Da quanto riportato dallo studio del MIT, la Tennessee Valley Authority, nell'ambito del progetto per il riavvio di un impianto nucleare negli USA, stima un costo complessivo di O&M (esclusi i costi di combustibile) di circa 8 $/MWh. Lo studio di R. Tarjanne & S. Rissanen (2000), riporta costi di 7,2 €/MWh, riportati anche da AREVA (AREVA,2005). Sempre in ambito europeo, il progetto NEEDS (2005) stima per l'EPR costi di O&M tra 5 – 7 €/MWh.


Infine lo studio CERI riporta per il reattore Candu 6 un costo complessivo di O&M pari a 9,2 €/MWh (pari a 12,9 Can$/MWh) mentre per il reattore ACR-700 esso scende a 7,75 €/MWh (pari a 10,85 Can$/MWh), leggermente più basso della stima dello studio Dominion per lo stesso reattore.



Costi di smaltimento delle scorie radioattive |

Tra i costi operativi di una centrale una voce importante meritano i costi per lo smaltimento delle scorie nucleari che dipendono strettamente dal metodo di smaltimento utilizzato ovvero dai livelli di sicurezza adottati. I maggiori livelli di sicurezza imponibili sembrano raggiungibili con l'uso di depositi di stoccaggio delle scorie di tipo geologico i quali però hanno costi ingenti oltre che tempi di realizzazione elevati. Viene spesso citato al riguardo dai critici del nucleare il deposito geologico di 'Yucca Mountain' negli USA che ha visto lievitare i costi fino ad oltre 8 miliardi di dollari con tempi di realizzazione non ancora conclusi nonché dubbi sulla reale efficacia in termini di sicurezza e limitatezza nella capacità massima di scorie stoccabili in relazione alle reali necessità.[37]



Costi per il decommissioning |

Tutti gli impianti nucleari devono sostenere costi di decommissioning (dismissione) al termine della propria vita operativa. I costi per il decommissioning sono stimati nel range del 10 – 30 % del costo di capitale iniziale dell'impianto, attualizzati al primo anno di vita dell'impianto. I costi decommissioning per gli impianti di ultima generazione si collocano nell'intervallo 320 – 440 €/kWe; per impianti di vecchia concezione e limitata diffusione nel mercato (gas grafite AGR di concezione inglese, o reattori di realizzazione sovietica quali i VVER) i costi, data la specificità dell'impianto, possono essere sensibilmente diversi.













































Fonte Tipo di reattore Potenza Installata
(MWe)
Costo
(M€)

Costo specifico
(€/kWe)


SOGIN (2004)
PWR (Trino)
BWR(Caorso)
MAGNOX (Latina)
BWR (Garigliano)
270
860
210
160
300
600
600
300
1110
697
2857
1875

NEA (2003)
PWR
BWR
1000
1000
320
420
320
420

Dominion (2004)
ABWR
AP100
ESBWR
ACR-700
1370
1150
1340
703
595
416
570
444
434
361
425
316

IAEA (2004)
VVER-440
440
212 – 632
($1998)
480 - 1436

NRC (2004)
PWR
BWR

233
341


Essendo sostenuti solo alla fine della vita operativa dell'impianto, i costi per il decommissioning incidono in misura ridotta su costo medio dell'energia durante la sua vita operativa.



Altri costi |

Ulteriori costi connessi al funzionamento di un impianto nucleare riguardano:



  • Ulteriori investimenti durante la vita operativa dell'impianto. Tali costi, classificati come costi per incremento del capitale, sono menzionati sia dallo studio di MIT sia dallo studio dell'Università di Chicago. In entrambi i casi sono stimati nei termini di 0,02 M$/MW/anno. In aggiunta, lo studio del MIT specifica che, a scopo semplificativo, tali costi sono trattati alla stregua di costi variabili.

  • Costi di assicurazione. In molti paesi per esercire un impianto nucleare è necessario stipulare un'assicurazione per i rischi derivanti da suoi malfunzionamenti. In letteratura le informazioni circa l'ammontare del premio di questo tipo di assicurazioni e la sua modalità di pagamento sono scarse: a titolo di riferimento si riporta la stima apparsa sui quotidiani francesi, che per l'impianto EPR di Flamanville, stimava il costo dell'assicurazione pari a 600 M€, vale a dire 0,375 M€/MW.
    [senza fonte]



Conclusioni |

Ricapitolando:[38]



  • L'investimento iniziale pesa nell'ordine del 60-70 % del costo medio attualizzato;[39][40]

  • La spesa per il combustibile, a seconda degli scenari di prezzo, vale circa l'8-15 per cento (di cui circa il 60 per cento direttamente imputabile al prezzo dell'uranio sul mercato internazionale, il resto ai costi di arricchimento e trattamento);

  • I costi di gestione e manutenzione pesano per circa il 5-10 per cento;

  • Il costo del decommissioning e del trattamento del combustibile esausto, pur essendo molto rilevante in termini nominali,
    pesa in effetti per circa il 5-10 per cento del costo medio attualizzato.[senza fonte]



Confronto con i costi degli altri sistemi per l'elettro-generazione |

L'economicità dell'energia nucleare dipende anche dai costi delle fonti alternative: per questo in molti paesi, se l'energia atomica non è popolare, in tempi di crescita dei prezzi per i combustibili fossili, le argomentazioni a sostegno dell'energia nucleare riemergono.[41]


In alcuni luoghi, specialmente dove le miniere di carbone sono molto lontane dagli impianti, l'energia atomica è meno costosa, mentre in altri risulta avere un prezzo all'incirca pari o maggiore. Gli stessi paragoni possono essere fatti con gas e petrolio.


Inoltre, il costo dichiarato di molte energie rinnovabili aumenterebbe se fosse inclusa la fornitura delle fonti di riserva necessarie nei periodi in cui la natura intermittente di sole, vento, onde, eccetera non permette di produrre energia. Considerando questo è stato calcolato che l'energia eolica, una delle più grandi speranze per l'abbandono del nucleare, costerebbe il triplo del costo medio dell'elettricità in Germania.[42] D'altro canto il collegamento di tutte le reti elettriche nazionali permette in parte di compensare le carenze di produzione temporanee di un luogo con le eccedenze di un altro, rendendo gestibili le problematiche di tali fonti.


Varie istituzioni autorevoli negli ultimi anni hanno stimato il costo dell'energia prodotta per tipo di fonte.

























































Fonte Nucleare
$(2007)/MWh
Gas
$(2007)/MWh
Carbone
$(2007)/MWh
Nea-Oecd 58,53-98,75 85,77-92,11 65,18-80,0
Cbo 73 58 56
Ec 65-110 65-78 52-65
Epri 73 73-97 64
House of Lords 90 78 82
Mit 84 65 62
Eia-Doe 107,42 77,36 101,73
Moody's 150,83 120,56 111,85

Come si vede, tra le stime proposte si registra una notevole variabilità, sia per il nucleare sia per le altre fonti. Se si prendono i valori estremi (escludendo Moody's poiché si discosta molto dalla media), il costo di generazione medio attualizzato del nucleare va da 58,53 $/MWh (studio Nea con WACC al 5 per cento) a 110 $/MWh (Commissione europea con Wacc al 10 per cento); per i cicli combinati a gas si va da 58 $/MWh (Cbo) a 97 $/MWh (Epri); per il carbone da 52 $/MWh (Commissione europea) a 82 (Camera dei Lord). I documenti ufficiali di Enel e del governo italiano parlano di 60 euro / MWh.[43] I costi stimati per il nucleare non sono enormemente diversi, in misura statisticamente significativa e date le rilevanti incertezze, da quelli delle altre tecnologie: si può al massimo sostenere che è probabile che il carbone risulti leggermente più economico, sebbene la competitività del carbone sia criticamente dipendente dalle assunzioni che si fanno riguardo al prezzo della CO2 e alla severità delle politiche ambientali.


La maggior parte degli scarti fra gli studi non dipende da componenti casuali, ma da alcune ipotesi che vengono fatte fin dall'inizio, le più importanti delle quali riguardano il Wacc e gli scenari sui prezzi futuri dei combustibili fossili (petrolio e gas). Quale sia il valore corretto del Wacc non può essere estrapolato dagli studi citati, perché è specifica del luogo e del momento in cui l'impianto nucleare viene realizzato, e della tecnologia impiegata, oltre che di una serie di variabili di natura generale. Oltre tutto, è proprio l'esiguo numero di centrali nucleari costruite negli ultimi due decenni nei paesi OCSE a ridurre il significato empirico degli studi esistenti: ciascun investimento va trattato come un unicum, non può essere generalizzato né, tanto meno, ha portata generale un'indagine che guardi ai costi effettivi sostenuti nel passato.


Quello che suggeriscono gli studi citati è che il nucleare può essere competitivo e va considerato come un'opzione realistica e più o meno conveniente in funzione di una serie di variabili, alcune delle quali di natura progettuale (per esempio quale reattore si intenda installare, quanti reattori facciano parte di un singolo ordinativo, e quali economie di scala si riescano a sfruttare), altre finanziarie (il costo del capitale), altre ancora di ordine più generale (gli scenari di costo dell'uranio,
dei combustibili fossili, e della CO2).[44]


Si veda come esempio la revisione (2009) dello studio del Massachusetts Institute of Technology[45] (2003) che ha evidenziato, per gli impianti di nuova costruzione, che il costo del kWh nucleare è superiore a quello di gas e carbone e che tali costi di generazione elettrica sono cresciuti negli ultimi anni anche se quelli relativi al nucleare meno rispetto agli altri. Le principali differenze tra i costi di generazione delle centrali nucleari e di quelle a gas e carbone secondo il MIT sono le seguenti:



  • le centrali nucleari richiedono un investimento significativamente più consistente delle altre;

  • negli Stati occidentali i tempi di costruzione subiscono lunghe ed imprevedibili dilatazioni nei tempi dovute a proteste popolari e problemi di progetto (fenomeni "non presenti" in paesi quali Corea del Sud, Giappone e Cina);

  • oltre ai frequenti maggiori costi derivanti dai ritardi nell'entrata in esercizio, ha valutato gli oneri finanziari in partenza superiori per le centrali nucleari rispetto alle altre, in quanto scontano i maggiori rischi con saggi di interesse più alti a favore degli investitori (interessi sui capitali prestati valutati al 10% per il nucleare contro il 7.8% per gas e carbone ed intero costo dell'impianto finanziato senza soldi propri).


Lo studio conclude affermando che: «Ridurre o eliminare questo premio di rischio fornisce un contributo significativo a rendere competitivo nucleare. Con il premio di rischio e senza una carbontax, il nucleare è più costoso sia del carbone (senza cattura e sequestro del carbonio) o gas naturale (a 7 $/MBTU). Se questo premio di rischio può essere eliminato, il nucleare diminuisce il suo costo e diventa competitivo con il carbone e gas naturale, anche in assenza di carbontax. Il report del 2003 trova che una riduzione del capitale iniziale è possibile ma non provata [...] e che il premio di rischio è eliminabile, solo con dimostrate performance [nella costruzione degli impianti nei termini preventivati]». Va sottolineato che tendenzialmente i governi riducono questo premio di rischio garantendo una parte del capitale evitando così il costo determinato dal mercato.[46]


Lo studio MIT (2009) però indica (pag.47, tabella 5) una vita operativa (Plant Life) per il reattore nucleare di 40 anni, al pari di un impianto di generazione a carbone o gas. Lo studio del MIT utilizzava valutazioni ancora risalenti al 2007, ma già nel 2009, la rivista scientifica Scientific American pubblicava un articolo in cui si pronosticava che la flotta di reattori degli Stati Uniti probabilmente sarebbe rimasta in funzione per altri 50 o forse anche 70 anni, ovvero ben oltre i 40 anni di vita pianificata alcuni decenni prima.[47] La rivista riporta che già allora oltre la metà dei 100 reattori avevano ricevuto una estensione ventennale della loro licenza operativa. E quasi tutti i restanti reattori si aspetta che ricevano tale estensione ventennale.[48]
Un anno dopo, un altro autore riprende l'argomento, osservando che non è ancora stata identificata una ragione tecnica che possa ostacolare una maggiore durata dei reattori.[49]
Dal 2014, la commissione di regolamentazione nucleare degli Stati Uniti (Nuclear Regulatory Commission) ha avviato lo sviluppo della procedura per l'estensione tra 60 e 80 anni, definendola “Subsequent License Renewal” (SLR). Il 14 luglio 2017, l'NRC pubblica l'ultimo piano di revisione normativa del SLR e dal 2018 ha iniziato a ricevere richieste per un SLR, tra cui quelle della Exelon Corporation e Dominion Energy.[50]
Il progettista di uno dei reattori attualmente proposti al mercato, cioè l'EPR, nel suo sito indica come vita operativa iniziale (Service life) una durata di 60 anni.[51] Esiste perciò un consenso reputabile per una vita operativa dei reattori di almeno 60 anni, e l'utilizzo di un periodo di 60 anni, invece di 40 anni, riduce significativamente il risultato ottenuto dallo studio del MIT con riguardo all'energia nucleare. Si noterà come nella citata tabella 5 dello studio MIT, molti parametri che sono identici per l'energia da carbone e gas, sono diversi (in peggio) per quanto riguarda il nucleare, quindi il fatto che un parametro, la vita operativa, sia diverso (in meglio) non minerebbe la oggettività della tabella. La vita di un impianto a carbone o a gas mediamente non supera i 40 anni, al contrario delle centrali idroelettriche, la cui opera più rilevante, la diga, è costruita per durare oltre il secolo. Quindi appare che un paragone dei costi del nucleare dovrebbe essere calcolato con criteri più simili a quelli di una centrale idroelettrica, con il ben maggiore periodo di ammortamento tipico della seconda.


Anche la localizzazione del sito influenza gli esiti economici di una centrale: in presenza di un alto numero di centrali nucleari e di una filiera produttiva già attiva (come negli USA) il costo unitario di generazione risulta più basso.































































Costo dell'elettricità per varie fonti alla generazione secondo studio del MIT del 2003 ed aggiornamento del 2009


Costo di costruzione
$/KW

Costo carburante
$/mmBtu

Caso base
c$/kWh

con aggiunta di Carbontax a 25$/tCO2
c$/kWh

Stessi interessi sul finanziamento
c$/kWh

Studio del 2003, è stato utilizzato il valore del $ del 2002

Nucleare
2000
0,47
6,7

5,5

Carbone
1300
1,20
4,3
6,4


Gas
500
3,50
4,1
5,1


Studio del 2003 con aggiornamento del 2009, è stato utilizzato il valore del $ del 2007

Nucleare
4000
0,67
8,4

6,6

Carbone
2300
2,60
6,2
8,3


Gas
850
7,00
6,5
7,4



Bilancio energetico |

Non è possibile definire con assoluta certezza il bilancio energetico di tutto il ciclo nucleare, perché il processo completo, dall'estrazione del combustibile sino alla fissione, è molto complesso ed energivoro. Però, l'enorme energia emessa dal processo nucleare ci permette una ragionevole certezza che sara prodotta più energia di quella consumata. In aggiunta a questo non tutto l'uranio minerario deriva unicamente da miniere di uranio ma in parte è anche un sottoprodotto di altre lavorazioni minerarie (è il caso di parte dell'uranio del Sud Africa o della miniera australiana di Olympic Dam), in cui è di difficile calcolo il costo energetico della sola produzione di uranio separata dalla produzione degli altri minerali.


Questo bilancio energetico finale viene chiamato EROEI e per una centrale nucleare può arrivare fino a 100 o oltre (rapporto molto conveniente). I fattori che portano a ciò sono molteplici: la concentrazione del minerale nella roccia, l'arricchimento del combustibile, la modalità di arricchimento (la diffusione gassosa consuma sui 2500kWh per SWU, contro i circa 60kWh della centrifugazione), la vita dell'impianto (essendo il costo energetico della costruzione e del decommissioning fissi, si spalmano su una produzione elettrica più o meno ampia), il rapporto di conversione del reattore (più è alto, più uranio non fissile riesci a bruciare, e se >1 il reattore diventa autofertilizzante), l'efficienza energetica del reattore.


L'EROEI del nucleare è quindi molto variabile a seconda di tutti i cicli utilizzati. Considerando il ciclo singolo del combustibile nucleare, si passa da un valore minimo di 10.5 utilizzando la diffusione gassosa al massimo di 59 utilizzando la centrifugazione; col ciclo chiuso o con i reattori FBR questo valore è destinato ad aumentare, visto che col secondo metodo verrebbe meno il dispendio di energia per arricchimento ed estrazione mineraria (sarebbero utilizzate le scorte di uranio impoverito già estratte) che da soli coprono oltre il 50% della domanda energetica complessiva (caso "EROEI 59").[52]



Esternalità |

Il nucleare avrebbe anche uno dei più bassi costi esterni, ad esempio in termini di ambiente e persone, anche se stime di questo genere sono estremamente inaffidabili perché il costo principale, e cioè il confinamento per secoli o millenni di migliaia di tonnellate di rifiuti radioattivi in siti sicuri (insieme allo smantellamento delle centrali vecchie), presenta incognite, allo stato delle attuali tecnologie, insuperabili. Per i sostenitori dell'energia atomica, invece, essa è la sola fonte di energia che nei costi totali include esplicitamente i costi stimati per il contenimento delle scorie e per lo smantellamento dell'impianto (ma questi costi sono difficilmente stimabili e le passate stime al ribasso costringeranno i governi a spendere denaro pubblico per pagare lo smaltimento dei rifiuti pericolosi), e il costo dichiarato degli impianti a combustibile fossile è basso in modo fuorviante per questo motivo; il protocollo di Kyōto, inserendo nei costi le esternalità ambientali a livello di effetto serra, dovrebbe correggere questo punto: il nucleare, considerando gli effetti esterni associati a ogni modo di produrre energia, sarebbe quindi un modo economicamente competitivo e rispettoso dell'ambiente per produrre energia rimpiazzando i combustibili fossili.[53] Secondo alcune stime, nel Regno Unito per esempio i costi esterni per il nucleare, per quanto riguarda effetto serra, salute pubblica, salute sul lavoro e danni materiali, ammontano a 0,25 centesimi di euro al kWh, cioè poco più che per l'eolico (0,15 centesimi di euro per kWh), ma molto meno che per il carbone (da 4 a 7 centesimi di euro per kWh), il petrolio (da 3 a 5 centesimi di euro per kWh), il gas (da 1 a 2 centesimi di euro per kWh) e le biomasse (1 centesimo di euro per kWh).[54]



Polizze assicurative |

Vista l'entità dei rischi che comportano, nella maggior parte dei paesi dotati di centrali nucleari, queste non possono essere assicurate solamente da assicuratori privati, a causa degli alti costi prospettati nel caso di un incidente grave. Nel 2005 il governo statunitense ha fissato a 300 milioni di dollari la cifra massima stipulabile per un'assicurazione in questo campo, mentre il rischio di un grave incidente nucleare sarebbe molto maggiore (anche se questo non è successo nel caso dell'incidente di Three Mile Island). Per questo motivo i governi devono sostenere le spese assicurative.[55] Questa pratica è simile a quella per le banche, che sono anch'esse sostenute con garanzie pubbliche per risarcire i risparmiatori in caso di fallimento.


La legge Price-Anderson Act, la prima legge completa al mondo sulla responsabilità nucleare, è fondamentale nella risoluzione della questione della responsabilità per gli incidenti nucleari dal 1957. Viene rinnovata ogni dieci anni circa, con un forte sostegno bipolare, e stabilisce che gli operatori individuali sono responsabili per due livelli di copertura assicurativa:



  • il primo livello riguarda l'obbligo per ogni sito nucleare di sottoscrivere una polizza con copertura di 300 milioni di dollari presso assicuratori privati;

  • al secondo livello, se richiesto, fanno fronte congiuntamente tutti gli operatori di reattori degli Stati Uniti; questo livello viene finanziato con pagamenti retroattivi fino a 96 milioni di dollari per ogni reattore, raccolti in rate annue di 15 milioni e adeguate tenendo conto dell'inflazione.


La cifra totale supera i 10 miliardi di dollari (il ministero dell'energia fornisce 9,5 miliardi per le proprie attività nucleari). Indipendentemente dalla responsabilità, il Congresso, in qualità di assicuratore ultimo, deve decidere come disporre i risarcimenti nel caso in cui le richieste avanzate superino la cifra coperta di 10 miliardi. Nel 2005, la legge è stata nuovamente rinnovata dal Congresso all'interno della Legge sulla politica energetica del 2005.



Opinioni |

Il dibattito sull'economicità delle centrali elettriche a fissione è sempre stato molto acceso e portato avanti da posizioni contrastanti. Vi è chi sostiene che gli studi delle agenzie internazionali dimostrino la competitività[56] del nucleare e la sua utilità,[57][58] mentre secondo altri studi l'energia nucleare è economicamente svantaggiosa e gli enormi capitali necessari alla costruzione di un impianto ed alla gestione completa del ciclo del combustibile non possono essere compensati dalla produzione di energia.


Paine ha dichiarato: «L'analisi [...] suggerisce che anche nelle condizioni più ottimistiche (dove i costi sono considerevolmente tagliati ed i redditi salgono notevolmente), le centrali nucleari dell'attuale generazione, nel corso della loro vita, possono arrivare al massimo a coprire i costi».[59]


I punti principali nella sua argomentazione sono:



  • è improbabile che i costi di costruzione siano recuperati con l'attività dell'impianto, considerata la sua durata e il guadagno attesi;

  • il costo delle altre fonti di energia (come petrolio, gas naturale, carbone) dovrebbe salire in modo non realistico affinché il nucleare diventi competitivo (mentre il costo delle fonti rinnovabili, già inferiore in alcuni casi, è destinato a scendere sempre più col migliorare delle tecnologie);

  • l'impianto raramente funziona a pieno regime, secondo l'autore solitamente è sfruttato soltanto per un 58% (ipotesi falsa poiché al giorno d'oggi il fattore di utilizzo mondiale è, in media, dell'81%[60]) dal momento che alcuni impianti periodicamente devono essere fermati per controlli di sicurezza. Aumentare questa percentuale ci esporrebbe inevitabilmente a un rischio;

  • a conti fatti, l'energia nucleare sarebbe un investimento proficuo solo negli scenari più ottimisti (durata della vita massima, miglioramento della tecnologia, costi d'esercizio e dell'energia).


Paine non discute dei problemi ambientali e delle esternalità economiche, come lo smaltimento delle scorie. Lamenta anche il fatto che i dati precisi sulla convenienza in termini economici dell'energia atomica non sono disponibili al pubblico.


Tesi simili sono sostenute dall'associazione ambientalista Greenpeace secondo cui: considerando 75 impianti statunitensi completati, si è constatato che i costi di costruzione totali effettivi sono stati di 145 miliardi di dollari contro i 45 previsti; in India gli stanziamenti previsti inizialmente per gli ultimi dieci impianti sono aumentati del 300%. I costi dipendono strettamente dai tempi necessari, che da uno studio del Consiglio Mondiale dell'Energia (WEC) sugli impianti in costruzione nel mondo tra il 1995 e il 2000 sono risultati essere aumentati da 66 a 116 mesi. Questo si dovrebbe all'aumentata complessità degli impianti.[61]
Tuttavia Greenpeace ha attirato su di sé molte critiche per il modo di condurre le proprie analisi.[62]


Secondo invece le relazioni dell'Agenzia Internazionale dell'Energia e dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico emergono dati diversi: il prezzo di un kWh nucleare ammonterebbe in definitiva, secondo le stime dell'OCSE, a circa 5 centesimi di dollaro se il tasso di sconto praticato è del 5%. Si tratta di un prezzo medio inferiore a quello dovuto alla produzione di un kWh con le altre fonti energetiche, mentre se si assume un tasso di sconto al 10% i costi salgono e le differenze fra fonti energetiche si riducono.[63]


Secondo altri studi, la dimostrazione della non economicità dell'elettricità da fissione nucleare è che, negli ultimi anni, alcune aziende private hanno cambiato i loro progetti riguardanti la costruzione di nuove centrali in area Ocse. Nel 2009 infatti ci sono stati dei casi di rinunce da parte di compagnie elettriche: ad esempio, la MidAmerican Nuclear Energy Co, operante in Idaho, ha rinunciato alla realizzazione dei suoi progetti di espansione del numero di reattori;[64] la AmerenUE, operante in Missouri ed Illinois, ha anch'essa rinunciato alla costruzione di un reattore EPR statunitensi.[65] Entrambe le compagnie hanno evidenziato che l'alto costo di realizzazione nel sito in esame non si tradurrebbe per il momento in una riduzione del costo dell'energia elettrica a causa della maggior convenienza del gas dei nuovi giacimenti di scisti rispetto all'uranio. Tuttavia va anche evidenziato come nel corso degli ultimi decenni la tendenza è stata quella di potenziare con l'aggiunta di nuovi reattori nello stesso sito centrali già esistenti (vedasi caso Olkiluoto e gli impianti statunitensi), senza contare che ci sono delle centrali in costruzione nei paesi più industrializzati ed altre sono in fase di progetto.[66]



Questioni ambientali |



Considerazioni generali |

Le preoccupazioni principali dovute all'uso di energia nucleare per la produzione di elettricità riguardano l'impatto sull'ambiente e la sicurezza delle persone.
Alcuni incidenti nucleari hanno provocato una contaminazione radioattiva. Il più grave incidente, il disastro di Černobyl', ha ucciso delle persone, provocato feriti e danneggiato e reso inutilizzabili per decenni grandi porzioni di territorio. Recentemente, in Giappone è avvenuto il disastro di Fukushima Dai-ichi.[67]


Inoltre, esistono rischi di contaminazione radioattiva nelle fasi di estrazione e arricchimento del combustibile nucleare e lo smaltimento e deposito a lungo termine del combustibile esaurito sotto forma di scorie nucleari. Ad esempio, nel caso della centrale di Tricastin, circa 18,000 litri di acqua contaminata da uranio sono stati dispersi accidentalmente nell'ambiente.[68][69]


Un altro problema è l'elevata quantità di acqua necessaria per il raffreddamento della centrale e l'immissione delle acque calde nei sistemi idrici: ciò in alcuni ecosistemi può causare pericoli per la salute delle forme di vita acquatica, come per talune specie di pesci già a rischio di estinzione.[senza fonte] Tali difficoltà possono essere notevolmente ridotte usando torri di raffreddamento, che di solito sono collocate in quei luoghi dove si ritiene inaccettabile un riscaldamento eccessivo delle acque o vi è scarsità di acqua per refrigerare il condensatore della centrale, oppure costruendo le centrali vicino al mare dove la disponibilità di acqua è quasi sempre assicurata.[senza fonte]


Tale problema accomuna solo parzialmente gli impianti nucleari a quelli termoelettrici. [senza fonte] Da un lato il rendimento termodinamico di una centrale nucleare è nettamente più basso di quello di un moderno impianto termoelettrico (30-38% contro il 60% per gli impianti termici migliori) [senza fonte], e pertanto a parità di elettricità prodotta gli scarichi termici sono molto superiori. Dall'altra una centrale termoelettrica può, per tipologia e collocazione geografica, essere allacciata più facilmente a reti di teleriscaldamento (cogenerazione), recuperando così un'ulteriore quota di calore anziché disperderlo in ambiente, soluzione poco usata tramite fonte nucleare.[70]



Emissioni atmosferiche e gas serra |

Le centrali nucleari, malgrado non abbiano emissioni di fumi di combustione come le comuni centrali termoelettriche, rilasciano in atmosfera dosi di radioattività sotto forma di scarichi sia liquidi che gassosi: in particolare trizio, isotopi del cesio, del cobalto, del ferro, del radio e dello stronzio; tali emissioni perdurano anche a distanza di decenni dalla chiusura degli impianti in quantità (dalle migliaia alle centinaia di milioni di becquerel di attività sparsa sul territorio)[71] che però sono pari ad un millesimo della radioattività naturale (un uomo medio ha una radioattività di 8000 becquerel).[72] Vi sono inoltre emissioni di grandi quantità di vapore acqueo proveniente dalle torri di raffreddamento (presenti solo in alcuni impianti).


Negli primi anni del 2000, alcuni settori industriali hanno caldeggiato un ritorno del nucleare in Italia, anche con la motivazione di ridurre le emissioni di gas serra.[73] Questa affermazione è contestata da molte organizzazioni ambientaliste.[74]


I reattori nucleari non emettono direttamente gas serra durante le operazioni normali; tuttavia, l'estrazione mineraria e il trattamento dell'uranio ne generano comunque una piccola quantità.[75] Secondo l'associazione delle industrie del settore nucleare (WNA), le emissioni prodotte nell'intero ciclo di vita sono minori di qualunque altra fonte energetica.[76]Comunque, un tema controverso è che le emissioni di gas serra dovute all'estrazione mineraria, alla lavorazione e all'arricchimento potrebbero essere di alcune volte maggiori in futuro mentre le riserve mondiali di uranio di prima qualità andranno via via esaurendosi e si userà sempre più uranio di bassa qualità, sebbene in valore assoluto le emissioni rimarrebbero comunque modeste.[senza fonte]


In un documento del 2000 commissionato dal gruppo verde al Parlamento Europeo intitolato Is Nuclear Power Sustainable? («L'energia nucleare è sostenibile?») e nel documento successivo del maggio 2002 intitolato Can Nuclear Power Provide Energy for the Future; would it solve the CO2-emission problem? («L'energia nucleare può fornire energia per il futuro? Risolverebbe il problema delle emissioni di CO2?»), Jan Willem Storm van Leeuwen e Philip Smith hanno sostenuto che il costo dell'energia nucleare alla fine supererà quello dei combustibili fossili nelle emissioni di gas serra man mano che scarseggerà il minerale uranifero di alta qualità. I due hanno messo in dubbio la sua sostenibilità all'interno di un piano di tutela ambientale. Questo documento è stato liquidato come falso dalle industrie del settore nucleare poiché i risultati pubblicati sull'estrazione del minerale mostrano un vantaggio del 99% della generazione di energia nucleare nei confronti dei combustibili fossili sul versante delle emissioni di CO2. Gli autori hanno attenuato molto le affermazioni contenute nel loro documento e l'hanno ripubblicato nel 2005, omettendo la maggior parte dei valori numerici usati, ma le affermazioni rimanenti sono ancora contraddette da alcuni studi sul ciclo di vita (ad esempio Vattenfall). Tutto ciò mette fortemente in dubbio l'articolo le cui previsioni si pensa siano sbagliate perché si basano su elementi smentiti dai dati attuali, talvolta di 3:1 ma anche 60:1.[52]


La Germania ha affiancato all'abbandono dell'energia nucleare lo sviluppo dell'energia rinnovabile e intende aumentare l'efficienza delle centrali elettriche fossili per ridurre la dipendenza dal carbone. Secondo il ministro tedesco Jürgen Trittin nel 2020 questo diminuirà le emissioni di anidride carbonica del 40% rispetto ai livelli del 1990. La Germania è diventata un paese modello per gli sforzi compiuti per rispettare il protocollo di Kyōto. Inoltre la Germania ha conseguito ottimi risultati in materia di risparmio energetico, grazie agli sforzi compiuti a partire dalla crisi energetica degli anni settanta. I critici della politica tedesca ritengono una contraddizione l'abbandono dell'energia nucleare a favore dell'energia rinnovabile, dato che entrambe hanno emissioni molto basse di CO2.


Tutti gli altri prodotti di scarto delle centrali nucleari vengono raccolti e depositati in isolamento, a differenza delle altre fonti energetiche come il petrolio ed il carbone i cui residui inquinanti sono immessi direttamente nell'ambiente circostante. Senza centrali nucleari, se fossero costretti a sostituirle con centrali a combustibile fossile, ogni anno gli Stati Uniti produrrebbero quasi 700 milioni di tonnellate metriche di anidride carbonica in più, una cifra all'incirca pari alla quantità di anidride carbonica prodotta annualmente dalle automobili statunitensi.



Lo smaltimento delle scorie radioattive |





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Lo stesso argomento in dettaglio: Scoria radioattiva.





Non sono ancora stati completamente risolti i problemi relativi al confinamento di scorie nucleari a lungo termine. In effetti, una volta esaurito il fissile presente nel combustibile, restano i sottoprodotti della reazione a catena, che in massima parte non sono fissili ma continuano ad essere radioattivi. Questi sottoprodotti sono una gamma di isotopi con tempo di dimezzamento molto vario, ma che può arrivare anche ad alcune migliaia di anni: le scorie prodotte dai reattori si mantengono radioattive a lungo nel tempo, fino al caso estremo del Cesio 135 (135Cs) che impiega 2,3 milioni di anni per dimezzare la propria radioattività.


Le scorie nucleari hanno altresì un volume minimo (un tipico reattore nucleare di potenza produce circa 25 tonnellate all'anno di combustibile irraggiato pari a circa 3 m³, corrispondente a 28 m³ una volta depositato all'interno di un fusto[77]) e in termini di volume costituiscono meno dell'1% dei rifiuti altamente tossici nel tempo nei paesi industrializzati, sebbene la loro tossicità non sia per nulla paragonabile.


La quantità di scorie potrebbe essere ridotta in diversi modi, sia tramite ritrattamento nucleare sia con reattori autofertilizzanti veloci; i reattori subcritici (o fissione assistita, amplificatori di energia, accelerator driven system o TraSco-EuroTrans che dir si voglia) e i reattori autofertilizzanti veloci (FBR) possono ridurre di molto il tempo di confinamento sia delle scorie neoprodotte, sia di quelle già esistenti.


Il 96% delle scorie altamente radioattive potrebbe essere riciclato e riutilizzato se i rischi aggiuntivi di proliferazione fossero ritenuti accettabili. Questi progetti vengono approfonditi fin dai primi anni novanta, e prevedono due alternative:



  1. l'incenerimento (incineration), cioè il bombardamento dei radioisotopi con neutroni prodotti per "spallazione" da un bersaglio colpito con protoni accelerati con un apposito acceleratore di particelle (accelerator driven system);

  2. colpire i radioisotopi con i raggi gamma prodotti da un apposito laser.


Nonostante i notevoli investimenti in tempo e denaro, non si è ancora giunti a risultati definitivi su queste procedure, che comunque richiedono investimento nell'ordine del miliardo e mezzo di euro per ogni impianto,[78] gettando così un'ulteriore, pesante incognita sui costi dell'elettricità nucleare. Il plutonio, che è contenuto nelle barre di combustibile esaurito, è estratto in impianti simili a quello Areva a La Hague (Francia) o a quello BNFL a Sellafield (Regno Unito).


È necessario prevedere sia delle aree di stoccaggio in cui gli isotopi più radioattivi (scorie di terza categoria) abbiano il tempo di decadere, sia dei siti di immagazzinamento definitivo in cui riporre il restante materiale radioattivo (scorie di prima e seconda categoria, ossia con un'emivita inferiore ai 300 anni). Nel caso di riprocessamento del combustibile irraggiato, queste ultime vengono conservate in depositi superficiali di cemento che dopo circa tre secoli, quando la radioattività delle scorie diventa paragonabile a quella del fondo naturale, vengono definitivamente ricoperti di terra. Nonostante sia un punto molto controverso, i sostenitori del nucleare affermano che la soluzione dello smaltimento sotterraneo (geologico) permanente (reversibile o irreversibile che sia) delle scorie "a secco" (ossia senza preventivo riprocessamento) o di quelle di terza categoria nel caso di riprocessamento - un'idea che diversi paesi hanno già preso in considerazione - sia ben testata e provata; al riguardo fanno infatti notare l'esempio naturale di Oklo, il deposito naturale di scorie radioattive, dove le scorie sono confinate da circa 2 miliardi di anni con una contaminazione minima dell'ecosistema circostante.


Dalla parte opposta c'è chi cita l'esempio poco virtuoso del deposito geologico di Asse in Germania, ricavato in una miniera di potassa aperta dagli inizi del Novecento e che venne inizialmente studiato negli anni sessanta. In seguito allo scavo di ulteriore camere per lo stoccaggio di rifiuti a bassa e media attività,[79] venne raggiunta la parte più esterna della miniera.[80] Data la conformazione delle rocce e dell'uso abbastanza intensivo della miniera, oltre che l'uso di materiale di riempimento, negli anni si ha avuto un deciso aumento delle infiltrazioni d'acqua, andando ad intaccare la tenuta di alcuni contenitori che contenevano i rifiuti radioattivi, evidenziando perdite di cesio. Nonostante si ritenga generalmente che le miniere di sale siano immuni alle infiltrazioni d'acqua e geologicamente stabili, e pertanto adatte ad ospitare per migliaia di anni le scorie nucleari, nel caso di Asse le infiltrazioni ci sono e le perdite di sostanze radioattive sono state rilevate per la prima volta nel 1988. Gli studi preliminari effettuati negli anni sessanta viceversa consideravano Asse una locazione adatta per lo stoccaggio dei LAW e dei MAW; per eliminare le infiltrazioni, si stanno studiando vari metodi per la stabilizzazione delle rocce che formano il deposito.[80] Seppur al livello di bozza, vi è anche la possibilità che i rifiuti vengano recuperati, nel caso che questo non comporti rischi maggiori per la popolazione e il personale che dovrà maneggiare i rifiuti.[81][82] Sono inoltre stati rilevati rischi di crollo dei tunnel, con enormi rischi di una forte dispersione di sostanze radioattive.


Scorie nucleari, se pure molto poco durevoli in termini di radiotossicità, sono anche grandi parti delle strutture delle centrali nucleari. La radioattività indotta da neutroni e gli elementi, ad alta attività ma breve vita, rilasciati dall'operazione quotidiana del ciclo di raffreddamento sulle parti a contatto con il fluido primario, determinano la necessità tecnica, per evitare alti costi e rischi per il personale, di attendere lunghi periodi, dopo la fine delle operazioni produttive e lo spegnimento del reattore, prima di iniziare lo smantellamento vero e proprio. In Inghilterra, dove per centrali come quella di Calder Hall sono previsti cento anni di chiusura dopo lo spegnimento, il costo dello smantellamento si prospetta molto più basso (molte decine di volte minore) di quello che scontano ad esempio reattori come quelli Italiani, il cui smantellamento "accelerato" è stato deciso per ragioni politiche nella tredicesima legislatura, con un decreto dell'allora ministro Bersani, per i quali il costo di smantellamento potrà essere alla fine anche due o tre volte superiore a quello di costruzione.


In molti paesi non è ancora stato stabilito chi debba coprire i costi di gestione delle aree di confinamento delle scorie nucleari. Al momento sembra che probabilmente, almeno in Germania, lo Stato pagherà i costi per le scorie dirette (barre esaurite) e i materiali contaminati delle centrali o prodotti nell'estrazione del plutonio e dell'uranio, così come le altre scorie nucleari, perché l'industria non dispone di mezzi sufficienti. Negli Stati Uniti, le società di servizi pagano una tassa fissa per chilowattora in un fondo monetario per lo smaltimento amministrato dal Dipartimento per l'energia.


In Gran Bretagna, nell'aprile 2005 questo problema ha portato alla creazione dell'Autorità Nazionale per lo smantellamento.



La sicurezza |


Considerazioni generali |



Elemento di combustibile: assemblaggio di barre in reticolo quadrato 17x17






La sicurezza delle centrali nucleari è stata spesso messa in questione, dal momento che le strutture più visibili, come le torri di raffreddamento, appaiono fragili e potrebbero quindi essere facili obiettivi di attacchi terroristici, ad esempio da parte di kamikaze che impiegassero aerei di linea per colpirle (questo dibattito è stato molto acceso in Germania)[senza fonte]. Secondo i sostenitori del nucleare, questi attacchi potrebbero rendere le centrali inattive ma non potrebbero produrre contaminazioni radioattive dato che il nucleo delle centrali è protetto da mura di cemento armato spesse diversi metri: eventuali aerei kamikaze non sarebbero in grado di rompere i muri esterni a meno di utilizzare cariche esplosive estremamente potenti. D'altronde non è detto che gli attacchi debbano essere attuati attraverso esplosioni esterne all'edificio. Le centrali nucleari, secondo i loro sostenitori, vengono sorvegliate con estrema attenzione, anche se molti lo mettono in dubbio. Uno studio condotto dalla commissione statunitense che controlla il settore nucleare (Nuclear Regulatory Commission) ha evidenziato che più di metà delle centrali nucleari statunitensi non sono state in grado di prevenire una simulazione di attacco.[83]


La sicurezza della tecnologia nucleare viene garantita, anche se in maniera meno vistosa, non solo nel bruciamento in centrale, ma su tutto il ciclo di produzione, che comprende anche trattamento e deposito. Tuttavia maggior attenzione dovrà comunque essere rivolta agli aspetti riguardanti il trasporto e lo stoccaggio delle scorie.


I sostenitori del nucleare sottolineano altresì l'alto livello di sicurezza vigente per gli addetti impiegati nel settore, che del resto sono inevitabilmente meno, essendo il nucleare un attribuito ad altre fonti: 342 all'energia prodotta dal carbone, 85 al metano e 883 all'energia idroelettrica[senza fonte].



Fughe radioattive |





Secondo i contrari al nucleare, dato che le fuoriuscite incontrollate di materiale radioattivo mettono a rischio la sicurezza delle centrali nucleari, il rischio delle fughe radioattive sarebbe intollerabile. Per far fronte a questi timori, tutti gli operatori nucleari sono obbligati a misurare le radiazioni all'interno dei siti ed attorno a essi e a render note tutte le particelle e le radiazioni emesse. Ciò deve essere certificato da un organo di valutazione indipendente. Questa pratica è sostanzialmente identica in tutti i paesi membri dell'AIEA. Nel caso le sostanze fuoriescano in quantitativi considerevoli, cioè al di sopra dei limiti fissati dal NCRP (National Council on Radiation Protection and Measurements, Consiglio Nazionale sulla Misurazione e la Protezione dalle radiazioni) degli Stati Uniti e obbligatorio per tutti i membri AIEA, bisogna mettere al corrente l'AIEA ed è necessario che venga assegnato almeno un livello 5 della scala INES, un evento molto raro. Tutte le attrezzature vengono controllate regolarmente. Inoltre, tutti gli operatori sono obbligati a divulgare pubblicamente gli elenchi completi delle misurazioni. Un individuo che viva vicino ad una centrale in media ne riceverà circa l'1% dei livelli di radiazione naturali, molto al di sotto dei limiti di sicurezza. In Gran Bretagna studi approfonditi condotti dal Comitato sugli Aspetti Medici delle Radiazioni nell'Ambiente (COMARE) nel 2003 non hanno riscontrato prove di una maggior incidenza del cancro tra i bambini che vivono vicino alle centrali nucleari. Hanno invece rilevato un numero abnorme di leucemie e di linfoma non-Hodgkin (LnH) vicino ad altre installazioni nucleari, come quelle di AWE a Burghfield, di UKAEA a Dounreay e di BNFL a Sellafield sebbene COMARE abbia giudicato improbabile un legame tra questo e il materiale nucleare. Secondo COMARE, «è improbabile che le incidenze abnormi attorno a Sellafield e Dounreay siano un fatto casuale, anche se attualmente non esiste una spiegazione convincente del fenomeno».[senza fonte][84]


L'incidente di Černobyl', accaduto a causa della combinazione di svariate violazioni delle misure di sicurezza da parte del personale ed un progetto carente riguardo ad alcuni aspetti di sicurezza, non è fisicamente ripetibile in un reattore moderato ad acqua, che si caratterizza per altri tipi di incidente. L'impianto di Černobyl' inoltre aveva un tipo di sistema di contenimento secondario solo parziale: una struttura completa avrebbe forse limitato la dispersione all'esterno dei rilasci radioattivi.


Un involucro di contenimento completo era invece presente nella centrale di Three Mile Island (Pennsylvania, USA), che subì un incidente nel 1979 con la fuoriuscita di quantità significative di radionuclidi e la parziale fusione del nocciolo. Tale fuga radioattiva fu mitigata (ma non annullata) dalla presenza di appropriate strutture di contenimento del reattore americano rispetto a quello sovietico.


Questi sono fra i più noti e gravi episodi di incidenti a centrali civili, anche se un discreto numero di episodi anche seri si è verificato nel corso degli anni passati (ad esempio a Sellafield in Gran Bretagna o a Browns Ferry negli USA[85]) e continua a verificarsi, ad esempio con vari scandali in Giappone.[86]


Un altro problema di sicurezza riguarda il pericolo di fughe radioattive non derivanti da guasti interni alla centrale, ma da eventi esterni che possono compromettere la tenuta delle strutture. Un evento climatico catastrofico, quale un tornado o un terremoto di particolare intensità, potrebbero distruggere l'edificio di contenimento, se non adeguatamente dimensionato. In Giappone gli impianti della centrale nucleare di Kashiwazaki-Kariwa, furono danneggiati nel 2007 a seguito di un terremoto di intensità superiore a quello considerato nel progetto e si ebbero rilasci di radioattività nell'ambiente non completamente ed univocamente quantificati (si veda la voce relativa per dettagli).


Sempre in Giappone, a seguito del terremoto di Sendai, nel marzo 2011, una serie di quattro distinti gravi incidenti occorsi presso la centrale nucleare Fukushima I hanno causato il disastro di Fukushima Dai-ichi.



Mortalità |


Morti per TWh per fonte di energia: -carbone (blu); -lignite (rosso); -torba (giallo); -olio combustibile (verde chiaro); -gas (marrone); -nucleare (azzurro); -bioenergie (nero); -idroelettrico (verde scuro); -eolico (viola).

Morti per TWh per fonte di energia:
-carbone (blu);
-lignite (rosso);
-torba (giallo);
-olio combustibile (verde scuro);
-gas (marrone);
-nucleare (azzurro);
-bioenergie (nero);
-idroelettrico (verde chiaro);
-eolico (viola).


Externe,[87] il progetto di ricerca europeo sulle esternalità, ha stimato le morti causate dalle fonti energetiche considerando tutto il ciclo di vita dell'impianto: dall'estrazione del combustibile allo smantellamento o riconversione dei siti di produzione, ovvero lo studio tiene conto dei morti in miniera tanto quanto dei morti per inquinamento ambientale.
Questi sono i risultati ottenuti (grafico sulla destra):[88][89]



Questioni di proliferazione |










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Lo stesso argomento in dettaglio: Trattato di non proliferazione nucleare.

Un'argomentazione contro l'elettro-generazione da fonte nucleare consiste nel rischio derivante dall'incremento delle scorie radioattive complessivamente prodotte. Anche scorie di bassa qualità possono essere adoperate infatti per costruire le cosiddette "bombe sporche" (dette più precisamente "armi radiologiche" e nelle quali la totalità del potere deflagrante è fornito da esplosivi tradizionali circondati da un qualsiasi tipo di materiale radioattivo che, con l'esplosione, si diffonde poi nell'ambiente) che vengono generalmente considerate (a torto o a ragione) un buon strumento a fini terroristici grazie alla loro relativa facilità di preparazione.


Un'eventualità ancora più rischiosa è il potenziale collegamento fra usi civile e militare (che nella maggior parte dei paesi sono mantenuti rigorosamente separati), che potrebbe portare a un aumento dei paesi possessori di bombe atomiche. Il know-how maturato per la costruzione di centrali nucleari potrebbe essere utilizzato per l'avvio di programmi di riarmo atomico. La produzione di energia nucleare si basa su un meccanismo di reazione a catena, controllato, che è tecnicamente più difficile da gestire di un utilizzo dell'uranio per scopi bellici.


Nelle barre di combustibile nucleare industriali, la frazione di isotopo di uranio fissile 235 deve essere incrementata dalla percentuale naturale dello 0,7% fino al 5% per potere generare una reazione a catena; fanno eccezione quegli impianti che usano acqua pesante o grafite come moderatori, come i reattori CANDU o i reattori RBMK. Un impianto per l'arricchimento dell'uranio (per esempio quello tedesco di Gronau) potrebbe – con grande difficoltà – aumentare la quantità dell'U 235 fino all'80% o più in modo da poter realizzare delle armi nucleari. Di conseguenza, alcune delle tecniche per l'arricchimento dell'uranio sono mantenute segrete (per esempio la diffusione gassosa, la centrifuga del gas, l'AVLIS e il ritrattamento nucleare).


Gli oppositori del nucleare sostengono che non è possibile distinguere fra uso civile e uso militare e quindi l'energia nucleare contribuisce alla proliferazione delle armi nucleari. Mentre è possibile far funzionare una centrale nucleare con materiali non affini alle armi, il possesso di un reattore comporta l'accesso a materiali e tecnologie che possono essere usati in speciali reattori militari a bassa combustione e ritrattati per produrre plutonio, l'elemento essenziale per la costruzione di armi nucleari ad alta resa. Questo è ciò che è accaduto in Israele, India, Sudafrica (che in seguito ha consegnato le proprie armi nucleari) e Corea del Nord: tutti hanno dato il via a programmi "pacifici" per l'energia nucleare con reattori che poi sono stati usati per produrre plutonio adatto per le armi. Israele e Corea del Nord attualmente non dispongono di centrali nucleari, mentre il Sudafrica ne ha aperta una molto dopo essersi dotato di armi nucleari. A molti pare una stridente contraddizione che George Bush nel 2006 abbia fortemente sostenuto l'opzione del nucleare come fonte energetica sicura, economica e pulita opponendosi contemporaneamente con tutte le proprie forze al programma nucleare iraniano, fino al punto di minacciare un intervento militare: se nonostante tutte le assicurazioni dell'Iran che lo scopo del progetto è puramente civile la sola possibilità che non sia così è sufficiente perché il rischio che si producano armi atomiche sia considerato tanto grave da imporre interventi tanto pesanti, allora è insostenibile la posizione di chi sostiene che le centrali nucleari non costituiscano un rischio di proliferazione nucleare.


Gran parte del timore popolare per la possibile proliferazione delle armi deriva dalla considerazione dei materiali fissili. Ad esempio, a proposito del plutonio contenuto nel combustibile esaurito che ogni anno viene generato dai reattori nucleari commerciali di tutto il mondo, è corretta ma fuorviante l'affermazione secondo cui servono solo pochi chili di plutonio per fare una bomba: tutti i paesi infatti dispongono di uranio in quantità tali da poter costruire alcune armi (l'uranio andrebbe però arricchito).


Il plutonio è una sostanza con proprietà variabili a seconda della fonte. È composta da diversi isotopi, come Pu-238, Pu-239, Pu-240 e Pu-241. Si tratta sempre di plutonio ma non tutti questi tipi sono fissili: solo Pu-239 e Pu-241 possono essere sottoposti alla normale fissione in un reattore. Il plutonio 239 è un combustibile nucleare eccellente; è stato anche molto usato nelle armi nucleari perché ha un tasso di fissione relativamente basso e una bassa massa critica: di conseguenza, il plutonio 239, con soltanto una piccola percentuale degli altri isotopi presenti (fino a un massimo del 7%), è spesso definito plutonio "weapons-grade" in inglese ("per le armi"). È stato usato nella bomba di Nagasaki nel 1945 e in molte altre armi nucleari.


D'altro canto, questo plutonio è totalmente diverso da quello che viene normalmente prodotto in tutti i reattori delle centrali nucleari commerciali ad acqua leggera (detto "reactor-grade") e che può essere separato ritrattando il combustibile esaurito. Il plutonio dei reattori contiene un'alta percentuale (fino al 40%) di isotopi di plutonio più pesanti, soprattutto il Pu-240, perché è dovuto rimanere nei reattori per un periodo di tempo relativamente lungo. Questo non costituisce un problema particolare per il riutilizzo del plutonio in combustibile ossido misto (MOX) per i reattori, ma influisce pesantemente sull'idoneità dell'impiego del materiale nelle armi nucleari. A causa della fissione spontanea del Pu-240, nel materiale per la produzione di armi ne è tollerabile solo un quantitativo molto limitato. La progettazione e la costruzione di esplosivi nucleari con il plutonio "reactor-grade" sarebbero difficili ed inaffidabili e finora nessuno le ha mai perseguite; tuttavia è stato creato un ordigno nucleare con plutonio a bassa combustione proveniente da un reattore nucleare Magnox. Testato nel 1962, la sua composizione non è mai stata ufficialmente resa nota, ma chiaramente si aggirava attorno al 90% di Pu-239 fissile. Tale metodo di produzione era molto costoso, inaffidabile e facilmente individuabile (il combustibile deve restare nel reattore per un periodo di tempo relativamente breve, ossia poche settimane, rispetto al normale uso, pari ad alcuni anni, e con una resa relativamente limitata). Tutti questi fattori hanno contribuito al fatto che non si ripetessero altre esperienze analoghe a quella dell'ordigno del 1962.


Il plutonio ad alta concentrazione può essere usato per la costruzione di armi nucleari, ma in pratica è usato ancora nelle centrali nucleari in barre di combustibile di MOX. I fautori nel nucleare rispondono affermando che esistono diverse tipologie di centrali nucleari che utilizzano tecnologie che non possono aver applicazioni militari e i paesi del primo mondo potrebbero vendere queste tecnologie agli altri paesi per evitare la proliferazione nucleare. Difatti, molti studi sulle centrali nucleari al Torio partono proprio da questo genere di considerazioni.



Diffusione nel mondo delle centrali elettriche a fissione |






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Lo stesso argomento in dettaglio: Energia nucleare nel mondo.


La medicina nucleare |






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Le armi nucleari |






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Lo stesso argomento in dettaglio: Arma nucleare.


Note |




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Voci correlate |



  • Reattore nucleare a fissione

  • Centrale elettronucleare

  • Energia nucleare nel mondo



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Collegamenti esterni |






  • Energia nucleare, su thes.bncf.firenze.sbn.it, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Modifica su Wikidata


  • (EN) Energia nucleare (2), su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata

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  • (EN) Web Site del International Nuclear Societies Council, su insc.anl.gov. URL consultato l'11 gennaio 2008 (archiviato dall'url originale il 15 gennaio 2008).


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